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COMMENTI

La città di Dio e dell’uomo

Per molti anni, ho sentito persone dirmi che erano state educate nella fede, ma che non credevano più nella religione organizzata e nemmeno in Dio. Affermano che Dio non esiste, come se qualcuno potesse saperlo con certezza

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Sant'Agostino. Fonte: Depositphotos

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Per molti anni, ho sentito persone dirmi che erano state educate nella fede, ma che non credevano più nella religione organizzata e nemmeno in Dio. Affermano che Dio non esiste, come se qualcuno potesse saperlo con certezza.
Non c’è nulla che mi turbi particolarmente in questa visione. La maggior parte delle persone riflessive, a un certo punto della propria vita, prende in considerazione l’idea di non credere in Dio. Le persone più profondamente religiose che conosco erano un tempo non credenti. In un certo senso, nel contesto generale, le opinioni personali su questo argomento non hanno importanza. Non è che credere o non credere in Dio da parte di qualcuno possa decidere sulla sua esistenza o meno. È probabile che Dio trovi deplorevole l’ateismo, ma nessuna credenza personale di qualcuno spingerà Dio a fare le valigie e a cercare un altro universo da creare e abitare.
Ecco perché l’ateismo mi è sempre sembrato poco più che una pretesa intellettuale. In realtà è il massimo dell’arroganza: «Ho riflettuto molto attentamente e ho concluso, usando il mio cervello incredibilmente potente, ricco di una conoscenza infinita di tutte le cose, che non esiste un potere superiore».
Immagino, amico mio, di dovermi congratulare con te.
A parte le convinzioni personali, la tradizione religiosa plasma profondamente la società in ogni modo immaginabile. È sempre stato così e sempre lo sarà. Anche se non ci credi, anche se questo ti turba, merita comunque rispetto e comprensione. Basta guardare il calendario che usiamo: è basato interamente sull’incarnazione come viene intesa dalla tradizione cristiana. Non vedo gli atei adottare abitualmente un altro modo di datare le loro e-mail, a meno che non abbiano perso la testa.
E questo solo per cominciare: il potere della fede si estende ben oltre, fino a raggiungere un certo tipo di visione del mondo, plasmata dalla tradizione religiosa occidentale.
Ad esempio, tendiamo a credere che il capo del governo non sia Dio. Questa visione deriva da una lunga tradizione che trae origine dall’episodio in cui a Gesù fu chiesto se fosse lecito pagare i tributi a Cesare. Gesù si fece consegnare una moneta e, saputo che vi era incisa l’immagine di Cesare, disse di rendere a Cesare ciò che era di Cesare e a Dio ciò che è di Dio.
Leggiamo questo passo dei Vangeli senza rifletterci tanto, presumendo che tutti accettino questa fondamentale distinzione tra i governanti di questo mondo e il governante dell’altro. In realtà, questa interpretazione è stata un contributo esclusivo del Cristianesimo, certamente non lo si credeva nell’antico Egitto o nell’antico Impero Romano. L’affermazione di Gesù ha dato vita a una nuova concezione del governo e della lealtà umana, stabilendo con forza il primato della trascendenza nel vincolare la coscienza umana. È stato un cambiamento piuttosto significativo.
Nella religione dell’antica Roma, l’aldilà era popolato dai governanti della Terra che da morti acquisivano onnipotenza e onniscienza nell’aldilà, per questo era bene trattarli come dei sulla Terra. La risposta di Gesù, quindi, deve essere apparsa come un’eresia estremamente pericolosa per la visione romana: quest’uomo osava tracciare una netta distinzione tra la città di Dio e la città degli uomini.
Nei secoli successivi, la visione cristiana emerse su una vasta gamma di tematiche che plasmò il carattere di quello che venne chiamato Occidente. Questo termine, tuttavia, non dovremmo limitarlo al campo geografico: la visione “occidentale” può trovare spazio ovunque si accettino alcuni postulati fondamentali che sono distillati in forma religiosa nella fede chiamata Cristianesimo, indipendentemente dal fatto che si accetti o meno quella religione. Dopo tutto, anche l’“Oriente” ha una tradizione cristiana vasta e ben sviluppata.
Nel corso della mia formazione non ho mai provato uno shock più grande di quello sperimentato leggendo il capolavoro di Sant’Agostino De Civitate Dei (La città di Dio), scritto nel V secolo. L’idea principale era quella di presentare una visione cristiana della Storia in contrapposizione alle fedi pagane e agli innumerevoli culti strani e alle eresie gnostiche che circolavano un po’ ovunque. Sant’Agostino nutriva una grande passione per l’argomento perché era lui stesso un manicheo, cioè un seguace del profeta Mani, che postulava un dualismo costituito interamente da un mondo di luce e tenebre: fisico contro spirituale. Il testo presenta una critica profonda di questa visione, includendo, ad esempio, il diritto dell’uomo di coltivare la terra e di cibarsi degli animali (sì, era una questione controversa allora e lo è ancora oggi!).
Nella sua critica, un posto di rilievo era occupato dall’incarnazione stessa. Dio si era fatto uomo e quindi aveva benedetto la fisicità come non intrinsecamente malvagia e quindi non come qualcosa da cui tutti devono cercare di fuggire per sempre. Essa può essere redenta (Gesù lo ha dimostrato), ma mai perfezionata, perché per questo dovrà attendere il paradiso.
Il libro di Sant’Agostino propone un altro tipo di dualismo: la città di Dio contro la città degli uomini. Vale a dire, Agostino si proponeva di separare il tempo (e la sua concezione lineare) dall’eternità (che include tutto il tempo fino al punto di inglobarlo completamente). La città degli uomini è l’intera Terra, segnata da tutti i peccati di vanità, orgoglio e abusi contro la carità. La città di Dio è altrove, un regno di amore perfetto e beatitudine eterna. Per Agostino, è un grave errore confondere le due cose, sia immaginare l’inesistenza di un regno trascendente, sia credere che la perfezione sia realizzabile nel corso del tempo incoronando un dio per governare la Terra. Si diceva che Gesù fosse destinato a diventare re, ma in realtà egli venne e morì con il solo destino di essere rex caelestis, il Re dei Cieli.
Quindi, quando i cristiani affermano che “Cristo è Re”, non intendono creare teocrazie o dare il potere alla Chiesa, ma piuttosto che la loro lealtà primaria è verso il regno dei cieli e non verso alcun potere terreno. È una semplice affermazione del credo Cristiano, che a sua volta è una struttura di fede nell’intera esperienza della civiltà occidentale (che, ripeto, non è esclusivamente una designazione geografica).
Non so se questo libro possa colpire altri lettori, ma per me è stato sconvolgente. Non perché dicesse qualcosa in cui già non credessi, anche se solo tacitamente, ma perché Sant’Agostino ha formulato in modo splendido e persuasivo proprio quello che da tempo davo per scontato: la rivelazione è che questa dualità fondamentale tra tempo ed eternità non è in qualche modo già insita in ogni società, ma è piuttosto una specifica visione del mondo nata da una convinzione teologica. Doveva essere pensata e poi insegnata. Rendersene conto è stata la parte più sorprendente.
Sospetto che la maggior parte delle persone oggi non si renda conto di quanto creda effettivamente nel Cristianesimo e di quanto il mondo in cui viviamo sia stato plasmato proprio dalle opinioni e dalle convinzioni che Sant’Agostino si è tanto impegnato a spiegare e a difendere dalle alternative allora esistenti. Per questo motivo, mi spingerei a dire che questo libro è un testo fondamentale per la civiltà come la conosciamo. Anche se oggi non viene letto molto o non viene letto affatto, continua a plasmare la società in cui viviamo o, per lo meno, la nostra comprensione di come dovrebbe essere. Non è facile abbandonare le concezioni teistiche sulla forma e la struttura dell’universo. Probabilmente ci vengono insegnate durante l’infanzia e le assorbiamo dalla cultura, sono l’infrastruttura psicologica e filosofica delle nostre vite, anche se non sempre ne siamo consapevoli.
È per questo motivo che non ho mai preso sul serio l’ateismo razionalistico. È una convinzione di lusso degli intellettuali che già nuotano e respirano in un ordine sociale reso possibile da convinzioni che essi stessi rifiutano. Il presunto ateismo che ora predicano è reso possibile solo da un firmamento di conoscenze che ha permesso loro di arrivare a questa pretesa. L’ateismo mi sembra poco più che una dichiarazione di ingratitudine, il riflesso di una selvaggia sopravvalutazione del potere della mente individuale.
Lo capisco: non tutti hanno il dono della fede. E va bene così. Tuttavia, ogni persona intelligente dovrebbe comunque riconoscere il beneficio che le persone di fede hanno apportato all’esperienza della vita sulla Terra. Dovremmo tutti essere abbastanza umili da ammettere il dono che i padri della Chiesa ci hanno trasmesso.
 

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