Salvi gli asset russi, all’Ucraina prestito europeo di 90 miliardi
Tanto rumore per nulla: alla fine a pagare la (giusta) difesa dell'Ucraina saranno i contribuenti europei. I capi di governo dell’Unione europea hanno deciso alle 4 di stamattina (19 dicembre) di finanziare con un prestito la difesa dell’Ucraina nei prossimi due anni, rinunciando all’uso dei beni russi congelati

Giorgia Meloni Ursula von der Leyen e Friedrich Merz in occasione del summit sull'Ucraina a Berlino, 15 dicembre 2025. Foto ANSA/Filippo Attili - Uff. stampa Palazzo Chigi
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«Orbán ha ottenuto quello che voleva – ha dichiarato a Reuters un diplomatico europeo – nessun prestito di riparazione e nessuna partecipazione obbligatoria per Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia». Il conto per l’Ucraina, insomma, lo pagherà il resto dell’Europa, ma non le nazioni amiche della Russia.
In caso, invece, di sconfitta ucraina o persino di conquista russa dell’intero territorio ucraino — scenari non esplicitamente affrontati nella decisione Ue — gli asset russi resterebbero comunque congelati per effetto della recente decisione di congelamento a tempo indeterminato (e non più da approvare all’unanimità in sede Ue a cadenza semestrale), assunta per evitare che Stati come Ungheria o Slovacchia possano sbloccarli mettendo un veto.
IL CONTO LO PAGANO I CITTADINI EUROPEI
L’Europa ha optato per un prestito da 90 miliardi di euro garantito dal bilancio comune, rimborsabile dall’Ucraina solo se e quando Mosca verserà le riparazioni. Altrimenti, i costi graveranno sui bilanci europei, senza toccare i beni russi.
E questa è la parte poco piacevole dell’accordo, in netto contrasto con la linea dell’amministrazione Trump che, per prima cosa al suo insediamento, si è assicurata di poter rientrare delle spese sostenute per aiutare l’Ucraina con diversi accordi commerciali vantaggiosi per gli Stati Uniti. Secondo, infatti, quanto concordato nello United States-Ukraine Reconstruction Investment Fund istituito da Trump nel febbraio-maggio 2025, gli Stati Uniti si garantiscono il 50% dei ricavi futuri da diritti, licenze e canoni su metalli di importanza strategica estratti in Ucraina (litio, titanio, terre rare), oltre che su idrocarburi e infrastrutture correlate, al fine di recuperare le centinaia di miliardi di dollari spesi (solo) dall’America nei primi tre anni di guerra.
Il fondo, gestito pariteticamente da un consiglio di amministrazione misto Usa-Ucraina, reinveste i proventi in ricostruzione creando un meccanismo di rimborso automatico e vantaggioso per Washington, che così non si trova a dover dipendere da ipotetiche, nel migliore dei casi, riparazioni russe.
Giorgia Meloni ha a sua volta accolto con favore l’accordo. La linea del presidente del Consiglio è che così prevalga il buonsenso e che così si garantisca aiuto a Kiev senza ricorrere agli asset russi congelati, evitando rischi legali e finanziari. La Meloni aveva infatti ribadito il doppio no italiano all’uso diretto dei beni russi, coordinando la propria posizione con la Germania di Friedrich Merz. Per Giorgia Meloni deve essere la Russia a pagare i danni, ma solo con base legale solida, per non regalare a Mosca una vittoria propagandistica.
Prima del vertice, Zelensky aveva insistito per l’uso diretto dei beni russi congelati, definendolo «l’unica decisione chiara e moralmente giustificata», ma poi ha accettato il compromesso sul prestito garantito dal bilancio Ue senza ulteriori critiche pubbliche, nonostante ammonti a poco più di un terzo degli asset russi.
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