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Del tutto diverso l'accordo di finanziamento Ucraina-Stati Uniti

Salvi gli asset russi, all’Ucraina prestito europeo di 90 miliardi

Tanto rumore per nulla: alla fine a pagare la (giusta) difesa dell'Ucraina saranno i contribuenti europei. I capi di governo dell’Unione europea hanno deciso alle 4 di stamattina (19 dicembre) di finanziare con un prestito la difesa dell’Ucraina nei prossimi due anni, rinunciando all’uso dei beni russi congelati

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Giorgia Meloni Ursula von der Leyen e Friedrich Merz in occasione del summit sull'Ucraina a Berlino, 15 dicembre 2025. Foto ANSA/Filippo Attili - Uff. stampa Palazzo Chigi

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Tempo di lettura: 8 Min.

Tanto rumore per nulla: alla fine a pagare la (giusta) difesa dell’Ucraina saranno i contribuenti europei. I capi di governo dell’Unione europea hanno deciso alle 4 di stamattina (19 dicembre) di finanziare con un prestito la difesa dell’Ucraina nei prossimi due anni, rinunciando all’uso dei beni russi congelati. I 90 miliardi concessi saranno spalmati nell’arco di un anno e mezzo: da giugno 2026 a dicembre 2027. Cosa succederà dopo, non è stato chiarito ma è facile immaginarlo: nuovi colloqui, vertici, esternazioni e dibattiti.
Ma per ora Bruxelles ha evitato le oggettive difficoltà giuridiche e le tante e comprensibili divisioni scatenate dall’idea – senza precedenti – di finanziare Kiev con i fondi sovrani appartenenti alla Federazione Russa attualmente immobilizzati in Europa. Una decisione che, fra l’altro, con ogni probabilità avrebbe totalmente azzerato le già flebili speranze che il Cremlino accetti il piano di pace proposto e mediato dagli Stati Uniti.
«Oggi abbiamo approvato la decisione di fornire 90 miliardi di euro all’Ucraina», ha dichiarato il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa, durante la conferenza stampa seguita a lunghe ore di negoziati a Bruxelles. «Con urgenza, concederemo un prestito garantito dal bilancio dell’Unione europea». Quindi, a mettere i soldi per difendere l’Ucraina saranno i cittadini europei.
I capi di governo europei hanno comunque affidato alla Commissione della von der Leyen un mandato per proseguire i lavori sul cosiddetto “prestito di riparazione” basato sui beni russi immobilizzati, un’ipotesi che si è rivelata impraticabile, sia per i notevoli problemi giuridici che comporta che, di riflesso, per le resistenze del Belgio che, essendo lo Stato dove si concentra la parte più consistente degli asset russi, sarebbe stato esposto al rischio dover risarcire la Russia con una cifra superiore al proprio Pil.
L’idea di un indebitamento comune europeo appariva fino a ieri irrealizzabile poiché richiede l’unanimità, e il capo del governo ungherese Viktor Orbán, la cui vicinanza a Mosca è nota, si era opposto in modo che appariva inamovibile. Ma alla fine Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno accettato che il piano proceda, purché non comporti conseguenze finanziarie dirette per i rispettivi bilanci.
«Orbán ha ottenuto quello che voleva – ha dichiarato a Reuters un diplomatico europeo – nessun prestito di riparazione e nessuna partecipazione obbligatoria per Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia». Il conto per l’Ucraina, insomma, lo pagherà il resto dell’Europa, ma non le nazioni amiche della Russia.
I capi di governo Ue hanno stabilito che gli asset russi, pari a 210 miliardi di euro detenuti nell’Unione, continueranno a restare congelati finché Mosca non avrà pagato le riparazioni di guerra all’Ucraina (ammesso che la guerra la vinca l’Ucraina stessa). La decisione lega lo sblocco dei fondi russi al riconoscimento formale delle riparazioni da parte della Russia, un obbligo giuridico che scatterebbe solo dopo la conclusione del conflitto e un’eventuale sentenza internazionale, come quelle della Corte internazionale di giustizia o meccanismi G7.
In caso, invece, di sconfitta ucraina o persino di conquista russa dell’intero territorio ucraino — scenari non esplicitamente affrontati nella decisione Ue — gli asset russi resterebbero comunque congelati per effetto della recente decisione di congelamento a tempo indeterminato (e non più da approvare all’unanimità in sede Ue a cadenza semestrale), assunta per evitare che Stati come Ungheria o Slovacchia possano sbloccarli mettendo un veto.

IL CONTO LO PAGANO I CITTADINI EUROPEI

L’Europa ha optato per un prestito da 90 miliardi di euro garantito dal bilancio comune, rimborsabile dall’Ucraina solo se e quando Mosca verserà le riparazioni. Altrimenti, i costi graveranno sui bilanci europei, senza toccare i beni russi.

E questa è la parte poco piacevole dell’accordo, in netto contrasto con la linea dell’amministrazione Trump che, per prima cosa al suo insediamento, si è assicurata di poter rientrare delle spese sostenute per aiutare l’Ucraina con diversi accordi commerciali vantaggiosi per gli Stati Uniti. Secondo, infatti, quanto concordato nello United States-Ukraine Reconstruction Investment Fund istituito da Trump nel febbraio-maggio 2025, gli Stati Uniti si garantiscono il 50% dei ricavi futuri da diritti, licenze e canoni su metalli di importanza strategica estratti in Ucraina (litio, titanio, terre rare), oltre che su idrocarburi e infrastrutture correlate, al fine di recuperare le centinaia di miliardi di dollari spesi (solo) dall’America nei primi tre anni di guerra.
Il fondo, gestito pariteticamente da un consiglio di amministrazione misto Usa-Ucraina, reinveste i proventi in ricostruzione creando un meccanismo di rimborso  automatico e vantaggioso per Washington, che così non si trova a dover dipendere da ipotetiche, nel migliore dei casi, riparazioni russe.

Il fondo Usa-Ucraina — dotato di un nuovo capitale iniziale di 150 milioni di dollari paritariamente versati — diventerà pienamente attivo nei primi mesi del 2026, con i primi tre investimenti entro fine anno. Diversamente dal prestito europeo, non prevede scadenze né limiti temporali e risolve quindi in modo definitivo la questione degli aiuti a Kiev.
Ma l’Europa non è l’America.
«È una buona notizia per l’Ucraina e una cattiva notizia per la Russia, ed era proprio questo il nostro obiettivo», ha dichiarato il cancelliere tedesco Friedrich Merz.
Giorgia Meloni ha a sua volta accolto con favore l’accordo. La linea del presidente del Consiglio è che così prevalga il buonsenso e che così si garantisca aiuto a Kiev senza ricorrere agli asset russi congelati, evitando rischi legali e finanziari.La Meloni aveva infatti ribadito il doppio no italiano all’uso diretto dei beni russi, coordinando la propria posizione con la Germania di Friedrich Merz. Per Giorgia Meloni deve essere la Russia a pagare i danni, ma solo con base legale solida, per non regalare a Mosca una vittoria propagandistica.
Quanto al diretto interessato, Volodymyr Zelensky ha accolto con favore la concessione prestito da 90 miliardi di euro, definendola un «sostegno significativo» e ringraziando l’Europa per l’unità dimostrata e per aver mantenuto congelati gli asset russi, sottolineando come questo garantisca a Kiev una «sicurezza finanziaria per i prossimi anni».
Prima del vertice, Zelensky aveva insistito per l’uso diretto dei beni russi congelati, definendolo «l’unica decisione chiara e moralmente giustificata», ma poi ha accettato il compromesso sul prestito garantito dal bilancio Ue senza ulteriori critiche pubbliche, nonostante ammonti a poco più di un terzo degli asset russi.
 
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