I capi di Stato e di governo dell’Unione Europea stanno cercando di raggiungere nella giornata di oggi, 18 dicembre, un accordo su come trasferire miliardi di euro di finanziamenti all’Ucraina, in quello che è visto come un difficile banco di prova di coesione per la debole e frammentata Ue.
Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca si è da subito attivato per fermare il massacro in corso da tre anni in Ucraina, e Bruxelles si è scossa dal torpore, iniziando a considerare l’aggressione russa come una minaccia diretta alla sicurezza degli Stati europei. Da qui l’intento di appoggiare l’Ucraina affinché possa sostenere lo sforzo bellico.
La Commissione Europea ha proposto di utilizzare i beni congelati della Banca Centrale russa, in gran parte custoditi presso una “camera di compensazione” belga, come garanzia per un prestito di enormi dimensioni destinato a Kiev. Ma il Belgio ritiene che appropriarsi direttamente dei beni russi possa rappresentare un’operazione giuridicamente discutibile, e anche altri Stati tra cui l’Italia hanno espresso dubbi simili.
Ma non tutti i governi europei la vedono allo stesso modo: «Abbiamo davanti una scelta semplice: o denaro oggi o sangue domani. E non parlo soltanto dell’Ucraina, ma dell’Europa intera» ha dichiarato senza mezzi termini il primo ministro polacco Donald Tusk.
La von der Leyen, ha assicurato che non lascerà il summit senza un’intesa sul finanziamento dell’Ucraina per i prossimi due anni.
IL PROBLEMA GIURIDICO
L’appropriazione dei beni russi congelati in Europa per usarli per finanziare lo sforzo bellico ucraino è un’arma a doppio taglio.
Gli attivi della Banca Centrale russa godono di un’immunità quasi totale, e qualsiasi misura assimilabile a confisca o esecuzione forzata è problematico sul piano del diritto internazionale, come affermato in uno studio del Parlamento europeo sui beni russi.
Il nodo centrale è che l’Ue sta cercando di trasformare dei beni sovrani russi in base di garanzia per un prestito a favore dell’Ucraina, ma senza arrivare a una confisca formale, avventurandosi in una zona grigia dal punto di vista del diritto internazionale, del diritto europeo e della regolazione finanziaria.
I beni di una Banca Centrale straniera godono infatti di una forma rafforzata di immunità d’esecuzione: in linea di principio non possono essere pignorati né usati per soddisfare crediti contro lo Stato straniero, salvo rare e precise eccezioni. Usare quindi tali beni, anche solo come garanzia per un prestito legato a future riparazioni di guerra, è pericoloso perché rischia di violare il principio di immunità e di essere considerato un’esecuzione forzata di fatto, quindi un’operazione contraria al diritto internazionale consuetudinario.
D’altra parte, diversi giuristi e governi sostengono che – essendo fuori di dubbio la colpa della Russia (vista l’aggressione e la violazione di norme imperative del diritto internazionale, jus cogens) – delle contromisure eccezionali come il ricorso agli asset russi siano del tutto giustificate.
Altri temono invece la creazione di un pericoloso precedente, che legittimerebbe in futuro misure analoghe contro qualunque Stato non gradito per motivi politici, facendo crollare l’intero regime di immunità sovrana e quindi la fiducia nel sistema finanziario internazionale.
A CHE PUNTO SIAMO
Tornando al quotidiano, il primo ministro belga Bart De Wever ha dichiarato in Parlamento nella mattina di oggi di non aver ancora ricevuto garanzie sufficienti sui rischi legali e di liquidità, aggiungendo che i modelli secondo cui erogare i finanziamenti a Kiev per ora sono tutt’altro che definiti e chiari.
La Banca centrale russa ha denunciato come illegittimo il progetto europeo di usare i suoi beni congelati, riservandosi il diritto di adottare «tutti i mezzi disponibili» per tutelare i propri interessi. E pochi giorni fa Mosca ha intentato presso un tribunale russo una causa contro la camera di compensazione Euroclear (localizzata in Belgio), chiedendo un risarcimento di 230 miliardi di dollari, da quanto si può dedurre ora per il solo fatto di avere subito il congelamento dei beni.
La tensione è quindi già alta, come il rischio di sbagliare mossa. Anche perché, senza l’aiuto finanziario di Bruxelles, Kiev potrebbe ritrovarsi “senza soldi” entro la metà del prossimo anno. A quel punto, per l’Ucraina sarebbe finita e toccherebbe al prossimo Stato europeo, è (comprensibilmente) l’opinione dominante in Europa e non solo.
Tra le alternative al vaglio per evitare la confisca degli asset russi, figura quella di un prestito garantito dal bilancio dell’Unione da trasferire poi all’Ucraina. Ma questo richiederebbe l’unanimità dei ventisette Stati membri, e l’Ungheria (nazione “amica” del regime di Putin) ha già manifestato la sua più ferma contrarietà.
Un’ulteriore alternativa, sarebbe che ogni singolo Stato europeo disposto a concedere un prestito garantito, si finanziasse autonomamente sui mercati per poi girare i fondi a Kiev, ma questo aggraverebbe i già colossali debiti pubblici nazionali.
Per cui la scelta più realistica resta quella di “giocarsi il tutto per tutto” e impiegare i beni congelati della Russia, poiché consentirebbe di reperire ingenti risorse senza creare ulteriori sacrifici fiscali ai danni dei cittadini europei. Che, per inciso, non si vede perché mai dovrebbero pagare direttamente di tasca propria per le mire espansionistiche di Vladimir Putin (e, soprattutto, del regime comunista cinese, che combatte questa guerra attraverso lo Zar del Cremlino). Ma per procedere in questa direzione, l’Ue e i capi dei governi europei dovranno garantire al Belgio – che detiene ben 185 dei circa 210 miliardi di euro bloccati in Europa – che non verrà lasciato solo, se mai la Russia riuscisse a ottenere ragione in sede legale.