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Anche il Sud del mondo mira a far crescere le proprie economieLe esportazioni cinesi sono destinate a crollare
Il saldo commerciale cinese record del 2025 è un fuoco di paglia: le esportazioni verso l'Occidente sono state compensate da quelle verso il sud del mondo. Ma è una fuga in avanti che non risolve nessuno dei problemi del sistema cinese

Container cinesi alla China Shipping Holding Company Ltd. nel porto di Los Angeles a Wilmington, California, 4 febbraio 2025. Foto: REUTERS/Mike Blake.
Pechino sta infrangendo ogni primato nel commercio estero. Nei primi undici mesi del 2025, le esportazioni di prodotti cinesi hanno superato i 3.400 miliardi di dollari e l’attivo del saldo commerciale netto cinese ha toccato quota 1.080 miliardi di dollari.
Di fronte a cifre simili, gli organi di informazione si sono lasciati andare a toni entusiastici. Il Wall Street Journal, solitamente voce pacata, ha commentato i dati sottolineando il predominio della Cina. Ma dietro questi segnali positivi, si celano cenni di crisi per l’economia, destinati a manifestarsi presto.
La Cina ha raggiunto tali traguardi nonostante l’ostilità statunitense verso le proprie merci. Per anni, anche durante l’assenza di Trump dalla Casa Bianca, gli Stati Uniti hanno imposto dazi sui beni cinesi in entrata e adottato misure per scoraggiare gli scambi con il Paese asiatico. Nei mesi trascorsi dall’insediamento per il secondo mandato di Trump, la sua amministrazione ha inasprito tali ostacoli, aumentando drasticamente i dazi, introducendo tasse portuali speciali e limitando ulteriormente l’accesso di Pechino ai prodotti e ai mercati americani.
L’Unione europea, pur con toni meno accesi rispetto a quelli americani, ha intrapreso un percorso analogo, imponendo pesanti dazi sui veicoli elettrici di fabbricazione cinese e cercando in altri modi di tutelare quello che Macron ha recentemente definito il «modello industriale e di innovazione» del continente. Il Presidente francese si è spinto fino a minacciare la Cina di un ulteriore inasprimento fiscale qualora l’interscambio bilaterale tra le due economie non procedesse verso un maggiore equilibrio.
L’Unione europea, pur con toni meno accesi rispetto a quelli americani, ha intrapreso un percorso analogo, imponendo pesanti dazi sui veicoli elettrici di fabbricazione cinese e cercando in altri modi di tutelare quello che Macron ha recentemente definito il «modello industriale e di innovazione» del continente. Il Presidente francese si è spinto fino a minacciare la Cina di un ulteriore inasprimento fiscale qualora l’interscambio bilaterale tra le due economie non procedesse verso un maggiore equilibrio.
I risultati commerciali della Cina, invece, appaiano impressionanti. Non vi è dubbio, però, che la posizione americana ed europea abbia avuto delle ripercussioni sulle esportazioni. I dati di novembre mostrano una contrazione delle vendite cinesi verso gli Stati Uniti di quasi il 30% rispetto ai livelli dell’anno precedente. Allo stesso modo, la resistenza europea a un maggiore afflusso di merci cinesi ha iniziato a farsi sentire: i livelli delle esportazioni a ottobre erano inferiori dell’11,3% rispetto a maggio, attestandosi sui medesimi valori dell’ottobre 2024.
I record che hanno suscitato tanto fervore mediatico, quindi, derivano interamente da un drastico riorientamento cinese verso il Sud del mondo: i mercati dell’Asean, India, Medio Oriente, Africa e America Latina, dove il commercio cinese ha registrato incrementi significativi. Le esportazioni verso gli Asean sono infatti cresciute dell’11% rispetto all’anno scorso, per un totale di oltre 53 miliardi di dollari, compensando le perdite subite nei mercati occidentali.
Ma questa “valvola di sfogo” non funzionerà per sempre. Anche se il Sud del mondo riuscisse a raggiungere obiettivi di crescita ottimistici, sono economie troppo limitate per sostituire i mercati statunitense ed europeo. Inoltre è probabile che col tempo anche queste nazioni in via di sviluppo si oppongano al predominio dei prodotti cinesi, proprio come hanno fatto Stati Uniti e Europa. Anche questi Paesi aspirano a sviluppare delle capacità produttive proprie, che un costante afflusso di merci cinesi soffoca. E più la Cina dipenderà dal Sud del mondo per le proprie esportazioni, più tale resistenza aumenterà. L’India, ad esempio, ha già manifestato insofferenza per il calo delle proprie vendite in Cina a fronte di un’impennata delle importazioni, come anche Messico e Indonesia.
Ma questa “valvola di sfogo” non funzionerà per sempre. Anche se il Sud del mondo riuscisse a raggiungere obiettivi di crescita ottimistici, sono economie troppo limitate per sostituire i mercati statunitense ed europeo. Inoltre è probabile che col tempo anche queste nazioni in via di sviluppo si oppongano al predominio dei prodotti cinesi, proprio come hanno fatto Stati Uniti e Europa. Anche questi Paesi aspirano a sviluppare delle capacità produttive proprie, che un costante afflusso di merci cinesi soffoca. E più la Cina dipenderà dal Sud del mondo per le proprie esportazioni, più tale resistenza aumenterà. L’India, ad esempio, ha già manifestato insofferenza per il calo delle proprie vendite in Cina a fronte di un’impennata delle importazioni, come anche Messico e Indonesia.
A un livello ancora più profondo, il successo commerciale di quest’anno evidenzia l’incapacità della Cina di sviluppare motori di crescita interni. La perdita relativa dei mercati occidentali avrebbe dovuto rafforzare gli sforzi di Pechino per spingere i consumi e gli investimenti locali. Tuttavia, nonostante le rassicurazioni di facciata del regime, l’economia ha fallito completamente questa transizione.
La crisi immobiliare ed economica ha di certo contribuito a rendere il passaggio a un modello di crescita nazionale difficile, nonostante rimanga essenziale. Tale fallimento ha lasciato la Cina dipendente dalle esportazioni e in balia degli eventi esteri. Questo dato assumerà una rilevanza fondamentale quando, come è probabile, anche il Sud del mondo si stancherà del danno arrecato alle proprie economie dall’inondazione di merci cinesi.
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