Il regime cinese non ha mai rispettato gli accordi commerciali

di Milton Ezrati per ET usa
23 Luglio 2025 19:53 Aggiornato: 23 Luglio 2025 19:53

Da anni, le aziende e il governo americano denunciano con forza il sostegno della Cina a pratiche commerciali disoneste delle imprese cinesi, come il furto di brevetti, diritti d’autore, marchi e segreti industriali. Nel recente clamore per i dazi, molti hanno dimenticato che i primi dazi imposti dall’amministrazione Trump tra il 2018 e il 2019 miravano anche a costringere la Cina a contrastare queste violazioni. Ora Pechino sembra aver reagito, almeno in apparenza. Nelle ultime settimane, il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo — l’organo che ratifica le decisioni del regime — ha modificato la legge contro la concorrenza sleale, per dare un minimo di riscontro alle accuse degli Stati Uniti. Resta però il dubbio su quanto queste nuove norme saranno applicate con rigore. Ma, se il regime cinese le implementerà con decisione, le tensioni commerciali potrebbero ridursi in modo significativo.

Le nuove norme, che entreranno in vigore il 15 ottobre, toccano diversi punti considerati cruciali da Washington. Primo, semplificano la denuncia di pratiche sleali alle autorità. Secondo, chiariscono l’uso corretto dei marchi registrati, definendo gli abusi come “atti di confusione”. Terzo, estendono le tutele anche ai marchi non registrati ma noti. Quarto, la responsabilità viene estesa anche a chi facilita le violazioni, come le piattaforme digitali. Quinto, le sanzioni sono state inasprite. Infine, viene vietato espressamente il furto di dati.

Tuttavia, Pechino non ha eliminato una coercizione inaccettabile per gli Stati Uniti: l’obbligo per le aziende straniere di collaborare con partner locali e trasferire al regime le proprie tecnologie e i propri segreti industriali. Ciononostante, queste modifiche rappresentano un passo avanti verso le richieste americane, a condizione che il Partito comunista cinese le applichi con la determinazione promessa. In passato, Pechino ha spesso (per non dire sempre) deluso, non dando seguito alle parole con i fatti. L’intesa siglata con Washington nel 2020, ad esempio, prevedeva decisioni rapide ed eque sulle denunce Usa per violazioni di brevetti, diritti d’autore e marchi, ma il Pcc ha fatto ben poco.

Recentemente sono emersi dubbi anche su un altro accordo, che prevedeva un aumento delle esportazioni di tecnologia americana verso la Cina in cambio della rimozione dei limiti cinesi alle terre rare dirette agli Stati Uniti. Washington ha subito autorizzato la vendita di software per la progettazione di chip da parte di aziende come Synopsys, Cadence Design Systems e la tedesca Siemens. La Cina ha risposto aumentando le spedizioni di terre rare verso gli Usa, ma i volumi restano inferiori ai livelli precedenti il blocco imposto da Pechino il 4 aprile.

Il ministro del Tesoro americano, Scott Bessent, si dice fiducioso che la Cina rispetterà gli impegni e incrementerà le esportazioni, ma un eventuale passo falso non sorprenderebbe, visto il passato. La sua fiducia sembra poggiare più sulla minaccia di nuovi dazi da parte dell’amministrazione Trump che sulle promesse del Pcc. Il ministro lo ha lasciato intendere, pur con usando toni cauti.

La realtà si vedrà presto, con il flusso di terre rare e il livello di soddisfazione delle imprese americane per le decisioni dei tribunali cinesi su brevetti, diritti d’autore e marchi. Qualunque sia il risultato, inciderà sulla prossima fase dei negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti.


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