I portatori di verità e l’ardente invito di Henri Amiel a dialogare con Dio
«Nelle questioni importanti della vita siamo sempre soli. I nostri pensieri più profondi non possono essere compresi dagli altri. La parte migliore del dramma che si svolge nel profondo della nostra anima è un monologo, o meglio, una conversazione molto sincera tra Dio, la nostra coscienza e noi stessi»
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Joseph Hornung, Ritratto di Henri-Frédéric Amiel, 1852. Pubblico dominio.
Quanto possono arrivare lontano le parole? Mentre autori celebri come Victor Hugo, Henry James, George Meredith e Fëdor Dostoevskij rovesciavano valanghe di prosa nel mondo, un oscuro professore svizzero, Henri Amiel (1821-1881), sedeva nella sua stanza silenziosa e scriveva: «Nelle questioni importanti della vita siamo sempre soli. I nostri pensieri più profondi non possono essere compresi dagli altri. La parte migliore del dramma che si svolge nel profondo della nostra anima è un monologo, o meglio, una conversazione molto sincera tra Dio, la nostra coscienza e noi stessi».
A questa conversazione molto sincera e molto bella, che si avvicina alle frontiere più estreme della parola e della ragione, possiamo accedere grazie alla sua opera Amiel’s Journal: The Journal Intime of Henri Frédéric Amiel (Il diario di Amiel: Diario intimo di Henri Frédéric Amiel), che non era destinata agli occhi del mondo. In essa è registrata la crescita dell’autore come essere umano dal suo ventiseiesimo anno fino alla morte, avvenuta a 59 anni.
La pubblicazione di questo libro ha impressionato i circoli più famosi d’Europa.
Una versione ridotta, di circa seicento pagine, ricavata da ben 17 mila pagine di manoscritto, fu pubblicata da alcuni amici intimi poco dopo la sua morte. Inizialmente l’opera conquistò l’Europa e fu molto apprezzata nei circoli intellettuali più elevati, tradotta nelle principali lingue, discussa, commentata, dibattuta, fino a quando, alcuni decenni dopo, cadde improvvisamente in disuso e finì nel dimenticatoio.
Le prime righe contengono una confessione: «Non sono libero! Mi manca la forza di realizzare la mia volontà». La sua volontà, in questo caso, era quella di mettere per iscritto e ordinare i suoi pensieri. Disciplinarsi in questo doveva risultare difficile, dato che a volte ci sono lunghi intervalli tra una nota e l’altra, ma Amiel certamente non mancò di perseveranza. Lentamente, pazientemente, descrive il mondo esterno in cui si muoveva e rivela anche un meraviglioso mondo interiore, pieno di stupore, compassione, amore per la verità e, soprattutto, un amore ardente per quel grande mistero al quale pregava e che chiamava Dio.
IL MONDO SENZA
La società europea tradizionale ai tempi di Amiel era, come lo era stata per secoli, teatro di conflitti, lotte di classe e ingiustizie, nonostante la sua facciata di prosperità e ordine. Gli scrittori del passato che egli ammirava di più la condannavano: Blaise Pascal (1623-1662) la criticava aspramente nei Pensieri, e chiedeva: «Guardatevi intorno. Cosa ne pensano del mondo le persone? Pensano alla ricchezza e al potere, ma non pensano affatto a cosa significhi essere umani». E Immanuel Kant (1724-1804) scriveva: «Come possono le persone essere felici se non sono educate ad avere elevati principi morali?».
Amiel pensava che fosse necessaria solo una cosa: «Essere ciò che dovremmo essere, per compiere la nostra missione e il nostro lavoro. Abbiamo dentro di noi un oracolo che è sempre in attesa, la coscienza, che non è altro che Dio in noi». La verità di questa osservazione è forse qualcosa a cui possiamo aggrapparci ancora oggi. Sicuramente l’unico bene che ognuno di noi può realizzare proviene dalla nostra mente e dal nostro cuore, dalla conoscenza di noi stessi. Che possa influenzare poche persone o una moltitudine non è affar nostro.
IL MONDO INTERIORE
Rispetto a Pascal e Kant, Amiel si è mostrato più “gentile” preferendo nutrire speranza in cose migliori nelle successive generazioni, in particolare dai bambini: «Nuove aggiunte di innocenza e purezza, che lottano contro la fine dell’umanità e contro la nostra natura corrotta, e contro la nostra completa immersione nel peccato». C’è speranza, e forse anche consolazione, nel trasmettere la saggezza raccolta dai grandi veggenti e, cosa ancora più importante, nell’essere un esempio, vivendo una vita giusta e gentile.
Per combattere la natura corrotta e le menzogne del nostro tempo, abbiamo una risorsa sicura: dire la verità noi stessi, soprattutto a noi stessi. Scriveva: «Siamo sinceri. Questo è il mistero della retorica e della virtù, questo è il mistero più grande, questo è il risultato più alto nell’arte e la legge principale della vita».
Il modesto professore svizzero sfidò l’immoralità del suo mondo cercando, nel miglior modo possibile, di vivere lui stesso una vita morale. «La civiltà è prima di tutto una questione morale. Senza verità, rispetto per il dovere, amore per il prossimo, virtù, tutto è distrutto. La moralità di una società è l’unica base di una civiltà».
Ha resistito al materialismo e alla vanità dilaganti che lo circondavano vivendo una vita spirituale. In tutto il diario cita sia la saggezza orientale che quella occidentale. I santi di tutte le nazioni e di tutte le epoche concordano sul fatto che il Regno di Dio è dentro di noi. Amiel annota: «Sento intensamente che l’uomo, in tutto ciò che fa o è in grado di fare di bello, grande, buono, è solo l’organo e il veicolo di qualcosa o qualcuno più elevato di lui stesso. Questo sentimento è religione. L’uomo religioso osserva con un brivido di sacra gioia i fenomeni di cui è intermediario, senza esserne l’origine».
Paul Troger, Scena tratta dall’Apocalisse in un affresco del 1733 nella Chiesa abbaziale di Altenburg, Austria. Wolfgang Sauber/CC BY-SA 4.0
È l’anima individuale, non il governo né la società, che porta l’umanità verso un futuro migliore. È il lavoro interiore che cambia impercettibilmente il mondo esterno. Amiel afferma: «Il percorso della vita dovrebbe essere la nascita di un’anima. Questa è l’alchimia più elevata, che giustifica la nostra presenza sulla Terra. Questa è la nostra vocazione e la nostra virtù». Quando l’anima matura, porta il proprio raccolto miracoloso, la capacità «di vedere tutte le cose in Dio, di rendere la propria vita un viaggio verso l’ideale, di vivere con compostezza e gratitudine, dolcezza e coraggio».
Questo modo di vivere è stato il lavoro silenzioso e umile di grandi e piccoli uomini, svolto con gioia e pazienza nel corso dei secoli. È la realizzazione della preghiera recitata in tanti modi, in tante lingue, da tutte le persone di tutte le fedi: «Venga il tuo regno». La risposta arriverà nel momento stabilito da Dio.