Come riconoscere la vera arte

di Redazione ETI/Raymond Beegle
31 Maggio 2025 16:22 Aggiornato: 31 Maggio 2025 16:22

La critica della musica e della poesia non è riducibile a scienza: per sua natura deriva dalla mutevolezza dell’animo umano.

Un certo giorno, alcune cose che pensiamo di sapere e di cui siamo convinti si rivelano false. Idee come «la Terra è piatta» o «il sole gira intorno alla Terra», riportateci dalla Storia e confutate, ci dovrebbero rendere un po’ più cauti nel giungere a delle conclusioni o nell’esprimere giudizi.

Anche nel mondo dell’arte, per quanto riguarda le questioni estetiche, si può osservare che le opere create dagli artisti appaiono spesso come grandi misteri, le cui qualità e leggi vanno ben oltre la nostra conoscenza o comprensione. E riuscire a valutare se siano buone o cattive è un terreno ancora più insidioso. La Nona Sinfonia, grande mistero di Beethoven, è stata percepita in molti modi, tanti quanti sono stati gli ascoltatori: ad alcuni è sembrata sublime, ad altri mostruosa. Lo storico della musica e romanziere Romain Rolland l’ha definita «un trionfo insuperabile dello spirito umano», mentre Ludwig Spohr, compositore tedesco contemporaneo di Beethoven, la definì grottesca, insipida e banale.

W.J. Mähler, Beethoven nel 1804, anno in cui iniziò a lavorare alla Quinta Sinfonia; particolare. Pubblico dominio

Robert Schumann di Richard Wagner diceva: «per dirla in breve, non è un buon musicista» e, della sua musica, che fosse «spesso piuttosto dilettantesca, priva di senso e ripugnante». Il compositore precoce Anton Bruckner, invece, incontrando Wagner, cadde in ginocchio e gli baciò la mano. Durante l’esecuzione del Parsifal, il compositore più anziano dovette tenere a freno Bruckner, chiedendogli di non applaudire così forte.

Bruckner fu a sua volta definito «uno sciocco e mezzo» dal ricco e potente critico viennese Eduard Hanslick, ma Jean Sibelius, mente più profonda e cuore più generoso, lo definì «il più grande compositore vivente».

Johannes Brahms era adorato da Clara Schumann, che scrisse «è uno di quelli che sembra vengano direttamente da Dio», mentre Benjamin Britten aveva altre idee: «Ogni tanto ascolto tutto Brahms per vedere se è così cattivo come pensavo – e di solito lo trovo peggiore». Čajkovskij in una lettera a un amico scrisse che avrebbe voluto dire: «Signor Brahms! Penso che lei sia una persona senza talento, pretenziosa e completamente priva di ispirazione».

Fotografia di Johannes Brahms nel 1866 di Lucien Mazenod. Pubblico dominio

Ma lo stesso compositore russo subì le varie frecciate di persone presumibilmente “esperte”: alla prima esecuzione, il suo grande concerto in si bemolle minore non fu accolto bene. Nikolai Soloviev, compositore, critico e professore al Conservatorio di San Pietroburgo, osservò: «Il primo concerto per pianoforte di Čajkovskij, come la prima frittella, è un flop».

Anche il potente zar Alessandro III aveva opinioni negative. Nel suo diario, Čajkovskij scrisse: «Lo zar mi ha detto in modo altezzoso: «Molto carino !!!!! [sic] mi disse dopo le prove [de’ La Bella addormentata]. Dio lo benedica». Igor Stravinsky, invece, ha venerato il compositore fino ai suoi ultimi giorni e ha dedicato il balletto Il bacio della fata alla sua memoria.

CHE OGNUNO GIUDICHI

Queste testimonianze sia per l’accusa che per la difesa portano a un solo possibile verdetto: ogni critica è precaria, personale e soggetta a cambiamenti. Non c’è e non può esserci una spiegazione del perché un brano musicale piaccia a un uomo e non piaccia a un altro: è e rimarrà un mistero.

Una frase tratta da una poesia di John Greenleaf Whittier dice: «Noi bambini più grandi andiamo a tentoni, dal buio dietro di noi al buio che abbiamo davanti». Ma nel nostro brancolare, di tanto in tanto ci imbattiamo in qualcosa di più o meno solido, qualcosa che possiamo usare come pietra di paragone per capire che cosa può esserci che vada oltre quello che può piacere o non piacere, riconoscere che cosa è buono o cattivo, autentico o falso.

Per esempio, nel tempo stesso: il tempo è un giudice che decide che cosa sarà ricordato e cosa dimenticato. O in quello che Virginia Woolf ha descritto come «la sensazione di essere aggiunti». La cosa più convincente di tutte potrebbe essere l’idea del filosofo Immanuel Kant nella Critica del giudizio, secondo cui «se le belle arti non sono impregnate di ideali morali comuni a tutta l’umanità, allora possono servire solo come frivoli divertimenti a cui la gente ricorre per spegnere il malcontento che nutre verso se stessa».

Ognuno può interrogare se stesso e poi giudicare. Einstein diceva che non dovremmo mai perdere la “santa curiosità”.

Consigliati