Il Partito comunista cinese sta promuovendo lo yuan come valuta per il commercio e i pagamenti. A marzo, i pagamenti transfrontalieri in yuan hanno raggiunto un livello record, e la Banca Centrale ha ampliato le linee di swap valutario con le Banche Centrali straniere fino a 4 mila 300 miliardi di yuan (591 miliardi di dollari). Paesi come l’Argentina e il Pakistan stanno approfondendo la cooperazione finanziaria basata sullo yuan, e Unionpay sta espandendo i sistemi di pagamento con codice Qr nel Sudest asiatico per ridurre la dipendenza dal dollaro nel turismo e nelle transazioni delle piccole imprese. La Cina sta anche promuovendo lo yuan digitale per il commercio di materie prime e per prezzare beni chiave come il petrolio e l’oro in yuan. La Banca popolare cinese sta rafforzando i servizi finanziari di Shanghai, espandendo il Cips (il sistema cinese di pagamenti transfrontalieri in yuan) e investendo in infrastrutture basate su blockchain. Sebbene lo yuan rappresenti ancora solo circa il 4 per cento dei pagamenti mondiali, rispetto a oltre il 50 per cento del dollaro statunitense, i funzionari cinesi vedono nelle crescenti tensioni geopolitiche e nella diminuzione della fiducia negli asset statunitensi un’opportunità per espandere il ruolo internazionale dello yuan, soprattutto tra i mercati emergenti.
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Le contraddizioni nella politica monetaria cinese
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Tuttavia, l’ambizione del Pcc di posizionare lo yuan come valuta potente nel commercio mondiale sta affrontando nuove difficoltà. La convertibilità limitata dello yuan e le sue deboli prestazioni a lungo termine continuano a renderlo poco attraente per gli investitori. Un problema aggravato dall’inizio della seconda guerra commerciale dell’amministrazione Trump, che ha innescato pessimismo tra gli investitori. Gli analisti prevedono che nel 2025 lo yuan potrebbe perdere fino al 10% rispetto al dollaro. Rispetto alla precedente guerra commerciale, lo yuan è oggi più vulnerabile a causa di investimenti esteri più deboli, rendimenti obbligazionari in calo e un’economia interna in rallentamento. Sebbene ci si aspetti che la Banca popolare cinese resista a un deprezzamento rapido nel breve termine, potrebbe comunque consentire un indebolimento graduale dello yuan per preservare la competitività delle esportazioni.
Ma una valuta che si indebolisce costantemente è essenzialmente in contrasto con l’obiettivo del Pcc di stabilire lo yuan come valuta di riserva mondiale. Un problema fondamentale è quello della conservazione del valore: le valute di riserva devono mantenere il potere d’acquisto nel tempo. Una valuta deliberatamente indebolita non è un asset di riserva adatto, poiché un valore in calo è proprio quello che i governi stranieri e gli investitori vogliono di evitare.
Il punto qui è la fiducia: lo status di valuta internazionale dipende dalla convinzione che il paese emittente non manipolerà i tassi di cambio per guadagni a breve termine. Gli interventi ripetuti di Pechino per svalutare lo yuan segnalano una disponibilità a sacrificare la stabilità valutaria in cambio di vantaggi commerciali. Di conseguenza, gli investitori internazionali sono esposti a rischi valutari guidati da motivazioni politiche.
La Cina è insomma caduta nella sua stessa “trappola dello yuan”: l’economia avrebbe bisogno di una valuta più debole per la competitività, ma la Banca Centrale cinese non può agire a causa delle ambizioni di Xi per lo yuan e delle preoccupazioni sulle reazioni dei partner commerciali. Questa contraddizione interna di Xi Jinping rispetto alla politica monetaria – promuovere l’internazionalizzazione dello yuan mentre e limitare contemporaneamente la mobilità dei capitali e resistere all’apprezzamento – attira sempre più l’attenzione a livello internazionale.
Il Tesoro statunitense sta adeguando il suo monitoraggio dei cambi esteri per includere le attività delle banche statali e dei fondi sovrani. Questi segnali contrastanti, i rigidi controlli sui capitali, gli sforzi per internazionalizzare lo yuan e gli interventi nascosti per deprezzare artificiosamente la valuta sollevano seri interrogativi sulla coerenza e sulla sostenibilità della strategia valutaria del Pcc sotto Xi. Come minimo, queste politiche conflittuali sono destinate a ritardare ulteriormente l’accettazione dello yuan come valuta mondiale. Nel breve termine, potrebbero aiutare le esportazioni cinesi, ma solo in misura limitata. Con i dazi statunitensi che ora vanno dal 15 al 145 per cento, uno “sconto valutario” del 10 per cento non basterà a compensare gli acquirenti che stanno già cercando mercati di approvvigionamento alternativi.
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