Le operazioni militari americane hanno anche l’obiettivo strategico di ricreare l'area di influenza statunitense in America Latina
Le vere ragioni dietro la crisi Stati Uniti-Venezuela
I video in cui i militari statunitensi distruggono imbarcazioni venezuelane accusate di essere cariche di droga solo soltanto la punta dell’iceberg di un’operazione molto più articolata e rispecchiano decenni di tensioni in Sud America

Immagine di archivio. Manifestanti marciano contro la visita del presidente degli Stati Uniti George W. Bush a Mar del Plata, venerdì 4 novembre 2005. Sullo striscione i volti dei presidenti latinoamericani di area comunista
Photo: da sinistra a destra: Fidel Castro, Hugo Chávez, Néstor Kirchner, Lula da Silva e Tabaré Vázquez. Foto ANSA/CHICO SANCHEZ/WFO.
I video in cui i militari statunitensi distruggono imbarcazioni venezuelane accusate di essere cariche di droga solo soltanto la punta dell’iceberg di un’operazione molto più articolata e rispecchiano decenni di tensioni in Sud America.
Navi da guerra americane sono state dislocate nei Caraibi, truppe statunitensi stanno svolgendo esercitazioni a Porto Rico, Donald Trump ha dichiarato chiuso lo spazio aereo venezuelano e ha addirittura dichiarato il Cartel de los Soles organizzazione terroristica.
Gli Stati Uniti considerano oggi Nicolás Maduro non solo il capo di un cartello della droga, ma anche il capo di un’organizzazione terroristica. È quindi legittimo chiedersi: che cosa sta realmente accadendo? Si tratta di un tentativo di interferenza, di cambio di regime? È una questione di petrolio o di risorse naturali? Oppure l’obiettivo è davvero fermare il narcotraffico e distruggere i cartelli della droga?
Gli Stati Uniti considerano oggi Nicolás Maduro non solo il capo di un cartello della droga, ma anche il capo di un’organizzazione terroristica. È quindi legittimo chiedersi: che cosa sta realmente accadendo? Si tratta di un tentativo di interferenza, di cambio di regime? È una questione di petrolio o di risorse naturali? Oppure l’obiettivo è davvero fermare il narcotraffico e distruggere i cartelli della droga?
In effetti è tutte queste cose insieme. E molto di più. Quello che vediamo in superficie è solo la parte emersa di un conflitto che affonda le radici in molteplici fronti: dalla quasi-guerra per il petrolio tra Venezuela e Guyana, alle controverse elezioni del 2018 (riconosciute persino dall’amministrazione Biden come vinte da Juan Guaidó), fino alla lotta per il controllo territoriale che vede Cina, Russia e Iran aver costruito solide reti in Venezuela in chiave anti-statunitense.
DA DOVE INZIANO I PROBLEMI DEL VENEZUELA
Per comprendere davvero la situazione, occorre tornare alla cosiddetta «onda rosa», il ciclo di governi socialisti che ha travolto l’America Latina tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila. All’epoca il Venezuela era un Paese profondamente diverso: una delle economie più dinamiche del continente, una democrazia stabile e un alleato stretto degli Stati Uniti.
Inizialmente, l’economia venezuelana ruotava quasi interamente attorno al petrolio e, per la maggior parte dei cittadini, le condizioni di vita erano sensibilmente migliori. Poi arrivarono gli sprechi, l’indebitamento crescente e, negli anni Ottanta, il declino. La crisi bancaria del 1994 fece il resto. La gente chiedeva prezzi accessibili e si affidava a chi prometteva di prendere ai ricchi per dare al «popolo». Non immaginava che avrebbe reso tutto infinitamente peggio. Il tracollo è stato totale.
Inizialmente, l’economia venezuelana ruotava quasi interamente attorno al petrolio e, per la maggior parte dei cittadini, le condizioni di vita erano sensibilmente migliori. Poi arrivarono gli sprechi, l’indebitamento crescente e, negli anni Ottanta, il declino. La crisi bancaria del 1994 fece il resto. La gente chiedeva prezzi accessibili e si affidava a chi prometteva di prendere ai ricchi per dare al «popolo». Non immaginava che avrebbe reso tutto infinitamente peggio. Il tracollo è stato totale.
Uno studio dell’Economics Observatory del settembre 2024 ricorda che Hugo Chávez «attuava esattamente il tipo di politica macroeconomica sbagliata» negli anni del boom petrolifero, quando i prezzi delle materie prime raggiungevano livelli record. E dopo l’arrivo di Maduro al potere nel 2013, l’impatto è stato devastante: tra il 2013 e il 2023 il tenore di vita è crollato di circa il 74 per cento, il quinto peggior calo della storia economica moderna, e senza che ci fosse una guerra. Solo pessime decisioni economiche, cioè socialismo puro: controllo statale capillare su ogni aspetto dell’economia, a livello sia micro sia macro. Una catastrofe.
Dietro le quinte, però, si muoveva ben altro: interessi stranieri e accordi segreti con regimi comunisti iniziati anche prima di Chávez, ma di cui era stato lui farne una strategia di politica internazionale, rompendo con Washington e stringendo legami con L’Avana e altri regimi comunisti. Secondo un’inchiesta Cnn del 2019, Fidel Castro definiva quel piano il suo «grande scherzo ai gringos». Castro voleva petrolio venezuelano per liberare Cuba dalla dipendenza economica americana, ma l’allora presidente Rómulo Betancourt aveva rifiutato. L’accordo arrivò però con Chávez, nel 1998. I due leader maximi divennero amici intimi e gettarono le basi per una nuova alleanza comunista latinoamericana. Castro assunse il ruolo di patriarca, Chávez quello dell’erede della sinistra continentale. I confini tra Venezuela e Cuba da lì in poi cominciano a sfumare. Chávez parlava di Venezuela e Cuba come di un’unica grande patria, la «Gran Patria». Morto Chávez, era già pronto a entrare in azione il successore da lui stesso designato: Nicolás Maduro.
Per questo gli Stati Uniti – sia con Trump sia con Biden – non hanno mai riconosciuto Maduro come legittimo presidente del Venezuela. I venezuelani sapevano che il loro Paese si era consegnato a Cuba, che Chávez aveva infiltrato l’industria petrolifera con i suoi fedelissimi mandando in rovina l’economia, e che stavano perdendo la sovranità a favore dell’influenza cubana. E Guaidó aveva vinto le elezioni del 2018 proprio promettendo di spezzare quella sudditanza. Ma non era così semplice: eliminare l’influenza cubana significava colpire anche quella russa, iraniana e soprattutto del Partito comunista cinese.
Per questo gli Stati Uniti – sia con Trump sia con Biden – non hanno mai riconosciuto Maduro come legittimo presidente del Venezuela. I venezuelani sapevano che il loro Paese si era consegnato a Cuba, che Chávez aveva infiltrato l’industria petrolifera con i suoi fedelissimi mandando in rovina l’economia, e che stavano perdendo la sovranità a favore dell’influenza cubana. E Guaidó aveva vinto le elezioni del 2018 proprio promettendo di spezzare quella sudditanza. Ma non era così semplice: eliminare l’influenza cubana significava colpire anche quella russa, iraniana e soprattutto del Partito comunista cinese.
Il Venezuela, un tempo, era uno Stato pilastro della Dottrina Monroe, la politica statunitense che considerava l’America Latina il proprio “cortile di casa”. Prima di Chávez, Caracas aveva tenuto una linea filoccidentale: durante la Guerra fredda i partiti comunisti erano stati repressi, e i rapporti con l’Urss erano pessimi.
Salito al potere, Chávez ha dichiarato morta la Dottrina Monroe (nel 2006 all’Assemblea generale Onu gridava «imperialisti yankee, andate a casa») e creato organismi alternativi che escludono Stati Uniti e Canada: Unasur, Celac, Alleanza bolivariana (Alba). A questo si sommano oltre 200 accordi di cooperazione militare Venezuela-Russia, l’apertura all’Iran (fabbriche e banche), e centinaia di accordi militari e d’intelligence con il regime comunista cinese. Con Chavez, poi, il Venezuela è diventato il banco di prova della Nuova via della Seta cinese, un modello geopolitico di strozzinaggio che ha sostituito con la trappola del debito la Dottrina Monroe. Morto Chávez il regime cinese ha approfondito ulteriormente la propria penetrazione in Venezuela e il risultato è la situazione attuale: miseria, criminalità e rovina.
Salito al potere, Chávez ha dichiarato morta la Dottrina Monroe (nel 2006 all’Assemblea generale Onu gridava «imperialisti yankee, andate a casa») e creato organismi alternativi che escludono Stati Uniti e Canada: Unasur, Celac, Alleanza bolivariana (Alba). A questo si sommano oltre 200 accordi di cooperazione militare Venezuela-Russia, l’apertura all’Iran (fabbriche e banche), e centinaia di accordi militari e d’intelligence con il regime comunista cinese. Con Chavez, poi, il Venezuela è diventato il banco di prova della Nuova via della Seta cinese, un modello geopolitico di strozzinaggio che ha sostituito con la trappola del debito la Dottrina Monroe. Morto Chávez il regime cinese ha approfondito ulteriormente la propria penetrazione in Venezuela e il risultato è la situazione attuale: miseria, criminalità e rovina.
Allo stesso tempo, la rete cubano-venezuelana, finanziata da petrolio e droga, ha espulso la presenza degli Stati Uniti in favore di Russia, Iran e regime cinese. Leader carismatici di estrema sinistra sul modello di Chávez e Maduro hanno preso il potere in tutto il subcontinente americano: Lula in Brasile, Kirchner in Argentina, Morales in Bolivia, Correa in Ecuador. Tutti con lo stesso programma: rifiutare la Dottrina Monroe in favore della Nuova via della Seta della dittatura comunista cinese, accettare prestiti a strozzo concepiti già in partenza per non essere pagabili e cadere sempre più sotto il controllo di Pechino.
Molte di queste politiche hanno visto la luce, dopo la caduta del Muro di Berlino, nel Foro di San Paolo, fondato nel 1990 da Lula e Fidel Castro: una nuova internazionale comunista che riuniva oltre cento partiti, movimenti di sinistra e persino organizzazioni narco-terroristiche come le Farc e il Cartel de los Soles. L’obiettivo del Foro di San Paolo era uno: cacciare gli Stati Uniti e portare al potere regimi di estrema sinistra, tenuti in piedi negli anni da miliardi di prestiti cinesi, concessi senza condizioni del Fondo monetario internazionale.
La realtà di quegli accordi capestro è emersa con chiarezza nelle elezioni venezuelane del 2018, quando Guaidó ha vinto promettendo di smantellare il socialismo fallito e l’influenza cubana. Ma Maduro è rimasto al potere ugualmente: nel 2019, nel pieno delle proteste, Guaidó ha tentato di formare un governo ad interim, e Maduro ha risposto con la repressione delle sue milizie legate a doppio filo al Cartel de los Soles.
Molte di queste politiche hanno visto la luce, dopo la caduta del Muro di Berlino, nel Foro di San Paolo, fondato nel 1990 da Lula e Fidel Castro: una nuova internazionale comunista che riuniva oltre cento partiti, movimenti di sinistra e persino organizzazioni narco-terroristiche come le Farc e il Cartel de los Soles. L’obiettivo del Foro di San Paolo era uno: cacciare gli Stati Uniti e portare al potere regimi di estrema sinistra, tenuti in piedi negli anni da miliardi di prestiti cinesi, concessi senza condizioni del Fondo monetario internazionale.
La realtà di quegli accordi capestro è emersa con chiarezza nelle elezioni venezuelane del 2018, quando Guaidó ha vinto promettendo di smantellare il socialismo fallito e l’influenza cubana. Ma Maduro è rimasto al potere ugualmente: nel 2019, nel pieno delle proteste, Guaidó ha tentato di formare un governo ad interim, e Maduro ha risposto con la repressione delle sue milizie legate a doppio filo al Cartel de los Soles.
La situazione era così grave che Trump allora aveva ventilato la possibilità di un intervento armato; Mosca aveva risposto inviando bombardieri strategici Tu-160, forniture di armi e consiglieri militari, minacciando «conseguenze catastrofiche» in caso di intervento americano. Con l’intervento diplomatico cinese, Maduro era riuscito a rimanere al potere, ma l’economia venezuelana finiva nel baratro.
Nel 2020 il ministero della Giustizia statunitense incriminava Maduro e 14 funzionari venezuelani per narco-terrorismo, corruzione e traffico di droga, accusandoli di aver usato la cocaina «come arma» per colpire gli Stati Uniti con la complicità delle Farc.
Nel 2020 il ministero della Giustizia statunitense incriminava Maduro e 14 funzionari venezuelani per narco-terrorismo, corruzione e traffico di droga, accusandoli di aver usato la cocaina «come arma» per colpire gli Stati Uniti con la complicità delle Farc.
LA GUERRA IN SUD AMERICA
Venendo finalmente a oggi, al ritorno di Trump alla Casa Bianca nel 2025, il Tesoro americano ha ripreso la pressione: le sanzioni al Cartel de los Soles, la dichiarazione di organizzazione terroristica internazionale e l’identificazione di Maduro come suo capo.
Ma qui c’è un antefatto di importanza cruciale: prima della classificazione di organizzazione terroristica, prima degli attacchi ai natanti che trasportano droga, il Sud America era sull’orlo di una guerra: il Venezuela stava preparando l’invasione della Guyana. Nel 2015, al largo delle coste della Guyana, era stato scoperto uno dei giacimenti petroliferi più grandi al mondo (oltre 700 milioni di barili), e ExxonMobil era in prima linea per lo sfruttamento.
Ma anche Maduro, col Venezuela in piena crisi economica e incapace di sfruttare il proprio petrolio, voleva mettere le mani su quel giacimento. Nel dicembre 2023, quindi, Maduro indiceva un referendum-farsa con cui i venezuelani «approvavano» l’annessione della regione dell’Essequibo (in spregio alla decisione della Corte internazionale di giustizia), per poi annunciare l’invio delle proprie truppe vicino alle piattaforme Exxon e l’affidamento delle licenze petrolifere a compagnie statali venezuelane.
In qutto questo, la neo-insediata amministrazione Trump 2, nel marzo 2025 lancia un avvertimento chiaro attraverso la voce di Marco Rubio: «Sarebbe un giorno molto brutto per il regime venezuelano se attaccasse la Guyana o ExxonMobil». Il ministro degli Esteri americano sottolinea anche che la marina americana «può arrivare ovunque» e che Washington ha già «impegni in essere» per l’estrazione. Maduro non ascolta. Il 2 settembre 2025 Trump pubblica il video del primo attacco americano a un’imbarcazione venezuelana che trasporta droga negli Stati Uniti. Ora, gli Stati Uniti stanno mobilitando le proprie truppe per un eventuale attacco terrestre e Trump dice a Maduro che i suoi giorni sono ormai contati.
Il ruolo storico e strategico del Venezuela è insomma cruciale per il continente americano: Caracas è stata la porta di ingresso ed è ora il canale principale dell’infiltrazione russo-iraniano-cinese in chiave anti-statunitense. Cuba un tempo era il bastione ideologico, ma era priva di risorse e militarmente irrilevante. L’alleanza col Venezuela inizialmente aveva portato i soldi, almeno all’inizio. Chávez, Castro e Lula avevano istituito in Sud America un ordine comunista finanziato da petrolio e droga per sottrarre agli Stati Uniti il controllo sul subcontinente. Ma con Donald Trump alla Casa Bianca le cose sono cambiate.
Le operazioni militari americane – benché mirate al traffico di droga – hanno evidentemente anche l’obiettivo strategico di ricreare l’area di influenza statunitense in America Latina.







