Il regime cinese usa l’Ia per controllare le menti delle persone

di Redazione ETI
10 Novembre 2025 9:05 Aggiornato: 10 Novembre 2025 12:27

La dittatura comunista cinese si serve dell’intelligenza artificiale per spiare i propri cittadini: raccoglie e analizza enormi quantità di dati per prevenire ogni forma di dissenso in anticipo. Questo è lo scenario letteralmente orwelliano che emerge da un rapporto pubblicato il 3 novembre dalla Commissione speciale della Camera dei deputati degli Stati Uniti sulla Cina, che parla di «sistema integrale di repressione preventiva».

Ma l’ambizione egemonica della dittatura cinese non si limita ai confini nazionali: il Partito comunista sta esportando le proprie tecnologie di spionaggio sulla popolazione in più di ottanta nazioni, offrendo alle altre dittature del Pianeta potenti strumenti in grado di tracciare movimenti e attività digitali dei propri “sudditi”.
Nel documento prodotto dal Parlamento degli Stati Uniti, si sottolinea come la Repubblica Popolare Cinese si sia ormai imposta come il principale fornitore di sistemi di controllo a livello mondiale: Huawei e Zte li vendono come “soluzioni per la pubblica sicurezza”, ma nella realtà i sistemi di controllo cinesi sono usati per prevenire e imbavagliare il dissenso, perseguitare chiunque sia “diverso” rispetto alla volontà del regime e mantenere al potere i vari regimi tirannici amici del Partito comunista cinese.

Il problema dei crimini contro i diritti umani commessi dal regime comunista cinese esiste da quando il Pcc ha preso il potere in Cina. Il testo della commissione parlamentare statunitense definisce il Pcc «l’architrave del fronte mondiale dell’autocrazia» e sottolinea come la dittatura cinese fornisca sostegno finanziario e politico a regimi autocratici quali Iran, alla Russia e alla Corea del Nord. Ma chiaramente, il peggio di sé il regime cinese lo dà sul piano interno, come dimostra la brutale tirannide imposta sull’ex protettorato britannico di Hong Kong a partire dal 2020.

Sul piano tecnologico, il settore industriale cinese della repressione e della persecuzione del dissenso – dice lo studio del Parlamento americano – indica investimenti massicci in neurotecnologie e interfacce cervello-computer e in realtà virtuale e aumentata applicati al controllo sociale: in Cina sono  infatti già in fase di test vari sistemi capaci di interpretare e “manipolare” le emozioni delle persone, che apriranno la porta a operazioni di condizionamento mentale sempre più sofisticate e a una penetrazione senza precedenti nella vita privata dei cittadini, con l’obiettivo di manipolarne e plasmarne non solo i comportamenti ma persino i pensieri e gli stati d’animo.

La repressione più estrema attualmente si registra nelle regioni del Tibet e dello Xinjiang, dove la popolazione vive sotto una sorveglianza permanente e asfissiante. In Xinjiang, almeno un milione di persone vive rinchiuso in campi di lavoro forzato, che sono interamente e costantemente monitorati mediante riconoscimento facciale e altre avanzate applicazioni tecnologiche. Nello Xinjiang la minoranza uigura è vittima di detenzioni di massa, lavoro schiavistico e genocidio.

«La competizione strategica con il Partito comunista cinese – dice nelle conclusioni la relazione della Commissione speciale della Camera dei deputati degli Stati Uniti sulla Cina – non è una semplice gara di potere, ma un confronto tra due modelli opposti di ordine mondiale: uno fondato su libertà, diritti e dignità dell’individuo; l’altro sul controllo autoritario e la coercizione».

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