Logo Epoch Times

COMMENTI

Il ritorno del „nuovo secolo americano"

I valori dell’Occidente dopo il crollo del comunismo cinese

È ormai evidente che l'amministrazione Trump, come espresso nella sua nuova National Security Strategy, consideri la Repubblica Popolare Cinese una minaccia. Il Partito comunista cinese sta crollando e Xi Jinping non detiene più il potere assoluto: dopo circa un decennio di governo, il Segretario generale del Partito si trova ora confinato in una condizione di relativa impotenza

top-article-image

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump con Xi Jinping in un'immagine di archivio. Foto Reuters/Kevin Lamarque

author-image
| Aggiornato alle
Condividi articolo

Tempo di lettura: 10 Min.

È ormai evidente che l’amministrazione Trump, come espresso nella sua nuova National Security Strategy, consideri la Repubblica Popolare Cinese una minaccia. Il Partito comunista cinese sta crollando e Xi Jinping non detiene più il potere assoluto: dopo circa un decennio di governo, il Segretario generale del Partito si trova ora confinato in una condizione di relativa impotenza.
Intanto, il collasso della Cina comunista è ormai divenuto un dato inconfutabile: non rappresenta più la grande potenza economica e militare che era diventata negli ultimi anni, ora dispone solo del peso sufficiente per agire come elemento di disturbo internazionale.
Vanno rivalutati, dunque, tutti gli equilibri di potere. Sia per l’implosione della Cina sia per la riaffermazione del predominio mondiale degli Stati Uniti d’America, che deve però convivere con profonde divisioni interne all’Occidente. L’Europa – anche a causa di diverse politiche imposte dall’Unione Europea – versa in un declino e in una frammentazione economica, sociale e strategica sempre più marcati. Negare questo equivale a nascondere la testa nella sabbia. Ma anche Stati finora prosperi come il Regno Unito, l’Australia e il Canada attraversano quello che potrebbe rivelarsi un malessere terminale, ma che è senz’altro estremamente grave.
Gran parte della riorganizzazione mondiale del biennio 2025-2026 è dovuta al caos economico causato dalla fine dell'”era cinese”. Che non è un evento improvviso, ma il risultato di problematiche e scelte politiche vecchie di vari decenni. Per molto tempo si è preferito ignorare il declino strategico del sistema comunista cinese, ignorando la realtà dei fatti.
In parallelo, la stabilità e il vigore di potenze medie – soprattutto mediorientali e africane – e il riallineamento internazionale sembrano presagire l’emergere spontaneo di un nuovo ordine mondiale; ma persino Nazioni promettenti come l’Arabia Saudita, l’India e la Russia si trovano di fronte a sfide notevoli, anche causate dal tracollo economico cinese.
Nessun indicatore economico proveniente dal regime cinese sta procedendo nella direzione auspicata da tanti analisti. Le risorse cinesi si stanno esaurendo e la previsione di una riduzione della produzione di acciaio del 50% nel 2026 è la dimostrazione della crisi economica. Il regime cinese ha persino iniziato a importare, in parte, quelle stesse terre rare che fino a ieri riesportava nel mondo. Le sue importazioni di petrolio sono aumentate del 4,48% a novembre, raggiungendo il livello più alto dal 2023, nonostante il calo degli acquisti dalla Russia e a dispetto della depressione di fatto, che avrebbe dovuto allentare la pressione sui prezzi dell’energia.
Il Partito comunista cinese non è riuscito a garantire le linee interne di approvvigionamento nemmeno per generi alimentari e acqua – non solo per l’energia – tentando persino di intimidire gli Stati che avrebbero potuto aiutarli nell’importare questi beni essenziali. Questo non significa che la Cina non possa risorgere, ma una simile ricostruzione richiederebbe alcuni decenni, nel migliore dei casi.
L’economia cinese non è più considerata una delle maggiori mondiali. La sua dimensione e potenza è sempre stata definita da interpretazioni statistiche come il Pil (e da dati di solito manipolati e/o falsi), piuttosto che dalla forza o dalla ricchezza reale: i “fondamentali” dell’economia cinese, non sono mai stati solidi come certa propaganda ha fatto credere per anni.
Nella realtà, nessun dato ufficiale diffuso dalla dittatura comunista cinese può essere considerato attendibile. Nemmeno il dato demografico della popolazione cinese, ancora stimata intorno al miliardo e 400 milioni di persone: è lecito presumere – secondo diversi segnali non ufficiali ma senz’altro affidabili – che la popolazione reale in Cina ormai si assesti abbondantemente sotto il miliardo di abitanti.
Xi Jinping, che alla fine del 2025 detiene ancora i titoli di Segretario generale del Pcc, Presidente della Commissione militare centrale e Presidente della Repubblica Popolare Cinese (che di “repubblicano” non ha nulla) è stato essenzialmente messo in un angolo e privato di ogni reale potere. Ma il declino del tiranno è andato di pari passo con il collasso della dittatura stessa, principalmente perché gli oppositori di Xi all’interno del Partito hanno atteso troppo tempo prima di attaccarlo: tutte le fazioni interne al Pcc hanno perso tempo nel mantenere l’apparenza di un Partito ancora forte nonostante l’evidenza del collasso economico e sociale.
Ma alla fine del 2025 la realtà appare chiara: le forze armate del regime – comandate dal Vicepresidente della Commissione militare centrale, generale Zhang Yuxia – hanno intenzione si svincolarsi dal potere politico, questo determina quindi una situazione in cui l’unica via per dare continuità formale al potere assoluto del Partito comunista passi per un accordo con lo stesso Zhang.
Durante la sua visita a Mosca, sono stati riservati a Zhang Youxia i protocolli da capo di Stato, superiori addirittura a quelli concessi al primo ministro cinese in un precedente incontro. La Russia, solitamente cauta nello scoprire le proprie carte nei confronti della Cina, sembra confermare il generale Zhang quale detentore del potere effettivo nel regime cinese, in aperta sfida a Xi Jinping; episodio che dimostra inoltre come la Russia non sia più l’alleato minore nell’alleanza senza limiti stretta fra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese nel febbraio 2022.
Le forze armate cinesi ora sono impegnate nel controllo del territorio nazionale e non possono rischiare avventure militari all’estero per distogliere l’attenzione della popolazione dai problemi economici interni. Sotto il profilo strategico, l’apparato militare del regime si sta dimostrando incapace di costituire una forza coerente in grado di affrontare un conflitto internazionale di rilievo, ma l’arsenale nucleare e i missili balistici e ipersonici sono sufficienti a garantire ai militari libertà e potere all’interno della Cina continentale. La corruzione, l’eccessiva politicizzazione impressa dal Partito e le carenze tecniche hanno impedito alle forze armate cinesi di trasformarsi in una forza militare credibile sullo scenario internazionale.
La situazione interna della società cinese mostra ancora aree di normalità e produttività, tuttavia gli elementi più dinamici della società sono in una condizione di agitazione e angoscia dovuta a disoccupazione, povertà e mancanza di alloggi. La Cina oggi vive una massiccia migrazione di ritorno dei lavoratori dalle città verso i paesi d’origine, delineando una situazione prerivoluzionaria, ossia simile a quella che portò alla caduta della dinastia Qing nei primi anni del Novecento.
Le ripercussioni di un crollo della Repubblica Popolare Cinese oggi renderebbero impossibile recuperare i soldi investiti nella Nuova via della Seta, dando respiro alle nazioni strozzate dai debiti contratti con Pechino.
Dopo la Guerra Fredda, l’Occidente ha definito se stesso non in base ad attributi propri ma in opposizione agli avversari. Il crollo dell’Unione Sovietica a suo tempo è stato presentato come una vittoria dell’Occidente, e non ha portato solo a tagli nella difesa ma a una totale perdita di capacità di valutare in modo unitario le minacce esterne, causando un declino dell’identità occidentale. Il collasso in atto della Repubblica Popolare Cinese viene invece già visto come una vittoria degli Stati Uniti. Se quindi Cina e Russia non sono più una minaccia, le alleanze e le posizioni difensive tra le Nazioni saranno costrette a modificarsi e riarticolarsi.
Come si identificheranno gli Stati Uniti dopo la fine della dittatura comunista cinese? E come faranno gli alleati a identificare l’America in assenza di una chiara minaccia per l’Occidente? Donald Trump sarà in grado di convincere la comunità internazionale della necessità di accettare la supremazia statunitense in mancanza di un pericolo esterno?
La nuova dottrina Trump – la tanto controversa National Security Strategy – non specifica intenzionalmente un avversario strategico. E questo è il passo audace con cui gli Stati Uniti affermano il proprio scopo come valore intrinseco: un valore in sé, quindi, e non definito in contrapposizione a (e dipendente da) una minaccia esterna. In questo senso, Trump ha già dichiarato la fine dell’era Partito comunista cinese e ha dato inizio a un’era in cui l’America è definita da se stessa e in se stessa. L’unico punto interrogativo è se questa strategia potrà sopravvivere a Donald Trump, quando alla Casa Bianca ci sarà qualcun altro.
 

Iscriviti alla nostra newsletter - The Epoch Times

Copyright Epoch Times