L’organizzazione terroristica ha ancora a disposizione tra i 1.500 e 3 mila miliziani tra Siria e Iraq
Imboscata Isis in Siria uccide due militari americani e un interpete
Due militari statunitensi e un interprete civile americano sono stati uccisi in un'imboscata attribuita a un terrorista dell'Isis a Palmyra, in Siria, il 13 dicembre

Le rovine della città di Aleppo, in Siria, il 23 giugno 2025. Foto: Mahmoud Hassano/Reuters/File Photo
Due militari statunitensi e un interprete civile americano sono stati uccisi in un’imboscata attribuita a un terrorista dell’Isis a Palmyra, in Siria, il 13 dicembre. Il terrorista sarebbe stato ucciso sul posto, mentre altri tre militari americani sarebbero rimasti feriti.
Il portavoce del Pentagono Sean Parnell ha precisato che l’attentato «messo in atto da un terrorista dell’Isis» è avvenuto durante l’incontro con alcuni esponenti locali nell’ambito di operazioni finalizzate a contrastare l’Isis e il terrorismo in generale. Il presidente Donald Trump ha dichiarato che «l’attentato ha preso di mira sia gli Stati Uniti che la Siria. Risponderemo all’attacco».
Sebbene l’Isis sia stato sconfitto in Siria e Iraq nel 2019, le sue cellule dormienti continuano a rappresentare una seria minaccia. Secondo il gruppo di esperti olandese, il Centro Internazionale per il Controterrorismo, l’organizzazione terroristica ha ancora a disposizione tra i 1.500 e 3 mila miliziani tra Siria e Iraq. Nonostante la drastica riduzione della sua presenza in Medio Oriente, l’Isis ha esteso la propria influenza a livello mondiale e, fino alla fine del 2024, era considerata l’organizzazione terroristica più letale al mondo. «Oggi l’organizzazione jihadista si basa principalmente su rami sedicenti come l’IS-Khorasan, tra i più attivi e pericolosi, responsabile di numerosi attacchi in tutto il mondo», ha dichiarato l’analista del gruppo di esperti olandese, Adrian Shtuni.
In pratica, l’Isis non è più un “esercito” con un territorio proprio, ma una sorta di rete decentralizzata del terrore, composta da jihadisti che adottano il nome, l’ideologia e che ormai operano in modo indipendente. Una minaccia che oggi si riflette soprattutto negli Stati Uniti: recentemente un cittadino afghano è stato arrestato in Virginia per aver fornito supporto all’Isis. Nel giro di pochi giorni sono stati arrestati inoltre altri tre soggetti affiliati a quello che rimane dell’organizzazione terroristica. Un altro esempio da ricordare è quello accaduto il 26 novembre, quando Rahmanullah Lakanwal, ex collaboratore della Cia in Afghanistan, è stato arrestato per aver sparato a due membri della Guardia Nazionale a Washington Dc., ferendo gravemente Andrew Wolfe e uccidendo Sarah Beckstrom.
Questi episodi hanno riacceso in America i dibattiti sul cosiddetto “Operation Allies Welcome”, il programma politico lanciato dall’amministrazione Biden, che ha portato negli Stati Uniti oltre 190 mila afghani. In teoria, il progetto era stato concepito per proteggere e accogliere categorie vulnerabili come interpreti e collaboratori locali dopo il ritorno al potere dei Talebani e il ritiro delle forze armate statunitensi da Kabul. Ma i recenti attentati all’interno dei confini americani stanno ponendo sempre più l’accento sull’applicazione di una revisione molto più stringente delle procedure di accoglienza degli afghani reinsediati negli Stati Uniti.
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