L’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, ha presentato pochi giorni fa il Michelangelo Dome, uno scudo difensivo che rappresenta una rivoluzione nell’ambito della difesa aerea da attacchi multipli, ossia portati con un coordinamento fra più vettori ostili, come missili balistici, razzi, droni o proiettili d’artiglieria, che saturano le difese per sopraffarle.
Frutto di un progetto tutto italiano, il Michelangelo Dome integra tecnologie avanzate tra cui intelligenza artificiale, cyber defence e sensori multi-piattaforma per offrire una copertura simultanea contro minacce terrestri, navali, aeree e persino spaziali. L’obiettivo principale è quello di andare oltre i limiti degli attuali sistemi antimissilistici, proponendo un’architettura aperta compatibile con gli standard Nato e in grado di adattarsi a scenari di guerra moderna caratterizzati da una molteplicità e complessità delle minacce.
L’innovazione principale del Michelangelo Dome risiede nella sua capacità di unificare la gestione dei dati e delle contromisure su più domini operativi, utilizzando algoritmi predittivi e un sisitema di comando e controllo che permette l’integrazione tra sistemi esistenti, inclusi quelli di Paesi Nato con livelli tecnologici differenti. Il sistema di Leonardo può infatti sincronizzare difese terrestri, navali, aeree e spaziali e operare con elevata efficienza anche in ambienti “cyber-compromessi” (ovvero quando delle infrastrutture digitali, sistemi informatici o reti sono parzialmente o completamente infiltrati, manipolati o controllati dal nemico tramite attacchi informatici come malware, virus, spyware o interferenze di rete) grazie a moduli integrati di sicurezza informatica che monitorano e rispondono a tentativi di interferenza. L’installazione dei primi dispositivi è prevista per il 2028, mentre il design definitivo e i costi di sistema non sono stati resi pubblici.
Sul Michelangelo Dome – benché sia ancora in fase di sviluppo in buona parte coperto da segreto – si sa fin da ora che sarà un sistema di difesa costituito da diverse componenti integrate. In termini di armamenti, includerà intercettori missilistici di nuova generazione, capaci di fermare diversi tipi di minacce tra cui missili ipersonici, droni a sciame, vettori navali e terrestri. Questi intercettori saranno probabilmente abbinati a una rete sensoriale avanzata, composta da radar di alta precisione, sensori elettro-ottici e altre piattaforme di sorveglianza sia terrestri che spaziali, il tutto orchestrato da un sistema di comando e controllo centralizzato basato su intelligenza artificiale che ottimizzerà la risposta difensiva in tempo reale.
Per quanto riguarda la dislocazione territoriale, la sua installazione iniziale è programmata per il 2028 in alcuni punti strategici italiani per ora non meglio definiti. Fornirà copertura difensiva a siti di importanza cruciale come grandi centri urbani, infrastrutture militari e civili sensibili, porti e aeroporti, con la possibilità di estendere la rete in collaborazione con altri paesi Nato. Il sistema sarà progettato per essere modularmente distribuito, con nodi di difesa integrati in modo da offrire una copertura continua e reattiva su vaste aree.
Dal punto di vista operativo, la gestione del Michelangelo Dome sarà presumibilmente affidata a unità specializzate dell’artiglieria contraerea o reparti di difesa aerea nazionali, che potranno coordinarsi con altre forze armate Nato. Si tratterà di un sistema complesso, che richiederà una formazione specializzata per gli operatori e una forte integrazione tra componenti automatiche e decisioni umane, per garantire un’efficace interoperabilità tra le diverse armi e sensori. L’effetto finale sarà una piattaforma resiliente in grado di rispondere rapidamente a minacce multiple e contemporanee.
Il Michelangelo Dome si differenzia in modo significativo all’Iron Dome israeliano, sistema su cui è in parte ispirato ma che presenta sostanziali differenze operative e di capacità. L’Iron Dome si concentra principalmente su difese terra-aria a corto raggio, con intercettori Tamir capaci di neutralizzare razzi e proiettili guidati entro un raggio di circa 4-70 chilometri. Il sistema israeliano è stato sviluppato per affrontare soprattutto attacchi tattici e locali, con efficienza elevata in contesti urbani, ma con limitazioni evidenti nei casi di saturazione o di minacce più sofisticate, come missili ipersonici o attacchi multidominio.
Al contrario, il sistema italiano punta a una copertura più vasta e integrata, che sia in grado di affrontare simultaneamente minacce aeree di varia natura, attacchi via mare, terrestri e persino nello spazio.
In confronto ai sistemi statunitensi, il Michelangelo Dome si colloca tra le soluzioni di difesa antimissilistica più moderne, ma con una differente filosofia di impiego rispetto ai sistemi Patriot e THAAD. Il sistema Patriot PAC-3, in uso da diversi anni, è progettato per intercettare missili balistici tattici, cruise e aerei su medio e lungo raggio, con una capacità operativa stimata fra i 100 e 160 chilometri e un sistema radar avanzato phased-array. Tuttavia, l’alta efficacia si accompagna a costi elevati per ogni missile intercettore e una gestione complessa in scenari con numerosi target simultanei. Il THAAD, invece, è specializzato in intercettazioni ad alta quota su missili balistici a corto e medio raggio, ad altissima precisione ma limitata in termini di copertura contro minacce a bassa quota o navali. Rispetto a questi sistemi, il Michelangelo Dome pone particolare enfasi sull’integrazione multidominio e sul controllo intelligente delle risorse difensive, elementi non ancora pienamente sviluppati nei sistemi statunitensi.
Il “concorrente” europeo dell’ambizioso progetto di Leonardo è il confronto con l’iniziativa Sky Shield, promossa dalla Germania in collaborazione con altri Paesi europei, che mira a costruire una rete coordinata di difesa aerea basata su sistemi principalmente ground-based (ossia composta da sistemi d’arma e sensori schierati e operati da terra, in contrapposizione a quelli imbarcati su navi, su velivoli o basati nello spazio).
Il Michelangelo Dome, invece, si distingue per un approccio più flessibile e tecnologicamente integrato, con la possibilità di aggregare asset di diversi livelli tecnologici in uno scudo unico, riducendo la dipendenza da sistemi esterni come Patriot, con cui invece la rete europea ha storicamente avuto un rapporto di dipendenza. Michelangelo integra sensori e effettori da terra, mare (navi), aria (aerei/drone) e spazio (satelliti), gestendo minacce ibride simultanee inclusi attacchi subacquei o orbitali.
In termini strategici, il Michelangelo Dome si presenta come una soluzione che risponde alle nuove esigenze della difesa nazionale ed europea, caratterizzate da un aumento esponenziale di minacce cosiddette “ibride” e tecnologicamente complesse come i droni a sciame o i missili ipersonici, e considera la necessità di interoperabilità con gli standard Nato, integrando applicazioni di intelligenza artificiale che ottimizzano le risorse e garantiscono una maggiore efficienza.
Nonostante alcuni interrogativi rimangano aperti, riguardo ai costi effettivi e alle tempistiche di implementazione, il progetto di Leonardo è ambizioso e innovativo, che permetterà di colmare quella che – alla luce della guerra in Ucraina – si è rivelata una grossa lacuna difensiva non solo italiana ma europea e più in generale occidentale.
Il governo Meloni fa capire di voler adottare il Michelangelo Dome come sistema di difesa nazionale, con piani per l’installazione dei primi dispositivi entro il 2028, ma non risulta ancora una decisione formale e definitiva, che in ogni caso sarà soggetta anche a iter parlamentare. Il 26 novembre 2025, Leonardo ha illustrato il progetto al ministro della Difesa Guido Crosetto, al capo di stato maggiore delle forze armate italiane, generale Luciano Portolano, proponendo una collaborazione per adattarlo ai requisiti Nato.