Con una quota pari al 90% dei pannelli solari e oltre 1 milione di inverter importati dalla Cina, l’Australia si trova in una posizione di crescente vulnerabilità. Al centro delle indagini figurano dispositivi radio cellulari non dichiarati nei documenti tecnici e integrati in inverter e batterie, che potrebbero consentire accessi remoti aggirando i firewall. Secondo Mike Rogers, ex direttore della National Security Agency statunitense, tali dispositivi permetterebbero alla Cina di indebolire le infrastrutture occidentali in generale, rendendole suscettibili a sabotaggi o interruzioni. Rogers ha osservato come la vasta diffusione di questi strumenti possa ostacolare la capacità dell’Occidente di reagire efficacemente a minacce informatiche. Un eventuale attacco potrebbe provocare gravi blackout e il blocco di servizi essenziali.
La quasi totalità dei pannelli solari installati in Australia proviene dalla Cina, mentre la produzione locale rappresenta appena il 10%. Nell’agosto 2023, l’Australia ha assorbito il 3% delle esportazioni cinesi di inverter, pari a circa 1 milione e 100 mila unità all’anno. Per ridurre questa dipendenza, Canberra ha varato il programma “Solar SunShot”, un’iniziativa da 1 miliardo di dollari destinata a rafforzare la capacità produttiva nazionale di tecnologie rinnovabili, in linea con l’obiettivo delle zero emissioni nette. Il ministro dell’Energia australiano, Chris Bowen, ha riconosciuto i rischi legati alla cybersicurezza dei componenti importati, sottolineando tuttavia che non sarà possibile produrre internamente tutti i pannelli necessari al fabbisogno nazionale.
Le preoccupazioni si estendono anche ad altri settori tecnologici, in particolare alla crescente diffusione di veicoli elettrici cinesi a basso costo. Michael Shoebridge, ex dirigente dell’intelligence e attuale direttore del centro studi Strategic Analysis Australia, ha evidenziato come le politiche governative dovrebbero essere riviste alla luce di questa minaccia. La forte dipendenza da tecnologie cinesi per pannelli, batterie e sistemi di controllo rende vulnerabile l’Australia: Shoebridge ha ricordato che nel 2024 circa il 77% dei veicoli elettrici venduti in Australia — marchi come Byd, MG Motor, Gwm, Chery e XPeng — è di produzione cinese, e la possibilità che sistemi di comunicazione e controllo occultati in questi dispositivi vengano sfruttati da aziende legate al Partito Comunista Cinese rappresenta una minaccia concreta.