Lev Tolstoj e la ricerca del senso della vita

di Redazione ETI/Leo Salvatore
30 Giugno 2025 18:59 Aggiornato: 30 Giugno 2025 19:31

Combattuto tra doveri e necessità, Leone Tolstoj, uno dei più grandi autori russi, abbandonò la vita aristocratica, indossò sandali logori e partì in pellegrinaggio. Un tormentato percorso evolutivo che testimonia l’intimo legame tra realizzazione spirituale e semplicità.

CONTE, SOLDATO, SCRITTORE

Il conte Lev Nikolàevič Tolstòj nacque nel 1828 nella tenuta di Jasnaja Poljana, vicino a Tula, in Russia. La madre era principessa e il padre discendeva da un conte che aveva ottenuto il titolo da Pietro il Grande. Le sue origini risalgono a un uomo leggendario di nome Indris, emigrato in Ucraina nel 1300. Indris si convertì al cristianesimo ortodosso e la fede rimase parte integrante della vita dei suoi discendenti.

I genitori di Tolstoj morirono quando lui era molto giovane, crebbe con alcune zie molto religiose e due precettori. A sedici anni si iscrisse all’Università di Kazan per studiare prima Filosofia poi Legge, ma i suoi insegnanti lo ritenevano poco propenso all’apprendimento, così abbandonò gli studi, tornò a Jasnaja Poljana e iniziò a vivere secondo le regole dell’aristocrazia, proseguendo comunque la propria formazione da autodidatta.

Lev Nikolayevich Tolstoy, 1848. Pubblico dominio

Nel 1851, insoddisfatto di quella vita, si arruolò nell’esercito. Aveva iniziato a scrivere da poco, ma la serie di racconti drammatici sulla rovinosa guerra di Crimea del 1853-1856 divenne un successo letterario. Durante il servizio militare scrisse diverse altre opere autobiografiche.

Sei anni dopo, l’orrore per la guerra lo spinse a lasciare l’esercito e a intraprendere il primo di numerosi viaggi in Europa occidentale – i grandi viaggi erano comuni tra i giovani intellettuali aristocratici del tempo – interessandosi in particolare agli studi pedagogici, di cui discusse a fondo con il controverso teorico socialista Pierre-Joseph Proudhon e altri pensatori.

Tornato in patria e animato dal desiderio di usare le proprie ricchezze per alleviare la povertà, Tolstoj fondò un centro di tredici scuole per i figli dei contadini più poveri della Russia. Sospettosa delle inclinazioni politiche del conte, la polizia imperiale russa chiuse rapidamente il progetto. Anche se ebbe vita breve, rimane uno dei primi esempi di educazione democratica nell’Europa moderna.

LA CRISI

Durante un viaggio a Parigi, Tolstoj assistette a un’esecuzione pubblica, cosa che non avrebbe mai immaginato nella sua tranquilla tenuta di famiglia. L’esperienza lo segnò profondamente: credeva che un governo dovesse proteggere i cittadini, non ucciderli pubblicamente e immaginò che, volendo, avrebbe potuto eliminarli tutti facilmente. Come scrisse in seguito in un saggio «un governo, quindi, e in particolare un governo a cui è affidato il potere militare, è l’organizzazione più pericolosa che esista».

Gli anni che seguirono furono caratterizzati da profonde riflessioni sul ruolo del governo, sui doveri dei cittadini e sulle responsabilità di un ricco e nobile proprietario terriero quale lui stesso era. Tolstoj era un uomo di posizioni estreme, poco propenso a trovare equilibrio nelle vie di mezzo: era combattuto tra il continuare a vivere da aristocratico, nonostante la diffusa povertà che lo circondava, oppure ritirarsi alla ricerca di una vita più semplice e forse più appagante.

La svolta avvenne intorno al 1880. Tolstoj era ormai uno degli autori viventi più acclamati: i due capolavori, Guerra e pace e Anna Karenina, lo avevano reso famoso in tutto il mondo. Tuttavia, nonostante la consistenza del suo patrimonio e la genialità della sua prosa, il suo animo era tormentato. Alla fine decise di donare i propri beni, annunciando inoltre che le opere da lui pubblicate dovevano appartenere al pubblico. Preoccupata per la sopravvivenza dei loro tredici figli, la moglie, Sophia Andreevna Behrs, ottenne i diritti d’autore per tutti i libri pubblicati prima del 1880. Questa  decisione evitò la bancarotta e salvò il patrimonio di Tolstoj.

Il conflitto centrale di Anna Karenina è la relazione extraconiugale di Anna con un affascinante soldato. Pubblico dominio

In Una confessione, scritto durante questo periodo turbolento, Tolstoj descrisse il tumulto che lo tormentava. Il libro si apre con la favola orientale del drago nel pozzo: un uomo viene inseguito dentro un pozzo, nel quale dimora un drago, si aggrappa a un rametto che due topi stanno rosicchiando, ma alla fine l’uomo cade in bocca al drago. Prima di cadere, vede alcune gocce di miele su una foglia del ramo, le beve e si sente soddisfatto, nonostante la morte imminente. Nella versione di Tolstoj, invece, l’uomo non è appagato dal miele, che rappresenta l’amore per la famiglia e la scrittura: «Cerco di succhiare il miele che un tempo mi consolava, ma non è più dolce». Il Conte teme la morte, che rende tutto privo di significato.

Tolstoj riconosce che per affrontare questo dilemma esistenziale ha scelto di resistere, «nonostante l’assurdità della cosa». Tuttavia, si rende anche conto che «senza Dio» la vita è senza speranza e assurda. Un mondo con Dio è un mondo pieno di speranza, in cui la vita continua oltre la morte. Ma come poteva Tolstoj essere mai certo dell’esistenza di Dio? Per placare questi dubbi partì per un pellegrinaggio che avrebbe segnato la sua vita.

IL PELLEGRINAGGIO

Uomo di profonda sensibilità, Tolstoj aveva sempre nutrito interesse per la religione.  Interesse diventato passivo negli anni dell’università, fino a definirsi ateo. Come scrisse in Una confessione: «all’età di diciotto anni non credevo più a nessuna delle cose che mi erano state insegnate». Pensava a Dio intellettualmente o seguiva ciecamente le usanze familiari, senza mai arrivare a un’affermazione consapevole della propria fede.

Il momento arrivò il 10 giugno 1880: Tolstoj si incamminò verso il monastero di Optina Pustyn, nota meta di pellegrinaggio a trentatré ore di distanza, e per evitare di essere riconosciuto si travestì da contadino. Privatosi volutamente di tutte le comodità a cui era abituato, camminò per giorni. Vagò per i villaggi, parlò con semplici contadini, mendicanti e altri pellegrini che, come lui, cercavano di rafforzare la propria vita spirituale.

Leggeva la Bibbia, pregava e spezzava il pane con esseri umani che incarnavano l’umiltà e la semplicità, due caratteristiche che raramente aveva visto negli sfarzosi saloni della sua tenuta. Al monastero, parlava con gli starets, antiche figure spirituali con una profonda conoscenza della tradizione ortodossa russa, che condivisero con lui le proprie esperienze di autentica vita devozionale.

La meta di Tolstoj, il monastero Optina Pustyn. Traduzione da The Epoch Times. (Svklimkin/CC BY-SA 4.0) 

Il pellegrinaggio non fu facile: aveva poco cibo e acqua e soffriva per terribili vesciche. Tuttavia, mentre si confrontava con la gente comune, il velo di privilegio che aveva sempre aleggiato su di lui finalmente si sollevò. Per lo scrittore, camminare era diventato un esercizio spirituale, un modo per coltivare la disciplina attraverso l’afflizione autoimposta, capì che si poteva vivere in modo significativo nonostante l’estrema povertà: «Queste persone vivono lavorando duramente e sono meno insoddisfatte della vita rispetto ai ricchi. Sopportano malattie e avversità senza esitazioni o obiezioni, pacificamente e con la ferma convinzione che è così che dev’essere, che non può essere altrimenti ed è un bene». Nonostante vivere nelle grandi proprietà fosse infinitamente più facile, in esse mancava completamente quel senso della comunità che dà uno scopo alla vita e vera soddisfazione.

FEDE RINNOVATA

Al termine di questa esperienza, Tolstoj giunse a credere che una comunità religiosa potesse prosperare ovunque, con o senza la legittimazione di un’autorità istituzionale e il sostegno di ricchi mecenati. Prese le distanze dalla Chiesa ortodossa russa, ritenendo che si fosse allontanata troppo dagli insegnamenti originali di Gesù, così come descritti nei Vangeli, restando tuttavia fermo nel proposito di condurre una vita religiosa.

A differenza dei pensatori socialisti conosciuti in Europa occidentale, che negavano Dio vedendo l’uomo come mera fisicità e riducendo la spiritualità a strumento di manipolazione politica, Tolstoj considerava gli esseri umani fondamentalmente religiosi e riteneva che ogni comunità dovesse fondarsi su un’etica religiosa. Per Tolstoj e per i cristiani come lui tale etica implicava, tra le altre cose, la comunicazione con Dio attraverso la preghiera e il privilegiare lo spirito rispetto al corpo.

Nonostante i dubbi, Tolstoj tornò sempre al Cristianesimo. Free-Photos/Pixabay

Oltre a rinnegare la religione organizzata, Tolstoj si oppose tenacemente all’autorità statale e alla guerra, prese a cuore il comandamento di amare il prossimo come se stessi e divenne paladino della non violenza. Anche in questo caso, non erano idee nuove, ma il pellegrinaggio lo portò a renderle finalmente parte integrante della sua vita privata e sociale. In Il regno di Dio è dentro di voi (1894), Tolstoj condivise la visione di una società costruita sulla non violenza, sulla compassione e sull’autonomia spirituale. Scriveva:

«Che questo ordine sociale con il suo pauperismo, le carestie, le prigioni, le forche, gli eserciti e le guerre sia necessario alla società; che una catastrofe ancora più grande si verificherebbe se questa organizzazione venisse distrutta: tutto questo è detto solo da chi trae profitto da questa organizzazione, mentre chi ne soffre – e sono dieci volte più numerosi – pensa e dice il contrario».

Lev Tolstoj nella sua tenuta di Yasnaya Polyana”, 1908. Unica foto a colori, di Prokudin-Gorsky. Pubblico dominio.

Il suo singolare connubio tra cristianesimo e filosofia politica d’avanguardia fece di Tolstoj un avversario della corte imperiale e della Chiesa ortodossa russa, che nel 1901 lo scomunicò. Verso la fine della sua vita, la stabilità mentale dell’uomo si affievolì  riportandolo al travaglio interiore. Nel 1910, a 82 anni, in una fredda notte d’inverno fuggì di nascosto dalla sua tenuta di Jasnaja Poljana, si ammalò e dopo pochi giorni morì di polmonite.

IL MESSAGGIO DI TOLSTOJ

Tomba di Tolstoy a Yasnaya Polyana, Tula. FAL

Sebbene Tolstoj fosse cristiano, la sua storia ha un valore universale. Di fronte a una crisi spirituale, lo scrittore tormentato non si limitò a scriverne o a speculazioni intellettuali. Certo, queste erano essenziali, ma era convinto anche che la coltivazione spirituale dovesse comportare un impegno attivo che coinvolgesse l’intero essere: corpo, mente e spirito.

Indossò sandali logori, si mise in cammino con poco cibo e poca acqua e soffrì volontariamente le difficoltà che un tale pellegrinaggio avrebbe comportato. Ascoltò uomini e donne la cui fede era semplice ma integra, non inficiata dal dubbio e non condizionata da convenzioni aristocratiche. A prescindere dai meriti del suo impegno teologico e filosofico, Tolstoj ci ricorda che spesso è la semplicità che favorisce la realizzazione spirituale.