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Tajani butta acqua sul fuoco, silenzio da Giorgia Meloni

Maggioranza spaccata (ma non troppo) sul caso Dragone

Salvini critica le parole dell'ammiraglio Cavo Dragone, che parlando col Financial Times ha aperto alla possibilità di attacchi preventivi europei alla Russia. Ma Crosetto aveva detto cose simili già due settimane fa

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Il presidente del Comitato militare dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord

Photo: Nato, l'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, partecipa a una conferenza stampa al termine della riunione del Comitato militare della Nato a Riga, in Lettonia, il 27 settembre 2025. Durante la conferenza, i vertici militari della NATO hanno discusso l'attuazione delle decisioni del vertice NATO dell'Aia, concentrandosi sul rafforzamento della deterrenza collettiva e della difesa degli Alleati. EPA/TOMS KALNINS

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Tempo di lettura: 5 Min.

Può una dichiarazione sulla guerra ibrida, rilasciata a un giornale oltreoceano, creare un terremoto tra le fila della maggioranza di governo in Italia? Se a parlare è Giuseppe Cavo Dragone, il presidente del Comitato militare della Nato, è possibile.
Il primo dicembre 2025, il Financial Times ha pubblicato un’intervista esclusiva alla massima autorità militare dell’Alleanza atlantica, in cui l’ammiraglio ha discusso di una possibile evoluzione della strategia Nato ipotizzando un attacco preventivo alla Russia sul campo della guerra ibrida. «Stiamo studiando tutto sul fronte informatico – ha spiegato Cavo Dragone – siamo in un certo senso reattivi. Essere più aggressivi o proattivi invece che reattivi è qualcosa a cui stiamo pensando». Parole già di per sé potenzialmente incendiarie, diffuse poi con un tempismo a orologeria: l’intervista al giornale britannico arriva nello stesso giorno in cui Zelensky è a Parigi per tentare di consolidare il sostegno europeo, dopo lo scossone dello scandalo di corruzione nel settore energetico ucraino.
Un caso nel caso, insomma, esploso anche in Italia a causa della dura reazione della Lega di Matteo Salvini, che in una nota ufficiale sui social accusa: «Mentre Usa, Ucraina e Russia cercano una mediazione, gettare benzina sul fuoco con toni bellici o evocando ‘attacchi preventivi’ significa alimentare l’escalation. Non avvicina la fine del conflitto: la allontana. Serve responsabilità, non provocazioni».
Se da un lato il Carroccio critica pubblicamente il militare italiano al vertice della gerarchia militare della Nato, facendo eco alle posizioni anti-atlantiche della Russia e confermando un atteggiamento più “morbido” nei confronti del Cremlino, dall’altro l’esecutivo si blinda in un silenzio che – secondo molti – lascia trapelare imbarazzo. Nessuna dichiarazione pubblica dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, né dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. Dietro le quinte, però, in merito alle dichiarazioni dell’ammiraglio, una «fonte di peso» dell’esecutivo avrebbe detto – secondo indiscrezioni raccolte dalla Stampa – che «non si parla di certe cose. Se serve, si fanno».
In realtà, ben prima che le parole di Cavo Dragone infuocassero l’agone politico, era stato lo stesso Crosetto a comunicare un messaggio piuttosto simile. Nel “non-paper” sulla minaccia ibrida illustrato lo scorso 17 novembre al Consiglio supremo di Difesa, il ministro era andato dritto al punto: «Siamo sotto attacco e le bombe hybrid continuano a cadere: il tempo di agire è subito». Nel documento di centoventicinque pagine emerge chiaramente l’appello a prepararsi per «reazioni legittime e tempestive», con la richiesta di un significativo potenziamento degli organici militari, «anche dell’ordine di 10-15mila unità dedicati ai settori cyber, spettro elettromagnetico e nuove tecnologie».
D’altronde, si tratta di un dossier delicato sotto diversi punti di vista, a partire dalle conseguenze che potrebbero avere affermazioni su possibili attacchi preventivi a Mosca – anche se solo sul fronte informatico – in un momento delicato per le trattative diplomatiche, in vista della tanto attesa pace tra Russia e Ucraina. E poi c’è la credibilità internazionale da difendere, visto che – a parte i leghisti – il resto della maggioranza si mostra compatta sul sostegno a Kiev, in accordo con gli sforzi europei. Tant’è che è il vicepremier Antonio Tajani ha voluto minimizzare l’accaduto, confermando ancora una volta la linea della prudenza tipica di Forza Italia. A margine di un evento del partito, il leader forzista ha infatti invitato a non alzare polveroni: «Non mi pare che si debba fare un dibattito sull’intervista dell’ammiraglio, credo che noi dobbiamo tutelare i nostri interessi, proteggere la nostra sicurezza e prepararci anche a difenderci da una guerra ibrida».
Nonostante il silenzio di Giorgia Meloni e la diplomazia di Antonio Tajani, il caso scaturito dalle parole di Cavo Dragone mette in evidenza una crepa nell’esecutivo sia a livello di esposizione mediatica e comunicativa, che di leadership in materia di politica estera. Sono settimane che la Lega si smarca con forza sull’invio di nuove armi all’Ucraina e se il Governo non trova una quadra interna, il dossier ucraino potrebbe metterlo in difficoltà il prossimo gennaio in Parlamento, quando la maggioranza dovrà votare il decreto che proroga per tutto il 2026 il sostegno militare a Kiev.
 

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