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Blaise Pascal concepì Les pensées come una difesa del cristianesimo

Aforismi senza tempo dai Pensieri di Pascal

«Ci fu un uomo che a 12 anni, con aste e cerchi, creò la matematica; che a 16 compose il più dotto trattato sulle coniche dall'antichità in poi; che a 19 condensò in una macchina una scienza che è dell'intelletto. […] che, infine, […] risolse quasi distrattamente uno dei maggiori problemi della geometria e scrisse dei pensieri che hanno sia del divino che dell'umano. Il nome di questo genio è Blaise Pascal»

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Auguste Rodin, "Il Pensatore". Museo Rodin di Parigi. Pubblico dominio.

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Tempo di lettura: 14 Min.

«Ci fu un uomo che a 12 anni, con aste e cerchi, creò la matematica; che a 16 compose il più dotto trattato sulle coniche dall’antichità in poi; che a 19 condensò in una macchina una scienza che è dell’intelletto. […] che, infine, […] risolse quasi distrattamente uno dei maggiori problemi della geometria e scrisse dei pensieri che hanno sia del divino che dell’umano. Il nome di questo genio è Blaise Pascal». François-René de Chateaubriand.
Chateaubriand scrive inoltre che «nell’età in cui gli altri cominciano appena a vivere, avendo già percorso tutto l’itinerario delle scienze umane, [Pascal] si accorge della loro vanità e volge la mente alla religione».

Augustin Pajou, Pascal studia la cicloide. Ai suoi piedi, pagine dei suoi Pensieri, 1785, Louvre. Pubblico dominio.

Blaise Pascal (1623-1662) matematico, fisico, filosofo e teologo francese, concepì Les pensées come una difesa del cristianesimo, ma morì prima di completarla: è una raccolta dei numerosi suoi appunti che furono pubblicati postumi nel 1670, e acquisirono vasta popolarità come riflessioni sulla vita spirituale in generale.
Eccone alcuni tra i più suggestivi sulla fede, la ragione e altri temi senza tempo.

LE VERITÀ DEL CUORE

Nell’introduzione all’edizione del 1958 dei Pensées, il poeta inglese T.S. Eliot avvertiva i lettori che gli aforismi non potevano essere compresi isolatamente: pur apparendo frammentari, riflettono comunque la visione sistematica del mondo di Pascal. L’esempio citato da Eliot è probabilmente il detto più famoso di Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce».
Pascal, dice Eliot, parlava specificamente della fede. A differenza dei freddi calcoli che ci dicono cosa ha senso e cosa no, la fede non fornisce risposte esatte, matematiche, questo non significa però che non sia utile o vera. Le verità della fede sono questioni personali legate all’intuizione, esse raggiungono livelli più profondi rispetto alla sola ragione. Come afferma Pascal nel successivo aforisma: «È il cuore che sente Dio, e non la ragione.  […] Conosciamo la verità non solo con la ragione, ma anche con il cuore».

Anonimo, Ritratto di Pascal. Pubblico dominio.

Fisico e matematico innovatore, Pascal comprendeva il valore della ragione e, pur non rientrando la fede nel suo ambito, la ragione rappresentava ai suoi occhi un potere straordinario. Come innumerevoli altri, Pascal pensava che la capacità di pensare in modo logico distinguesse gli esseri umani dalle altre creature viventi: «L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa».
In natura, gli esseri umani possono essere meno resistenti di altre specie, ma compensano la limitazione fisica con la mente, che inventa strumenti, produce il linguaggio e immagina il futuro. Mentre le piante e gli animali non sembrano consapevoli della loro condizione, gli esseri umani lo sono. Pascal sosteneva che il pensiero deriva dalla consapevolezza che le persone hanno della propria condizione, che si tratti di piacere o di dolore, gli esseri umani sanno di provare qualcosa e possono rifletterci sopra. Riflettere su questioni scientifiche e teologiche lo considerava un prerequisito: per realizzare il potenziale umano, qualunque fosse l’ambito oggetto di indagine, egli considerava necessario il pensiero e, soprattutto, il “pensare bene”. «Tutta la nostra dignità consiste, quindi, nel pensiero. È da qui che bisogna partire, non dallo spazio e dal tempo, che noi non sappiamo riempire».

GRANDEZZA NELLA MISERIA

Partendo dai presupposti sulla ragione e sulla consapevolezza, Pascal giunse a una conclusione provocatoria sulla “miseria”: «La grandezza dell’uomo è grande in quanto sa di essere miserabile». Si potrebbe trovare tale affermazione sconcertante o discutibile: che grandezza c’è nel riconoscersi “miserabile”? Come potrebbero il dolore, la morte e la malattia equivalere a qualcosa di grande? La considerazione di Pascal non è un’esaltazione della miseria come qualcosa di buono e degno di essere perseguito: non è la miseria in sé, ma l’avere consapevolezza della propria miseria a essere grande. È l’esserne consapevoli che ispira a ricercare la virtù, che per lui era sinonimo di Dio. Essere consapevoli della fragilità e della corruzione è il primo passo per curarle.

ORDINE DIVINO DELLA NATURA

In una parte dedicata alla teologia cristiana, Pascal osservava che «un uomo dovrebbe essere convinto che le proporzioni numeriche sono verità immateriali, eterne e dipendenti da una verità prima, in cui sussistono e che è chiamata Dio».
I numeri esistono, non cambiano e le nostre menti sono in grado di percepirli. I numeri e i simboli matematici ci consentono di descrivere processi chimici e biologici, progettare infrastrutture durevoli e scoprire relazioni immutabili tra simboli astratti ma intelligibili. Questo ordine, che Pascal osservava in tutta la natura, rappresentava ai suoi occhi una perfezione che solo i principi più elevati potevano incarnare: un principio divino che egli chiamava Dio.
Ma Pascal avvertiva che non si doveva ridurre il divino a una fonte di verità matematiche ed equilibri chimici, e cioè che il divino non è un mero principio fisso e determinante. Specificava che Dio è anche un’entità amorevole, che
«riempie l’anima e il cuore di coloro che possiede, un Dio che li rende consapevoli della loro miseria interiore e della Sua infinita misericordia, che si unisce alla loro anima più intima, che la riempie di umiltà e gioia, di fiducia e amore».
L’ordine naturale era la prova del disegno immutabile di Dio, ma le possibilità che la fede in Dio offriva agli esseri umani erano molto più vaste e dinamiche di quanto un rigido cosmo potesse consentire.

CALORE UMANO

Parlando di eloquenza, scrisse: «Ci sono alcuni che parlano bene e scrivono male. Perché il luogo e il pubblico li riscaldano e attingono dalle loro menti più di quanto possano pensare in assenza quel calore».
Blaise Pascal era un bambino prodigio col dono eccezionale per la matematica e la fisica. Figlio di un ricco aristocratico, fin da piccolo aveva accesso a libri e a fonti accademiche, e lo studio costante riempiva gran parte delle sue giornate. A sedici anni scrisse la prima opera scientifica, collaborò a studi che influenzarono le moderne discipline di economia e scienze sociali. Nel 1644 inventò, tra le altre cose, la Pascalina, precursore della moderna calcolatrice. Conosceva la solitudine, che sembrava stimolare la sua creatività ma, come dice l’aforisma, deve anche aver capito che trascorrere lunghe ore in un isolamento produttivo lo privava del “calore” che poteva godere in compagnia degli altri.

La Pascalina, 1652. David Monniaux CC BY-SA 3.0

Lo studioso francese aveva capito che parlare davanti a un uditorio, in contesti formali o informali, poteva stimolare la mente a raggiungere vette che da sola non avrebbe potuto raggiungere. Poteva far riflettere di più e forse anche meglio. Ci si potrebbe domandare se Pascal abbia mai rimpianto di aver scelto uno stile di vita isolato rispetto alle abitudini più socievoli dei suoi contemporanei frequentatori di salotti. Ma, in ogni caso, sembrava riconoscere che dall’incontro tra menti umane si sviluppasse qualcosa di speciale e degno di nota.

Cornelius Jansen (1585–1638), professore e rettore magnifico della Vecchia Università di Lovanio, nonché eponimo del giansenismo. Pubblico dominio

Per gran parte della vita, Pascal lottò con la fede. Crebbe senza madre in una famiglia cattolica, ma la sua educazione religiosa fu piuttosto superficiale. Il padre lo istruì a casa, impegnandolo nello studio per la maggior parte del tempo, insieme alle due sorelle. Nell’inverno del 1646, dopo essersi fratturato un’anca, il padre lo fece curare da due dei migliori medici della città di Rouen, dove vivevano i Pascal. I medici erano seguaci del giansenismo, una comunità marginale ma in crescita di credenti che si opponevano alla Chiesa cattolica dell’epoca. Durante le loro frequenti visite, Pascal adottò spontaneamente le loro opinioni e alla fine si lasciò coinvolgere in dibattiti teologici.
Come i calvinisti, anche i giansenisti negavano l’esistenza del libero arbitrio. Ritenevano inoltre che la grazia divina e la salvezza fossero completamente al di là dell’influenza umana. Questa visione del mondo risaliva a un dibattito tra il teologo nordafricano Agostino di Ippona (354-430) e il monaco britannico Pelagio (circa 390-418), sebbene rimanesse principalmente una questione personale e intellettuale. Al tempo di Pascal, divenne una questione politica molto accesa e contribuì a questa diatriba tra giansenisti e cattolici con le Lettere provinciali, una serie di diciotto testi polemici scritti tra il 1656 e il 1657 che cercavano di difendere il giansenismo e i suoi sostenitori. L’ultima lettera conteneva una critica feroce al Papa, per cui la Chiesa le mise al bando, anche se continuarono a circolare ampiamente.
Anche la sorella di Pascal, Jacqueline, si interessò al giansenismo e finì per entrare nel convento di Port-Royal, a sud-ovest di Parigi, che fungeva da quartier generale dei giansenisti francesi. Il giovane Pascal, fisicamente debole, aveva bisogno del sostegno finanziario della sorella e, pur criticando la sua scelta, non venne mai meno il suo amore fraterno. Nel tentativo di reprimere le richieste di riforma della Chiesa e dello Stato avanzate dal giansenismo, il re di Francia Luigi XIV proibì al convento di accettare novizie e impose a tutti i giansenisti di firmare un formulario teologico con cui rinunciavano alle loro convinzioni. Era il 1661. Nello stesso anno, Pascal rispose con la Scrittura sulla firma del formulario: una lunga polemica che esortava i giansenisti a rimanere fedeli alle proprie convinzioni, pubblicazione che alimentò la sua reputazione di pericolosa voce dissenziente. Durante questo periodo turbolento, continuò a scrivere sezioni dei Pensieri. Morì un anno dopo, ma le controversie sulle sue idee continuarono anche dopo la sua morte.
Nel 1789, anno della Rivoluzione francese, i Pensées insieme alle lettere di Pascal furono inserite nell’Index Librorum Prohibitorum della Chiesa cattolica, un catalogo che elencava i libri che i cattolici non potevano stampare o leggere. Gli storici discutono ancora sulle cause di questa censura, anche se probabilmente fu dovuta a un rinnovato interesse per il libro e alle sue occasionali opinioni anticattoliche. In ogni caso, l’opera di Pascal continuò a circolare ampiamente nei secoli successivi. Oggi rimane uno dei libri più affascinanti dell’era moderna.
«[…] Noi navighiamo in un vasto mare, sempre incerti e instabili, sballottati da un capo all’altro. Qualunque scoglio, a cui pensiamo di attaccarci e restare saldi, vien meno e ci abbandona e, se l’inseguiamo, sguscia alla nostra presa, ci scivola di mano e fugge in una fuga eterna. Per noi nulla si ferma. […]»
(Blaise Pascal, Pensieri, 72)
 
 

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