Donald Trump ha raggiunto un accordo transattivo con la Paramount, società controllante della Cbs, riguardo alla causa intentata da Trump stesso per le modifiche apportate a un’intervista trasmessa da “60 Minutes”. La Paramount ha accettato di versare 16 milioni di dollari, come comunicato dalla stessa società. Paramount ha precisato che la somma sarà destinata alla futura biblioteca presidenziale di Trump e non sarà versata direttamente né indirettamente all’ex presidente. Analogamente alla transazione da 25 milioni di dollari con YouTube, quindi, Donald Trump non intascherà un centesimo.
«L’accordo non prevede alcuna dichiarazione di scuse o di rammarico», si legge nel comunicato della compagnia, a indicare che – con ogni probabilità – una delle parti ha deciso di chiudere la causa in anticipo per “limitare i danni” e senza arrivare alla sentenza, che avrebbe facilmente potuto riconoscere a Trump un risarcimento molto più salato per Paramount.
Trump aveva fatto causa alla Paramount nell’ottobre 2024, chiedendo il colossale risarcimento da 10 miliardi di dollari per l’utilizzo di un’intervista con l’allora candidata democratica alla presidenza e vicepresidente Kamala Harris, accusando la rete di aver montato l’intervista in maniera ingannevole, con l’obiettivo di «favorire il Partito Democratico» nelle elezioni presidenziali del 2024, e denunciava la partecipazione della Cbs in «attività faziose e illegali di interferenza elettorale e sugli elettori, attraverso una distorsione sostanziale, in mala fede e ingannevole delle notizie». Trump aveva poi modificato la richiesta danni a febbraio, aumentandola a 20 miliardi di dollari.
Il 6 ottobre 2024, Cbs aveva trasmesso un estratto promozionale durante il programma “Face the Nation”, in cui la Harris rispondeva alla domanda su Benjamin Netanyahu, «in modo incoerente e indeciso», secondo quanto riportato nella causa. Il giorno seguente, la Cbs aveva trasmesso e pubblicato online l’intervista completa, che conteneva «circa quindici minuti di filmati manipolati», intervallati da sei minuti di sequenze relative agli argomenti discussi. In estrema sintesi, la versione dell’intervista vista dagli spettatori durante “60 Minutes” il 7 ottobre non corrispondeva a quella annunciata e pubblicizzata il giorno prima durante “Face the Nation” e negli altri passaggi antecedenti allo speciale elettorale.
Nel gennaio successivo, la società aveva concordato la consegna alla Commissione federale per le comunicazioni del testo integrale e non montato e delle registrazioni video dell’intervista. La trascrizione integrale aveva rivelato che alcune risposte di Kamala Harris erano state tagliate a metà e aveva chiarito il contenuto della risposta completa alla domanda su Netanyahu, utilizzata dai legali di Trump nel ricorso, evidenziando che la risposta trasmessa era un montaggio tra due estratti diversi.
«L’anteprima e l’intervista sono entrambe distorsive e a vantaggio economico e commerciale dei convenuti. Invece di mandare in onda e pubblicare online l’intervista così come annunciato, i convenuti hanno manipolato in modo ingannevole il materiale per far sembrare Harris coerente e decisa, rendendo così il prodotto più appetibile per il pubblico», sostenevano gli avvocati di Trump.
La Cbs aveva inizialmente negato ogni alterazione, definendo la causa «del tutto infondata» e dichiarando che l’avrebbe difesa «con vigore». Ma evidentemente poi qualcuno ha cambiato idea.