Invariati i tassi, Fed: comanda il mercato

La Federal Reserve lascia invariati i tassi di interesse anche dopo il meeting del 27 luglio, nonostante la solidità dei dati economici. Il Comitato Federale del Libero Mercato, dopo la sua riunione a Washington, precisa: «Il mercato del lavoro si è rafforzato e […] l’attività economica si sta espandendo con un tasso moderato […] libri paga e altri indicatori di mercato del lavoro evidenziano un certo aumento e la spesa delle famiglie è stata in forte crescita».

Questo dimostra che – come ha affermato la banca centrale molte volte in passato – i dati economici non influenzano le decisioni della Fed, che dipendono piuttosto dal mercato.
Dopo un primo innalzamento di 25 punti base dei tassi di interesse dello scorso dicembre, la Fed – in caso di un miglioramento dei dati economici – prevedeva di aumentare i tassi fino a quattro volte nel 2016. Ma finora sono rimasti invariati.

John Williams, presidente della Fed di San Francisco, ha dichiarato presso il Consiglio sulle Relazioni Estere a maggio: «La data esatta di quando avremo il prossimo aumento del tasso dipenderà dai dati».

Per il commentatore finanziario Rick Santelli su Cncb «le questioni dipendenti dai dati della Fed vengono ricomposte oppure lasciate parcheggiate da qualche parte e completamente ignorate […] Sulla base dei dati, è da auspicare che si verifichi un movimento. Anche se in molti non credono che si muoveranno nei meeting di settembre e di novembre».

Ad esempio, il Citigroup economic surprise index, che misura lo scarto tra le aspettative degli economisti e la realtà dei mercati, ha ottenuto la sua più lunga serie di successi di sempre, crescendo per 21 giorni di fila.
Tutti gli indicatori importanti che la Fed abitualmente monitora sono migliorati durante tutto l’anno. La disoccupazione ha centrato un minimo ciclico del 4,7 per cento a maggio. «La mia opinione è che siamo in piena occupazione», sostiene Williams.

Però non è abbastanza per la Fed, secondo la dichiarazione del Comitato Federale del Libero Mercato: «L’aumento dell’occupazione è stato forte nel mese di giugno dopo la debole crescita di maggio. A conti fatti, i libri paga e altri indicatori del mercato del lavoro indicano un certo aumento della manodopera negli ultimi mesi».

A giugno, anche l’inflazione è salita al 2,2 per cento su base annua, in linea con l’obbiettivo del 2 per cento della Fed, che però può scegliere quali indicatori prendere in considerazione. «L’inflazione basata sui mercati finanziari rimane bassa», afferma. Questo significa che i prodotti finanziari come le Treasury Inflation Protected Securities [obbligazioni che pagano cedole su un capitale indicizzato all’indice dei prezzi al consumo (Ipc) statunitense e che alla scadenza rimborsano un capitale che compensa gli aumenti dell’Ipc dalla data di emissione delle obbligazioni, ndr] o lo spread tra le security a lungo e a breve termine, restano al di sotto del gradimento della Fed.

Secondo Santelli, tutto il resto, dalle abitazioni ai principali indicatori di acquisto, è aumentato durante tutto l’anno. Le case in costruzione su base annua, per esempio, sono fino a 1,2 milioni nel mese di giugno.

Mentre per il direttore di Hayman Capital, Kyle Bass, intervistato da RealVisionTV «gli Stati Uniti sono in una posizione in cui avremmo dovuto iniziare a crescere da tempo».

Quindi, cosa tiene ancora frenata la Fed? Alcuni dicono che sono i mercati finanziari, diventati volatili dopo il referendum per il Brexit. Al forte calo è corrisposto un rapido declino, dopo che le banche centrali mondiali hanno iniziato a far circolare l’idea di nuovi stimoli. Un’impennata a luglio rovinerebbe l’attuale rimonta.

«La risposta più semplice è che un mix di eccesso comunicativo, eccessiva dipendenza dai dati del breve periodo, e notevole dipendenza dal mercato, ha deviato le aspettative di mercato prima in un senso e poi nell’altro. Fino al punto in cui la Fed non riesce più ad azzeccare subito le esatte aspettative di mercato per alzare i tassi, senza minare ancor di più la propria credibilità» ha dichiarato a Marketwatch Alan Ruskin, un macro–stratega di Deutsche Bank.

«La Fed dal 2008 ha perseguito la politica di mettere il carro della speculazione davanti ai buoi della libera impresa», ha affermato a giugno James Grant, editore di Grant Interest Rate Observer.

CRASH CINESE

Kyle Bass pensa che la politica monetaria della Fed verrebbe travolta da una crisi finanziaria in Cina: «Quello che sta per assolutamente sopraffare la posizione degli Stati Uniti è il numero di crediti inesigibili prodotti dalla Cina, che travolgerà la politica monetaria statunitense».

Lo scorso settembre, la Fed ha fatto indirettamente riferimento alla volatilità della valuta cinese come motivo per non alzare i tassi, facendo slittare il rialzo a dicembre. «Questa valutazione – ha ribadito la Fed – deve tener conto […] dell’interpretazione degli sviluppi finanziari e internazionali».

La valuta cinese e la fuoriuscita di capitali – principali motivi di preoccupazione l’anno scorso e all’inizio di quest’anno – sono stati ragionevolmente stabili, quindi, anche su questo fronte, la Fed non ha davvero nessuna scusa per evitare l’innalzamento, a meno che non sia troppo preoccupata per la potenziale crisi latente in Cina.

Il capo economista di Citigroup, Willem Buiter, crede possibile una crisi finanziaria cinese se gli attuali problemi del debito verranno ignorati: «Stanno per avere una crisi finanziaria. È gestibile perché il 95 per cento del debito sofferente è in yuan, ma bisogna essere disposti a farlo, bisogna essere proattivi», ha dichiarato a Epoch Times in una recente intervista.

PROSPETTIVA

Nonostante le incongruenze, la Fed insiste che alzerà i tassi appena l’economia migliorerà e che questo dipenderà dai dati in arrivo: «Il Comitato si aspetta che le condizioni economiche si evolveranno in modo da garantire solo graduali aumenti del tasso dei fondi federali […] Il percorso effettivo del tasso dei fondi federali dipenderà dallo scenario economico risultante dai dati in arrivo».

Paul Brodsky, capo stratega alla Macro Allocation Inc., crede che la Fed in realtà vorrebbe alzare i tassi: «Vogliono disperatamente alzare i tassi […] Per capire, bisogna chiedersi: “Che cosa è meglio per le banche ora?”. È per questo che la Fed vuole disperatamente innalzare i tassi. Non può perché i mercati non glielo permettono, ma penso che alla prossima occasione, ci saranno gli aumenti. Forse nel mese di settembre».

Secondo Brodsky, il margine tra il tasso a cui le banche prestano il denaro e quanto le banche pagano per il finanziamento, determina i loro profitti; e quel margine è superiore al tasso di interesse. «[Le banche, ndr] non si preoccupano affatto se i tassi salgono: anzi, ne sono felici».

Articolo in inglese: Fed Proves It’s Market Dependent

 
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