Nella bellezza, il conforto

De profundis: arte, dolore e consolazione

Di Jeff Minic

«De profundis clamavi ad te, Domine» apre il Salmo 130 (Salmo 129 nel sistema di numerazione più antico): «Dal profondo a te grido, Signore». Il fatto che si abbracci o meno una fede religiosa è irrilevante per la comprensione di queste parole. Persone di tutte le età, razze e fedi si sono trovate trascinate in abissi terribili a causa di qualche catastrofe personale, spesso legata alla morte di una persona cara.

Nel loro dolore, alcune persone afflitte cercano effettivamente conforto in Dio. Altre anime angosciate cercano conforto negli amici e nella famiglia. Alcuni si rivolgono a consulenti o si uniscono a gruppi di sostegno al lutto. Le persone sole e disperate possono ricorrere all’alcol o alle droghe per trovare sollievo. Un politico e scrittore romano, Boezio (circa 477-524), che fu imprigionato e poi giustiziato, si impegnò in un esame del pensiero ellenistico per alleviare il dolore della sua mente e spiegare a se stesso le sue terribili circostanze, e così lasciò al mondo il suo capolavoro, La consolazione della filosofia.

E poi, alcuni di questi ‘feriti’ dalla sorte trovano conforto e speranza nelle arti.

Salvezza e bellezza

Quando subiamo una perdita, la bellezza dell’arte può consolarci. ‘Mrs. James Guthrie’, di Sir Frederic Leighton; olio su tela, dal 1864/65. Yale Center for British Art, a New Haven, Connecticut. (pubblico dominio)

Alcuni musicisti come Bach, Handel, Mozart, Leonard Bernstein e altri hanno messo in musica il Salmo 130, ma le loro composizioni scalfiscono solo la superficie del fenomeno dell’arte che può fornire consolazione agli esseri umani in agonia. Scrittori, pittori, scultori e musicisti hanno regalato al mondo numerose opere sulla morte e sulla perdita che hanno portato una tregua dal dolore a innumerevoli persone negli ultimi tre millenni.

Nella prefazione al suo libro On Consolation: Finding Solace in Dark Times, Michael Ignatieff fornisce ai lettori un vivido promemoria del potere consolatorio dell’arte quando racconta gli eventi del lockdown iniziato nel marzo 2020. In quei mesi di paura, isolamento e solitudine, con un numero crescente di morti a causa del Covid, ogni tipo di artista si è fatto avanti per offrire a tutti incoraggiamento e speranza. L’orchestra di Rotterdam, ad esempio, ha presentato l’Inno alla gioia di Beethoven su Zoom, un pianista berlinese ha eseguito nottetempo sonate via internet e poeti e scrittori di diversi Paesi hanno condiviso le loro opere dalle loro cucine e dai loro salotti.

Questi gesti di carità sono alla base dell’osservazione del filosofo Roger Scruton: «L’arte e la musica illuminano di significato la vita ordinaria, e attraverso di esse siamo in grado di affrontare le cose che ci turbano e di trovare consolazione e pace in loro presenza».

Allo stesso modo, nel romanzo di Mark Helprin A Soldier of the Great War, un anziano professore di arte ed estetica, Alessandro Giuliani, fa questo collegamento: «Vedere la bellezza del mondo è mettere le mani sulle linee che attraversano ininterrottamente la vita e la morte. Toccarle è un atto di speranza, perché forse qualcuno dall’altra parte, se c’è un’altra parte, le sta toccando anche lui».

Preso di sorpresa

Pietà di William-Adolphe Bouguereau. Olio su tela; 1876  (Collezione privata; Dominio pubblico).

Spesso, l’incontro inaspettato con un’opera d’arte può scatenare una risposta emotiva che può spaventare chi ne è testimone, ma che agisce come catarsi per la persona commossa. Immaginiamo, ad esempio, una giovane madre che ha perso un figlio. Mesi dopo, è seduta a un tavolo della biblioteca pubblica e sfoglia l’edizione inglese cartacea di Epoch Times americano. Quando apre la sezione Arte e Cultura e si ritrova a fissare una grande fotografia della Pietà di Michelangelo. Maria è seduta sulla roccia del Golgota e tiene in grembo il corpo del figlio crocifisso. I suoi occhi sbarrati e la dolorosa solennità del suo volto commuovono a tal punto la donna nella biblioteca che inizia a piangere. La pietra che era diventata il suo cuore durante questi lunghi e bui giorni viene dissolta dalle sue lacrime.

Quelle lacrime probabilmente lascerebbero perplessi gli altri avventori della biblioteca, ma per quella donna non solo esprimono il suo dolore, ma forniscono anche una via di fuga dalla sua lunga reclusione nella prigione del dolore.

La sua reazione non mi è sconosciuta. Quando insegnavo, leggevo spesso agli studenti poesie e brani letterari ad alta voce. Dopo la morte di mia moglie, nel 2004, mi sono accorto che non riuscivo più a leggere certi brani senza che la voce mi si rompesse e quindi assegnavo la lettura a uno studente. La lettura ad alta voce del brano del The Velveteen Rabbit, per esempio, in cui il Cavallo di cuoio spiega l’amore e cosa significa essere reali, e che stavo usando come spunto di scrittura per i miei studenti di seconda media, mi ha fatto venire gli occhi lucidi davanti alla classe.

Nella postfazione della mia copia di Our Town di Thornton Wilder, che si conclude con la morte di una giovane moglie, il nipote del drammaturgo ed esecutore letterario ci dice che questo dramma ha commosso il pubblico fino alle lacrime, persino un uomo come il magnate di Hollywood Samuel Goldwyn. Il motivo? Perché Wilder aveva dato vita «alle linee che corrono ininterrotte attraverso la vita e attraverso la morte».

Elegia

Alcuni trovano consolazione nella fede. The Wish di William-Adolphe Bouguereau. Olio su tela; 1867 (Museo d’arte di Filadelfia; dominio pubblico)

Molti scrittori hanno composto elegie – poesie o brani di riflessione in prosa, in genere sul lutto dei defunti – come mezzo per affrontare la propria perdita e il proprio dolore o come veicolo per confortare coloro che li circondano.

In On My First Son, Ben Jonson lamenta la morte del suo bambino di 7 anni

[traduzione del redattore]:

«Addio, figlio della mia mano destra, e gioia;
Il mio peccato è stato sperare troppo in te, amato ragazzo.
Sette anni mi sei stato prestato, e io ti pago,
Preteso dal tuo destino, nel giusto giorno.
Oh, se potessi perdere tutto l’esser padre ora! Perché
Perché l’uomo si lamenterà dello stato che dovrebbe invidiare?
Per avere così presto scartato la rabbia del mondo e della carne,
E se non c’è altra miseria che l’età?
Riposa in una dolce pace e, se ti viene chiesto, dì: “Qui giace
Ben Jonson il suo miglior pezzo di poesia”.
Per il cui bene, d’ora in poi, tutti i suoi voti saranno tali,
che ciò che ama non gli piaccia mai troppo».

originale:

Farewell, thou child of my right hand, and joy;
My sin was too much hope of thee, loved boy.
Seven years thou wert lent to me, and I thee pay,
Exacted by thy fate, on the just day.
O, could I lose all father now! For why
Will man lament the state he should envy?
To have so soon scap’d world’s and flesh’s rage,
And if no other misery, yet age?
Rest in soft peace, and, asked, say, “Here doth lie
Ben Jonson his best piece of poetry.”
For whose sake, henceforth, all his vows be such,
As what he loves may never like too much.

Numerosi poeti ricordano anche a chi è in lutto di cercare e trovare conforto nella gioia della vita. Ispirata da una giovane donna ebrea sfuggita alla Germania nazista, ma la cui madre morì durante l’Olocausto, Do Not Stand at My Grave and Weep di Mary Elizabeth Frye esorta i vivi a ricordare che i morti rimangono presenti in mille modi:

[traduzione del redattore]:

«Non stare davanti alla mia tomba a piangere,
Non sono lì, non dormo.
Sono mille venti che soffiano,
Sono il diamante che brilla sulla neve,
Sono il sole sul grano maturo,
sono la dolce pioggia d’autunno.
Quando vi svegliate nel silenzio del mattino
Io sono il rapido slancio ascensionale
di uccelli tranquilli in volo.
Sono il tenue brillio delle stelle nella notte.
Non stare davanti alla mia tomba a piangere,
Non sono lì, non sono morto».

originale:

Do not stand at my grave and weep,
I am not there; I do not sleep.
I am a thousand winds that blow,
I am the diamond glints on snow,
I am the sun on ripened grain,
I am the gentle autumn rain.
When you awaken in the morning’s hush
I am the swift uplifting rush
Of quiet birds in circling flight.
I am the soft star-shine at night.
Do not stand at my grave and cry,
I am not there; I did not die.

Altre opere, come A Grief Observed di C.S. Lewis, che è un libro di memorie sulla morte della moglie, la canzone popolare americana Will the Circle Be Unbroken?, così come le migliaia di Messe da Requiem e di elegie musicate da compositori classici, e tante altre creazioni, sono anch’esse compagne di chi cammina letteralmente nella valle della morte.

La guarigione

La perdita dell’amore, come nel mito di Clizia, può portare anche alla disperazione. Clytie, di Sir Frederic Leighton; circa 1895–1896 (Leighton House Museum, Londra; dominio pubblico)

Naturalmente, la migliore medicina per il lutto è il tempo. Con il passare delle settimane, dei mesi e persino degli anni, il terribile peso della nostra tristezza si alleggerisce e diventa più sopportabile. Il passare del tempo prende le ferite crude che un tempo ci lasciavano sventrati e addolorati e le trasforma in cicatrici. La musica, la letteratura, i dipinti e le sculture possono contribuire a questa trasformazione. Sono stampelle, se vogliamo, che ci tengono in piedi e ci danno la forza di andare avanti.

«La bellezza salverà il mondo», ha scritto Dostoevskij. La bellezza che troviamo nelle arti può aiutare a salvare il resto di noi quando i nostri cuori sono spezzati dalla perdita.

 

Jeff Minick vive e scrive a Front Royal, in Virginia. È autore di due romanzi, “Amanda Bell” e “Dust on Their Wings”, e di due opere di saggistica, “Learning as I Go” e “Movies Make the Man”.

Articolo in inglese: In Beauty, Solace

 
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