“Sugar diet” ovvero dimagrire mangiando solo zucchero

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Nelle ultime settimane, una tendenza alimentare tanto curiosa quanto controversa ha suscitato molto interesse: la cosiddetta “sugar diet”, o dieta dello zucchero. Promette dimagrimento, maggiore energia e migliori prestazioni fisiche, nonostante un consumo molto elevato di carboidrati semplici e una marcata riduzione delle proteine.
Un approccio che appare controintuitivo, ma che alcuni studi recenti, pubblicati su Nature Metabolism, hanno iniziato a spiegare in chiave scientifica, pur evidenziandone i limiti e rischi. La dieta prevede un apporto giornaliero di carboidrati semplici che può arrivare fino a 800 grammi, provenienti da fonti come frutta, succhi, miele, sciroppo d’acero, ma anche bibite gassate, caramelle e addirittura lo zucchero da tavola puro. I grassi sono ridotti al minimo (meno di 30 grammi) mentre le proteine, ovviamente più magre possibili, si mantengono intorno a 1 grammo per chilo di peso corporeo.
Un esempio emblematico è quello di Mark Bell, ex sollevatore di pesi e influencer nel settore fitness, che ha seguito questo regime consumando circa 4 mila calorie al giorno, di cui l’83% da carboidrati. Alcuni, si sono spinti anche oltre, seguendo un vero e proprio “digiuno di zucchero”: zero proteine e zero grassi per diversi giorni. In molti riportano una perdita di peso rapida e, sorprendentemente, senza apparente riduzione della massa muscolare.
Tuttavia, l’effetto dimagrante non sembra derivare dallo zucchero in sé, bensì dalla riduzione delle proteine. In uno studio condotto su giovani uomini sani con un indice di massa corporea medio di 25, una dieta con il 9% di proteine e il 70% di carboidrati ha portato, in cinque settimane, a un incremento del fabbisogno energetico del 19% (pari a circa 574 calorie in più al giorno) per mantenere il peso corporeo. Nonostante l’aumento calorico, i partecipanti hanno perso in media un chilogrammo, senza variazioni significative nella massa muscolare o nei livelli di attività fisica. Un ulteriore esperimento, che manteneva costante l’apporto proteico ma modificava la distribuzione tra grassi (50%) e carboidrati (41%), ha prodotto risultati simili: anche in questo caso è stato necessario aumentare le calorie del 21% per mantenere il peso. Questo indica che il fattore determinante non sono i carboidrati, ma la carenza proteica.
Alla base di questo adattamento metabolico c’è l’ormone Fgf-21 (fattore di crescita dei fibroblasti 21), la cui concentrazione nel sangue aumenta fino al 361% in risposta alla restrizione proteica, soprattutto dopo i pasti. L’Fgf-21 agisce sui mitocondri, le “centrali elettriche” delle cellule adipose, modificando la loro efficienza energetica. In parole semplici: le cellule producono più proteine che aiutano a generare energia, ma hanno meno ATP sintasi, un enzima chiave per trasformare quell’energia in “carburante” utilizzabile. Questo fenomeno, chiamato disaccoppiamento mitocondriale, fa sì che il corpo bruci più calorie, disperdendo l’energia in eccesso come calore invece di conservarla.
Un esempio pratico è offerto dal dottor Shawn Baker, noto sostenitore della dieta carnivora, che ha sperimentato una variante estrema: per tre giorni ha consumato solo 10 grammi di proteine e 260-280 grammi di grassi saturi al giorno, provenienti principalmente da burro, tuorli d’uovo e panna, per un totale calorico di 2.600-2.800 calorie. Il risultato è stata una perdita di peso di 3,6 kg, accompagnata da buoni livelli di energia e ottime prestazioni fisiche, con tempi da record su sprint brevi. Lo stesso dottor Baker ha però chiarito che si è trattato di un esperimento a breve termine e non di una strategia sostenibile.
Infatti, nonostante i risultati sorprendenti nel breve termine, la dieta dello zucchero presenta evidenti limitazioni. Gli studi finora condotti hanno coinvolto solo uomini giovani e sani, per periodi relativamente brevi (cinque settimane), e l’efficacia del meccanismo dipende dalla risposta all’ormone Fgf-21. Nelle persone obese, l’elevata presenza di questo ormone è spesso associata a una condizione di resistenza metabolica, il che ne compromette l’effetto. Inoltre, la risposta individuale — influenzata da genetica e tipo di metabolismo — può variare notevolmente: alcune persone potrebbero bruciare meno energia e, al contrario, aumentare di peso nel lungo termine.
Un altro aspetto critico riguarda l’impatto epatico. L’assunzione prolungata di zuccheri semplici, in particolare fruttosio, può sovraccaricare il fegato e contribuire a disturbi metabolici e glicazione cellulare. Se la dieta è composta prevalentemente da alimenti ultra-processati — come bevande zuccherate o caramelle — si rischiano (oltre alle carie) carenze di micronutrienti essenziali, tra cui vitamine liposolubili, acidi grassi essenziali e amminoacidi, ma anche una forte dipendenza dallo zucchero. Il dottor Baker stesso ha poi evidenziato il pericolo di sarcopenia (perdita di massa muscolare) in caso di restrizione proteica protratta.
In conclusione, la cosiddetta “sugar diet” sembra essere un interessante esperimento: un caso di studio sui meccanismi del metabolismo e sul ruolo dell’ormone Fgf-21 in risposta alla restrizione proteica. Ma è sconsigliabile interpretarla come un via libera al consumo indiscriminato di zuccheri. Il successo di qualunque dieta dipende da numerosi fattori individuali, tra cui lo stato di salute metabolica e il profilo genetico. Perdere il peso in eccesso è sicuramente un processo che va incoraggiato ma non a ogni costo: la salute deve sempre rimanere al primo posto.
Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.

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