Perché le linee guida sugli oli vegetali lasciano a desiderare

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Numerosi studi dimostrano che gli oli vegetali, noti come oli di semi, risultano dannosi se usati in cottura. Eppure, le linee guida alimentari e le organizzazioni sanitarie continuano a promuovere i grassi vegetali polinsaturi a scapito di quelli animali. La giornalista investigativa Nina Teicholz, dopo un decennio di ricerche su grassi e oli, individua le ragioni principali per cui queste raccomandazioni persistono, nonostante l’assenza di prove sui benefici degli oli vegetali e le indicazioni di possibili rischi cancerogeni.
La condanna dei grassi saturi nasce dall’ipotesi dieta-cuore di Ancel Keys, ricercatore dell’American Heart Association, formulata negli anni ’50. Keys sosteneva che i grassi, aumentando il colesterolo nel sangue, causassero malattie coronariche, focalizzandosi poi sui grassi saturi. Sebbene mai dimostrata, questa ipotesi si è trasformata da consiglio alimentare a dogma sanitario. Nel 1977, gli Obiettivi Alimentari per gli Stati Uniti, redatti da una commissione senatoriale, hanno adottato le indicazioni dell’American Heart Association per ridurre i grassi totali e saturi, avviando la diffusione della dieta a basso contenuto di grassi e colesterolo. Nel 1980, le prime Linee Guida Alimentari per gli Americani degli Istituti Nazionali della Salute hanno dedicato una sezione alla riduzione di colesterolo e grassi.
Secondo la Teicholz, questo processo ha spostato l’ipotesi dal campo scientifico a quello politico, dove la burocrazia ha consolidato il dogma in politiche e programmi. La burocrazia, tuttavia, si oppone al ragionamento scientifico, che richiede scetticismo e il confronto con le ipotesi per avvicinarsi alla verità. Al contrario, le burocrazie eseguono regole senza metterle in discussione. L’American Heart Association, leader nella ricerca cardiovascolare, da quasi mezzo secolo sconsiglia i grassi animali. Ritirare una raccomandazione così radicata rappresenterebbe una sfida significativa, spingendo molti ricercatori a cercare prove per sostenere il dogma, osserva la Teicholz.
INCENTIVI FINANZIARI
Un vasto sistema finanziario, che coinvolge l’industria alimentare e farmaceutica, si regge sull’ipotesi dieta-cuore, rendendo difficile riconsiderare i grassi animali. Gli oli vegetali sono legati all’American Heart Association fin dalla sua ascesa. Fondata nel 1924 durante l’epidemia di malattie coronariche, l’American Heart Association è rimasta a lungo un’organizzazione marginale. Nel 1948, Procter & Gamble ha cambiato la sua sorte tramite una donazione di oltre 1,4 milioni di dollari (pari a oltre 18 milioni attuali), raccolti tramite il concorso radiofonico Truth or Consequences, come riportato in Fighting for Life, di William W. Moore, direttore dell’American Heart Association dal 1972 al 1980.
Procter & Gamble è stata pioniera nella vendita di olio di semi idrogenato con Crisco, un grasso vegetale a base di olio di cotone. Oggi, l’American Heart Association certifica oltre 120 prodotti a base di oli vegetali, come oliva, canola e soia, con il marchio “heart-check”, che ne attesta la salubrità cardiaca. Tra i latticini, solo latte di soia e latte scremato con zuccheri sopra la media ricevono tale approvazione. Per l’uso del logo, l’associazione prevede un pagamento, senza però divulgarne gli introiti. Parallelamente, l’industria farmaceutica ha guadagnato miliardi con farmaci che riducono il colesterolo “cattivo” Ldl, considerato la causa principale delle malattie coronariche. I grassi animali aumentano l’Ldl, mentre gli oli vegetali lo riducono. Le statine, farmaci che abbassano l’Ldl, sono tra i più venduti. I grassi saturi restano il “nemico” per giustificare tali farmaci. Nel 2021-22, il 3,8% dei ricavi dell’American Heart Association, circa 34 milioni di dollari, proveniva da aziende come Pfizer, Merck e AstraZeneca, leader nelle statine. Inoltre, il 18% dei fondi, oltre 157 milioni, arrivava da corporation non farmaceutiche, i cui nomi non sono stati divulgati.
DOGMI E RESISTENZA AL CAMBIAMENTO
Da oltre mezzo secolo, l’idea che i grassi saturi danneggino il cuore è un dogma tra medici e nutrizionisti, rendendo le tesi opposte difficili da accettare. Chi sfida pubblicamente l’ipotesi di Keys subisce critiche aspre. La Teicholz, racconta di essere stata definita «una pazza» da uno scienziato di Yale. Questo fenomeno non è recente. Fin dagli albori dell’ipotesi, ricercatori come George Mann, professore a Vanderbilt, hanno perso finanziamenti e accesso a riviste prestigiose per averla contestata. Vicedirettore del celebre studio Framingham sul cuore dal 1948 al 1955, Mann aveva scoperto che bassi livelli di colesterolo erano legati a un aumento della mortalità coronarica, senza correlazione tra dieta e malattie cardiache. Nel 1972, aveva stuidiato i Masai africani, che, pur consumando carne, latte e sangue animale, avevano colesterolo basso e poche malattie cardiache, ipotizzando che l’esercizio fisico svolgesse un ruolo protettivo. Nel 1977, con Diet-Heart: End of an Era, Mann ha criticato l’instaurazione del dogma di Keys, ma il fisiologo lo ha accusato di distorcere i dati. Allo stesso modo, il nutrizionista britannico John Yudkin, che collegava lo zucchero alle malattie cardiache, è stato ridicolizzato. Keys ha infatti definito la sua tesi «un mucchio di sciocchezze». Ricerche successive hanno però confermato l’intuizione di Yudkin. La battaglia sulla nutrizione, conclude la Teicholz, ricorda un dibattito scientifico caotico, in cui le idee si scontrano senza ordine.
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