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Oli vegetali, l’inganno alimentare che minaccia la salute

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Immagine di Towfiqu barbhuiya via Pexels

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Tempo di lettura: 7 Min.

Quando si parla di “olio da cucina”, l’immagine che viene in mente è spesso quella di un liquido giallo chiaro in grandi bottiglie trasparenti etichettate come “olio vegetale”. Sebbene gli oli vegetali siano oggi un elemento base nella cucina di molte persone, sono un’invenzione relativamente recente. Decenni fa, i grassi più comuni per cucinare erano di origine animale: lardo, burro e sego, tutti caratterizzati da un alto contenuto di grassi saturi.
Il passaggio agli oli vegetali risale agli anni ’50, quando il fisiologo Ancel Keys ha avanzato l’ipotesi che sostituire i grassi animali (ad alto contenuto di saturi) con oli vegetali (più ricchi di polinsaturi) potesse abbassare il colesterolo nel sangue e ridurre le malattie cardiache. Questa teoria, insieme a mutamenti di mercato, ha favorito un’ampia adozione di questo cambiamento alimentare. Le evidenze, tuttavia, suggeriscono che l’ipotesi non fosse particolarmente fondata, per usare un eufemismo. Se gli oli vegetali riducono il colesterolo, non sempre diminuiscono la mortalità per malattie coronariche e, in alcuni casi, potrebbero comportare altri rischi. Ciononostante, l’idea di Keys ha continuato a influenzare le linee guida nutrizionali.
A partire dagli anni ’60, l’American Heart Association ha raccomandato il passaggio dai grassi animali agli oli vegetali. Questa indicazione ha plasmato la prima edizione delle Linee guida alimentari per gli americani del 1980, e ancora oggi, per il periodo 2020-2025, sia l’Associazione sia le Linee guida promuovono i grassi polinsaturi rispetto ai saturi.

COSA SONO GLI OLI VEGETALI?

Il termine “olio vegetale” può risultare fuorviante, lasciando credere che derivi da verdure e sia intrinsecamente sano. In realtà, la maggior parte di questi oli proviene da semi, commestibili o meno. Tra i primi si annoverano oli di mais, soia, arachidi e girasole, mentre tra i secondi oli di colza, semi di cotone e cartamo. Ricchi di grassi polinsaturi, questi oli sono particolarmente inclini all’ossidazione. Diversi, invece, sono gli oli estratti dalla polpa di frutti: come oliva, palma e cocco, caratterizzati da un basso contenuto di polinsaturi.
Nonostante le indicazioni delle linee guida, molti oli vegetali in commercio non risultano ideali per la cottura, per due ragioni principali. In primo luogo, sono soggetti a ossidazione, un processo chimico in cui atomi o composti perdono elettroni, diventando instabili e innescando una reazione a catena. Un esempio estremo è il fuoco. Sebbene l’ossidazione sia naturale, un eccesso danneggia l’organismo: un danno ossidativo al Dna cellulare può causare mutazioni, aumentando il rischio di cancro.
I grassi polinsaturi, abbondanti negli oli vegetali, sono altamente ossidativi a causa dei loro doppi legami, che reagiscono con l’ossigeno. L’ossidazione, già presente a temperatura ambiente, si intensifica durante la cottura. Martin Grootveld, professore di chimica bioanalitica presso la De Montfort University nel Regno Unito, ha dimostrato che un maggiore contenuto di polinsaturi genera più prodotti tossici da ossidazione. Gli oli ricchi di omega-3, come quelli di lino, noce e colza, sono particolarmente vulnerabili per via dei numerosi doppi legami. Sally Morell, fondatrice della Weston A. Price Foundation — un’organizzazione no-profit che promuove diete tradizionali basate su alimenti naturali, grassi animali e cibi fermentati — spiega che gli omega-3, con tre o sei doppi legami, sono i più esposti all’ossidazione.
Gli oli ossidati diventano rapidamente rancidi, sviluppando odori e sapori sgradevoli, motivo per cui molti oli vegetali da cucina subiscono un processo di raffinazione. Quest’ultimo rappresenta il secondo problema. La raffinazione impiega solventi chimici per estrarre l’olio dai semi, principalmente l’esano noto per le sue componenti neurotossiche. L’olio viene poi purificato, sbiancato e deodorizzato con cicli di riscaldamento ad alta temperatura per migliorarne aspetto e sapore. Tuttavia, la deodorizzazione può produrre grassi trans, tra i più dannosi, e glicidolo, un noto cancerogeno.

OLI VEGETALI E RISCHIO DI CANCRO

Data la connessione tra ossidazione e cancro, alcuni esperti temono che gli ossidanti derivanti dagli oli vegetali riscaldati possano accrescere questo rischio. Negli anni ’50, studi clinici randomizzati hanno testato diete povere di grassi animali, sostituiti con oli vegetali polinsaturi. Sebbene si registrassero cali di colesterolo e, talvolta, di infarti, i follow-up a lungo termine hanno rivelato un aumento della mortalità complessiva, spesso per cancro, tra chi aveva adottato questa dieta.
Dagli anni ’80, alcune ricerche hanno associato bassi livelli di colesterolo a un maggior rischio di cancro, senza chiarirne le cause. «Chi consumava molti oli vegetali mostrava tassi di mortalità per cancro più elevati, e negli anni ’80 si sono tenute riunioni di alto livello presso i National Institutes of Health per indagare questo esito preoccupante — ha dichiarato la giornalista investigativa Nina Teicholz — il problema non è stato risolto». Autrice del bestseller The Big Fat Surprise, la Teicholz ha coniato il termine “oli di semi” e ha dedicato un decennio allo studio dei grassi, evidenziando il legame tra ossidazione di questi oli, infiammazione e cancro, basandosi su studi clinici randomizzati, più robusti delle ricerche osservazionali che collegano gli oli a obesità e diabete.

GRASSI SATURI, PIÙ STABILI IN COTTURA

I grassi saturi risultano i più stabili per la cottura. Privi di doppi legami, reagiscono minimamente a calore e ossigeno. Tra i meno soggetti a ossidazione vi sono i grassi animali, come lardo e sego, con un contenuto di saturi del 40-50%, accompagnati da monoinsaturi e tracce di polinsaturi, che generano pochissimi prodotti ossidativi. Anche oli vegetali come quello di cocco, prevalentemente saturo, o di palma, ricco di saturi e monoinsaturi, resistono bene all’ossidazione.
Gli oli monoinsaturi, come quello di oliva o alcuni di girasole, sono meno stabili dei saturi, ma possono essere adeguati per cotture a basse temperature e di breve durata, risultando più resistenti rispetto agli oli di semi polinsaturi.
Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.

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