Tsipras si è dimesso. Ma «andare alle elezioni non ha alcun significato»

Il primo ministro greco Alexis Tsipras ha rassegnato le dimissioni in diretta televisiva la sera del 20 agosto e ha chiesto elezioni anticipate per settembre, dopo una spaccatura all’interno del suo partito.

L’uscita di scena di Tsipras non sorprende tanto più di tanto, se si considera che la settimana scorsa decine di membri di Syriza hanno votato contro la ratifica del piano di salvataggio in Parlamento, poi approvata con il sostegno dell’opposizione.

Il giovane leader ha sempre sostenuto di non aver avuto altra scelta che accettare il piano di salvataggio, nonostante il suo disaccordo con le condizioni. «Sento il profondo obbligo morale e politico di stabilire, prima del vostro giudizio, tutto ciò che ho fatto, giusto o sbagliato, i risultati e le omissioni», ha detto in diretta televisiva. «Il mandato popolare, che ho ricevuto il 25 gennaio, ha esaurito i suoi limiti», ha aggiunto il premier, annunciando che sarebbe andato dal presidente Prokopis Pavlopoulos per presentare formalmente le sue dimissioni.

Cosa succederà di preciso non lo sa nessuno. Nel frattempo in Grecia è arrivata una prima risposta: in queste ore si starebbe formando Leiki Anotita (Unità popolare), un nuovo partito composto da 25 membri radicali di Syriza, che non include Yanis Varoufakis, ex ministro delle finanze.

Quali altri scenari potrebbero aprire in Grecia, e poi in Italia, le dimissioni di Tsipras? Epoch Times l’ha chiesto a Lidia Undiemi, dottore di ricerca in Diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente presso l’Università degli Studi di Palermo, e autrice del libro Il ricatto dei mercati.

In relazione a un Grexit che pare solo rimandato, che conseguenze possono avere le dimissioni di Tsipras?

«Credo che sia in qualche modo la sconfitta, quantomeno momentanea, di un’idea di sinistra a livello europeo. È chiaro che uscire, come ho sempre detto e scritto nel mio libro, dalla morsa dei creditori, e quindi da questo nuovo sistema di Governo della crisi, è complicato se un Paese viene isolato rispetto a tutti gli altri, che è quello che è accaduto alla Grecia. Occorre capire in quali termini si parla di Grexit, se solo un’uscita dall’euro oppure dal punto di vista degli altri profili, come quelli economici e finanziari.

«Se il Paese resta legato alla politica della troika, io non credo che ci saranno grosse prospettive per il futuro. Se invece per uscita della Grecia s’intende la messa in discussione non soltanto dell’euro, ma di tutta la governance europea, che si basa appunto sul fatto che un Paese debitore venga ridotto a un semplice ‘passacarte’ delle direttive dei creditori nel proprio Paese, allora in questo caso si può sperare in una rivincita. Perché dietro a questo sistema di crisi si nasconde in realtà una feroce lotta di classe a livello internazionale, poiché il creditore, ossia il capitale, aggrediscono politicamente uno Stato, che poi viene costretto a fare delle riforme in primis sul sistema dei diritti dei lavoratori. Questo è quello che è accaduto in Grecia, ma anche in Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda. Quindi le dimissioni di Tsipras devono essere intese come la difficoltà oggi della sinistra di potersi affermare a livello europeo.

«Ci sono stati dei tentativi, è stato fatto tanto clamore per dare una svolta all’Europa. Ma quel clamore non è bastato, specie se si considerano le difficoltà economiche in cui versa il Paese. Pertanto queste dimissioni devono essere viste secondo me in modo molto preoccupante anche in Italia, poiché una volta che è caduta un’idea di politica alternativa in Grecia, non possiamo sperare che in Italia possa accadere qualcosa di diverso. La lezione che può dare la troika è stata quella di dire: “Bene, avete voluto un Governo alternativo, è arrivato, ha tentato di combattere e ha perso”. Quindi noi oggi siamo in questa fase. La sinistra a livello europeo ha perso. Adesso a chi tocca, dopo la Grecia, dare un segnale diverso e tentare una via alternativa? Dovrebbe toccare all’Italia».

Cosa potrebbe succedere in Italia?

«Teniamo conto di una cosa: in Grecia il commissariamento è avvenuto in modo formale, c’è stato un protocollo d’intesa, ci sono state trattative formali. Le pressioni che i mercati però riescono a fare a livello negoziale negli altri Paesi, possono avvenire attraverso altri sistemi. Le riforme che sta facendo la Grecia, le sta facendo in realtà anche l’Italia. Le riforme dettate dalla troika, noi le stiamo facendo.

«Ricordiamoci che dopo quarant’anni la troika è riuscita a modificare l’articolo 18. Quindi in realtà un graduale processo costante di privatizzazione sta avvenendo anche in Italia, la distruzione dei diritti dei lavoratori sta avvenendo anche in Italia, quella del welfare anch’essa sta avvenendo in Italia. Occorre perciò rendersi conto che il modo in cui la troika agisce e interagisce con gli altri Paesi dell’Europa può avvenire anche senza un commissariamento formale, come è avvenuto in Italia.

«Bisognerebbe vedere a questo punto, se dovessimo immaginare un Governo alternativo – per esempio quello del Movimento 5 Stelle – che strumenti oggi possiede in Italia per poter contrastare la troika. In sostanza o si mette in discussione questo sistema economico e finanziario – e la Grecia a modo suo ha dato un forte segnale – oppure da questa commissione non si esce e si assisterà sempre di più a un graduale impoverimento della popolazione e della democrazia, in favore di logiche becere di mercato».

Secondo lei Tsipras potrebbe essere rieletto nelle prossime elezioni, probabilmente il 20 settembre, considerando che la Grecia è una Nazione debole sul piano europeo e che Tsipras è sottoposto a pressioni dall’interno?

«Non riesco a immaginare uno scenario diverso in questo momento, su chi potrebbe costituire un’alternativa o avere la maggioranza. Che Tsipras possa farcela alle prossime elezioni è possibile. Personalmente quello che mi preoccupa molto è che i mercati – la troika – sono riusciti a dimostrare che la politica interna non conta nulla e che andare alle elezioni non ha alcun significato.

«Queste elezioni le vedo come un prendere tempo perché consideriamo per esempio questi piani di finanziamento, che hanno una durata trentennale, e la cui scadenza ultima credo sia nel 2050. Dobbiamo immaginare che la Grecia non vedrà la democrazia per diversi decenni. Questo è quello che accadrebbe o accadrà negli altri Paesi. Pertanto tutte queste fasi intermedie – l’aver siglato il memorandum d’intesa dove la Grecia non poteva fare altrimenti, poiché anche la Bce aveva dato il suo ultimatum alla Grecia, queste dimissioni e le nuove elezioni – noi dobbiamo inserirle all’interno di un percorso permanente di commissariamento. All’interno di quest’arco temporale si deve tentare di costruire un’alternativa. Chi è consapevole che si tratta non di un commissariamento breve, ma a lunghissimo termine, dovrebbe capire che stanno accadendo questi avvenimenti, vedere strategicamente cosa può fare la Grecia, cosa può fare l’Italia, cosa può fare l’opposizione in Spagna. Le singole azioni vanno contestualizzate in questo grande arco temporale».

Cosa potrà succedere all’economia greca e a quella italiana?

«Dipende dal livello di consapevolezza che abbiamo degli obiettivi politici del mercato, che attualmente è rappresentato a livello politico dalla troika, organismo fortissimo con degli Stati molto deboli. La troika ha intenzione di modificare le strutture democratiche che ci sono all’interno degli Stati, attaccando il welfare, il ruolo di uno Stato nell’economia e il ruolo dei lavoratori, ossia il potere che i lavoratori hanno conquistato dal Secondo Dopoguerra. Una volta staccati questi centri di rappresentanza e aumentato i propri poteri di Governo del territorio, a quel punto un fenomeno di ripresa economica si potrebbe avere, ma tenendo conto di quello che saremo in futuro. Adesso a noi cosa interessa? Ci interessa soltanto la ripresa economica, ossia i numeri (Pil e quant’altro), oppure ci interessa capire quanto costerà questa crescita in futuro all’Italia, ai cittadini italiani e alla democrazia?»

Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha dichiarato che «è cruciale che la Grecia mantenga gli impegni stretti con l’Eurozona». Quanto questa dichiarazione è interpretabile come un’ingerenza europea negli affari interni di una Nazione sovrana?

«Questo lo fanno continuamente. Lo fanno in modo palese da quando è stato siglato il Meccanismo Europeo di Stabilità, il trattato della troika. Utilizzano un linguaggio forbito, un linguaggio tecnico, per esempio le ‘condizionalità che lo Stato deve attuare in base a un memorandum d’intesa’. Questo significa “Io ti do i soldi, però devi attuare le riforme. Quindi il Governo in sostanza passa a noi”. Ormai l’Europa ha gettato la maschera, la Grecia in questo ha avuto un grande ruolo. Le ingerenze ci sono e ci saranno sempre. Per esempio il Fmi, quando l’Italia discuteva della riforma dell’articolo 18, è entrato a gamba tesa sulle riforme da attuare sul lavoro, così come le agenzie di rating. La domanda che gli italiani dovrebbero farsi è: perché il Fmi vede l’articolo 18 come una delle priorità in Italia, considerato che non può avere alcun aspetto macroeconomico in riferimento alla crescita? Sappiamo che la crisi è arrivata perché c’è stato il fallimento della Lehman Brothers e i relativi problemi di disequilibrio dell’eurozona. I problemi si sono manifestati da quella grande crisi. Qualcuno mi deve dire cosa c’entra l’articolo 18 con tutto questo. Quindi è chiaro che l’obiettivo politico è un altro.

«Il problema non è la crescita economica. Piuttosto indebolendo lo Stato, le democrazie e il potere contrattuale dei lavoratori, anche in ipotesi di crescita, una quota sempre maggiore di reddito nazionale andrà al capitale e non al lavoro. Se indeboliamo lo Stato e la democrazia, lo Stato sarà soltanto un contenitore vuoto che verrà riempito da altri interessi. Non possiamo capire la questione economica e finanziaria, se non capiamo quella politica. Comunque non è solo l’articolo 18, ma è stata destrutturata la contrattazione collettiva nazionale, ci sono state altre riforme, come per esempio l’ultima sul de-mansionamento. Accade quindi che il lavoratore è in balia di mercato, che grazie a uno sbilanciamento di forze, può esercitare un qualsiasi tipologia di pressione sul lavoratore e ottenere sempre più quote del reddito».

Intervista rivista per brevità e chiarezza

 
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