Svalutazione o morte

Willem Buiter, il capo economista di Citigroup, non è il tipico economista medio. Nonostante i lunghi studi teorici a Yale e Cambridge, infatti, è capace di battute del tipo: «l’esame della patente è il mio più grande traguardo formativo».

E in effetti, per essere uno che lavora per una delle maggiori banche al mondo, non si può dire che abbia peli sulla lingua.

Secondo lui, infatti, «Citigroup deve aver deciso che è meglio avere qualcuno che una volta ogni tanto dica la verità, piuttosto che quello che la gente vuole sentirsi dire».

Epoch Times ha intervistato Willem Buiter sulla possibile crisi finanziaria in Cina, la svalutazione della moneta e le potenziali soluzioni.

Quali sono i problemi della Cina?

La Cina ha tre problemi:

primo, ha fatto follemente leva sul settore delle grandi corporation e sul sistema bancario, sia quello ufficiale che quello collaterale [in inglese ‘shadow banking’, sistema di finanziamento tra banche al di fuori dei canali ufficiali autorizzati e monitorati dalla legge, ndr], che ha fra l’altro grande bisogno di essere ristrutturato e consolidato;
secondo, ha una sovraccapacità produttiva industriale in numerosi settori cruciali, per cui accusa ora problemi ciclici;

terzo, ha necessità di riequilibrarsi: dalla crescita delle esportazioni alla domanda interna, che va dalla crescita degli investimenti ai consumi; dalla crescita dei prodotti a quella dei servizi; e in più ha bisogno che il ruolo del settore privato accresca.

E ora niente di tutto questo sta accadendo.

La crescita per il momento ha cessato di calare (anche se rimane significativamente inferiore a com’era in passato) solo grazie a misure di stimolo insostenibili. E cioè la crescita della concessione di crediti che va ad aggiungersi all’eccessivo ricorso di cui sopra. Investimenti, poi, in settori in cui già sussiste sovraccapacità produttiva: di fatto una fuga in avanti che non fa che rendere più difficili e complicati i necessari aggiustamenti.

I provvedimenti di riequilibrio sono stati messi in sospeso, perché richiedono politiche attive e innovative. Con la campagna anti corruzione ancora in pieno svolgimento (siamo al quarto anno e si sta per giunta intensificando), tutti i funzionari pubblici dei ministeri e del Partito stanno chiusi nel loro guscio, non si azzardano a fare nulla di mai tentato o di nuovo. Proprio quello che ci vorrebbe, invece, sia in termini di gestione della stabilità finanziaria che di politica generale di stabilizzazione, di adeguato stimolo fiscale e di ribilanciamento complessivo.

Cosa si può fare?

Bisogna incrementare il ruolo del settore privato per risparmiare sulle società di proprietà statale. Ma qui stanno aumentando le imprese di proprietà dello Stato… È la cosa meno difficile da fare, perché è quello che si fa sempre.

Quindi la Cina è in stallo, e credo che ci rimarrà fintanto che non si arriverà a un ribilanciamento di lungo periodo, e finché i problemi politici che si riflettono nella campagna anticorruzione non saranno risolti, non ci saranno politiche fiscali favorevoli al riequilibrio.

A meno che non optino per la soluzione dell’Helicopter money, uno stimolo fiscale indirizzato principalmente al consumo e non all’investimento. Ma con un’organizzazione che supporti le infrastrutture, non con treni ad alta velocità in Tibet. Deve essere finanziato dal governo centrale (l’unico soggetto dalle ‘tasche grandi’) e deve essere monetizzato dalla Banca Centrale cinese.

Tecnicamente, questo è quello che serve al Paese, che attualmente è incapace – politicamente, non tecnicamente – di realizzare questa soluzione. E io credo sia improbabile che ci riescano senza perlomeno una crisi ciclica di una certa gravità. Quanto grave, dipende da quanto rapidamente sapranno rispondere quando la situazione diventerà palesemente drammatica.

Qual è la sua attuale stima del Pil cinese?

Meno del 4 per cento. Il dato ufficiale è attorno al 7, ma quelli sono numeri fabbricati ad arte.

Quindi, se la crescita è al 4 per cento e i tassi di interesse sono all’8, questo non crea problemi?

I tassi di interesse reali sono alti in Cina. Specialmente per quelli che io chiamo gli onesti debitori privati. La connessione tra il tasso d’interesse e quello di crescita guida la dinamica del debito in rapporto al Pil. Il cosiddetto ‘Effetto palla di neve’ diventa negativo quando il tasso di interesse supera quello di crescita; ed è quello che probabilmente sta succedendo ora.

Quindi c’è un problema. Ma risolvibile: non è niente di trascendentale, non c’è bisogno di reinventare la ruota. Ma avere gli strumenti ed essere politicamente in grado di usarli – e volerli usare – non è la stessa cosa. La Cina ha gli strumenti, ma non ha ancora la volontà e la capacità di usarli nel modo adatto a evitare gravi conseguenze.

LA CRISI FINANZIARIA

Quindi parliamo di un problema in un certo senso simile a quello europeo. Bisognerebbe abbassare il valore di molti debiti inesigibili. Si ricapitalizzano le banche e stimolano i consumi per aumentare l’inflazione?

In Europa bisognerebbe davvero finanziare le spese in conto capitale. I tassi di investimento sono notoriamente bassi in Europa, mentre la Cina ha il problema opposto: devono far ripartire i consumi. Quindi si avrebbe ovviamente una situazione win-win.

Ristrutturazione del debito – taglio se necessario – e poi un ben mirato stimolo fiscale finanziato in ultima istanza dalla Banca Centrale europea: gettare i soldi dall’elicottero. La Cina mirerebbe al consumo. La composizione è diversa perché la Cina investe troppo.

E se la Cina non risolve il problema?

Avranno una crisi finanziaria. Che sarebbe gestibile, perché il 95% del debito in sofferenza è in yuan. Ma bisogna volerlo fare: si deve essere proattivi.

Gli Stati Uniti non avevano un problema di debito in valuta straniera, quando sono stati colpiti dalla grande crisi finanziaria. Le banche andarono a picco. Erano tutte passività in dollari. È possibile avere una buona vecchia crisi finanziaria senza avere il debito in valuta estera (che la Cina non ha) della crisi asiatica del 1997-98.

Ma una crisi finanziaria è un rischio. E ovviamente si potrebbe avere una forte svalutazione dello yuan, se le riserve dovessero essere impiegate per tutelare in modo mirato importanti soggetti che invece hanno debito in valuta estera.

Questa sarebbe la conseguenza di una mancata azione: una recessione e, nel peggiore dei casi, una crisi finanziaria. Ma di nuovo: è qualcosa da cui si può uscire, non è la fine del mondo; solo è molto costosa e politicamente destabilizzante.

LA SVALUTAZIONE

Ma la moneta dovrebbe perdere valore

Non vedo lo yuan andare insieme al dollaro nel corso del prossimo anno, per non parlare dei prossimi due anni.
No. Io credo che in questo momento il mercato non tema più una forte svalutazione dello yuan. Perciò i flussi di capitali in uscita guidati dalla paura della svalutazione si sono fermati. Ma potrebbero riprendere in un attimo, specie se ci sarà ancora confusione in Europa. Forse la crisi delle banche, e di conseguenza ulteriore pressione al rialzo sul dollaro e sulle altre valute-rifugio.

E anche la valuta cinese verrebbe trascinata? Io non credo. Dovranno scollegarsi. Quindi quella è una strada per cui (per ragioni esterne) l’ancoraggio dello yuan potrebbe diventare difficile da gestire

Come vede il resto dell’anno?

La crescita continuerà a essere lenta. La Cina sta iniziando a perdere fiducia nelle sue capacità di gestire la propria moneta, e con un forte rallentamento delle attività.

Posto che le trattative sul Brexit rimangano disciplinate, l’Europa e il resto del mondo industriale li vedo non troppo ‘ostili’ e a crescita inferiore rispetto all’anno in corso; ma non drammaticamente inferiore.

Se invece il Brexit degenera in una rissa tra i 27 e la Gran Bretagna, se diventa contagioso (dopo le elezioni in Olanda, il marzo prossimo, e poi in Francia e Germania), se il referendum in Italia a ottobre di quest’anno boccia il governo e la paura dell’emulazione britannica prende il sopravvento, allora potrebbero esserci ulteriori forti cali di attività.

Gli Usa dovrebbero di nuovo prendere tempo, più o meno come l’anno scorso. Così avremmo una mediocre crescita, nel migliore dei casi, e con rischi di perdite, per lo più.

Alcuni mercati emergenti, Russia e Brasile, andranno meglio quest’anno dell’anno scorso, semplicemente perché fare peggio sarebbe impossibile. Le conseguenze degli shock da cui sono stati colpiti (in gran parte di origine interna in Brasile, e in parte esterna in Russia, che ha sofferto per il prezzo del petrolio e per le sanzioni) stanno andando scemando, per cui è possibile un certo recupero.

Sarà un mondo afflitto da una stagnazione secolare, se non si adotta la giusta combinazione di contromisure fiscali e monetarie di stimolo; e, dal lato della domanda per il lungo periodo, se non si favoriscono misure che promuovano la crescita, una maggiore spesa in conto capitale, miglior formazione e addestramento, corsi di formazione professionale, forte deregolamentazione, minori livelli di tassazione eccetera.

Tutte queste sono misure necessarie a mantenere il potenziale produttivo ai livelli che ci permettano di realizzare i nostri obiettivi.

Ma se non agiamo con uno stimolo, non raggiungeremo nemmeno i più infimi livelli di crescita.

Quindi non c’è speranza che le azioni salgano di un altro dieci per cento dagli attuali valori?

Tutto è possibile, ma io credo che i fondamentali dell’economia dicano di no.

 

Articolo in inglese: Citi Chief Economist Names China’s Three Problems

 

 
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