La Marina statunitense non ha le navi giuste per le operazioni nel Mar Rosso

Di Mike Fredenburg

L’autore di questo articolo, Mike Fredenburg, scrive di tecnologia militare e difesa, con particolare attenzione alla riforma della difesa. Ha conseguito una laurea in ingegneria meccanica e un master in gestione delle operazioni di produzione.

 

In questo momento, la Marina statunitense e i suoi alleati stanno combattendo per eliminare la minaccia che i droni e i missili degli Houthi rappresentano per le navi mercantili che attraversano il Mar Rosso dirette al Canale di Suez, una rotta di navigazione che fino a poco tempo fa era responsabile di circa il 15 percento delle spedizioni mondiali.

Fortunatamente per le forze navali statunitensi e per le navi mercantili che attraversano il Mar Rosso, gli Houthi, a differenza degli ucraini, non ricevono informazioni di puntamento in tempo reale da una potenza di primo livello. Purtroppo, per le navi mercantili e per le navi che le difendono, l’ingresso meridionale del Mar Rosso, lo stretto di Bab-el-Mandeb, è molto stretto, con un’ampiezza di soli 32 chilometri circa, e le sue sponde orientali sono delimitate da porzioni dello Yemen controllate dagli Houthi.

È anche spiacevole che, nonostante la maggior parte degli attacchi degli Houthi sia mancata o abbia causato danni minori, essi hanno comunque creato abbastanza paura, incertezza e dubbi da causare una riduzione del 42% del traffico attraverso il Canale di Suez.

Non sorprende che la maggior parte degli attacchi sia avvenuta vicino alla costa dello Yemen. Non sappiamo quanti droni Houthi, che non sono mai stati individuati, siano precipitati innocuamente nell’oceano dopo essere andati fuori rotta, aver esaurito il carburante o aver avuto un malfunzionamento. E date le preoccupazioni per la sicurezza operativa e altre ragioni che l’amministrazione Biden potrebbe ritenere legittime per il controllo delle informazioni, non sappiamo nemmeno se la Marina stia segnalando tutti i lanci che sono stati rilevati o quanti tentativi siano stati fatti per intercettare le varie minacce.

Sappiamo però che i nostri cacciatorpediniere Arleigh Burke hanno lanciato almeno 100 «missili standard» nel tentativo di proteggere le navi mercantili, oltre che per autodifesa. Che si tratti di missili Sm-2 (2,1 milioni di dollari l’uno), Sm-6 (3,9 milioni di dollari l’uno) o Evolved Sea Sparrow Missiles (Essm), a circa 2 milioni di dollari l’uno, il costo dei missili è stato di almeno 200 milioni di dollari. Sappiamo anche che la maggior parte dei droni abbattuti costa molto meno di 20 mila dollari, e molti costano poche migliaia di dollari.

Questo ci porta alla questione che ha tormentato i fornitori di armi di Russia e Ucraina: la sostenibilità dell’uso di missili di difesa aerea da milioni di dollari per abbattere droni che costano poche migliaia di dollari. E quindi, considerando il tipo di navi che la Marina ha a disposizione, è possibile modificare le tattiche per ridurre i costi di difesa dai droni a basso costo?

La triste realtà è che, al momento, la risposta è probabilmente «no» per una serie di ragioni. La prima è che la Marina americana non è riuscita ad acquistare o costruire navi da combattimento costiere efficaci. Abbiamo invece continuato a costruire grandi navi da combattimento di superficie come le Arleigh Burke, progettate per fornire difesa aerea contro costosi aerei e missili. Di conseguenza, dato che le 26 navi da combattimento litoranee non ancora ritirate sono praticamente inutili, e che la maggior parte delle nostre Ticonderogas sono state sottoposte a una manutenzione così scadente da essere ormai inutilizzabili, sono state schierate le uniche navi possibili: le Arleigh Burke.

Come ho sottolineato in un recente articolo, le Arleigh Burke sono navi versatili e capaci che hanno costituito la spina dorsale della Marina statunitense per decenni. Tuttavia, pur essendo versatili e certamente utilizzabili nel Mar Rosso, non sono state progettate per affrontare droni a basso costo, né per operazioni lungo le coste.

In primo luogo, i Ddg-51 sono navi da acque blu. Per acque blu intendo l’Oceano Pacifico, l’Oceano Atlantico, eccetera, e i mari più grandi. Non sono state progettate per le operazioni di combattimento costiero che si sono svolte nelle acque limitrofe dello stretto di Bab-el-Mandeb. Sono davvero cacciatorpediniere a missili guidati, con quasi tutta la loro proiezione di potenza offensiva e difensiva derivante dai già citati missili di grandi dimensioni e costosi. Questi missili sono stati progettati per abbattere missili e aerei che costano da centinaia di migliaia di dollari a molte decine di milioni di dollari.

Mentre i missili trasportati dai Burke sono costosi e potrebbero essere considerati eccessivi quando si tratta di difendersi da droni che volano lentamente e sono facili da abbattere, le armi antiaeree secondarie dell’Arleigh Burke, pur essendo moderatamente in grado di fornire un’ultima difesa della nave, non sono in grado di fornire la potenza difensiva necessaria per proteggere le navi del Mar Rosso.

Il motivo per cui le armi di difesa aerea di secondo e terzo livello del Burke sono davvero meglio utilizzate come ultima difesa contro le minacce aeree è che sia il cannone Mk-45 da quasi 13 centimetri che il sistema d’arma ravvicinata Phalanx da 20 mm sparano proiettili non guidati. Sebbene questi cannoni siano molto precisi, a differenza di quelli che sparano proiettili guidati, la loro precisione dipende dal raggio d’azione. Di conseguenza, iniziano a diventare efficienti ed efficaci nella difesa aerea solo quando il bersaglio è abbastanza vicino alla nave. Anche un drone da 190 chilometri orari che esegue manovre evasive di base potrebbe avere buone probabilità di arrivare a pochi chilometri dalla nave prima di essere distrutto dal cannone Mk-45 del Burke. E con una gittata massima effettiva di soli 1,5 chilometri circa, il Phalanx fornisce davvero solo una difesa aerea a corto raggio. Quindi, né l’Mk-45 né il Phalanx possono fare molto per fornire una difesa aerea alle navi mercantili che la Marina statunitense sta cercando di proteggere.

Inoltre, mentre l’Mk-45 e il Phalanx potrebbero essere utilizzati per distruggere i droni che hanno preso di mira la loro nave, il loro utilizzo ha un impatto negativo sulla loro prontezza nel fornire il secondo e terzo strato di difese attive su cui il Burke fa affidamento nel caso in cui un missile molto più letale superi i missili di difesa aerea del Burke, durante o poco dopo il loro impiego per distruggere un drone.

Infine, nessun capitano rinuncerà a utilizzare le armi che offrono le migliori possibilità di garantire che la sua nave non venga danneggiata, e per il cacciatorpediniere Arleigh Burke questo significa impiegare missili da 2 milioni di dollari per distruggere droni che costano poche migliaia di dollari.

Questo non significa che le armi giuste, montate sulla nave giusta, non possano essere efficaci nel distruggere droni a basso costo così come i missili.

Ecco un’idea: piuttosto che acquistare altre grandi navi da combattimento di superficie come le Burke Flight III da 9.700 tonnellate e le fregate di classe Constellation da 7.300 tonnellate, per circa un quarto del costo di una nuova Burke, la Marina potrebbe acquistare la Corvette Sa’ar 6 da 2.000 tonnellate, da 500 milioni di dollari, pesantemente armata, che non solo monta l’eccellente cannone Oto-Melara da 76 mm per la difesa aerea, ma è anche dotata di missili antiaerei derivati dall’Iron Dome (C-Dome) [conosciuta anche come Cupola di Ferro, ndt] con una gittata effettiva di circa 64.5 chilometri.

Il costo stimato dei missili C-Dome è ben al di sotto dei 100 mila dollari per missile. Inoltre, essendo la Corvette più economica da gestire, con un equipaggio pari a circa un quarto di quello di un Burke, è possibile schierarne un numero maggiore per fornire una migliore copertura.

Se equipaggiati con la potente capacità di ingaggio cooperativo della Marina statunitense, i cacciatorpediniere Arleigh Burke possono coordinare le operazioni difensive delle Corvette Sa’ar 6, utilizzandole per fornire potenza difensiva quando e dove necessario.

 

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente i punti di vista di Epoch Times.

Articolo in lingua inglese: US Navy Does Not Have the Right Ships for Red Sea Operations

NEWSLETTER
*Epoch Times Italia*
 
Articoli correlati