Elezioni 2022 e coalizioni: centrodestra unito, caos per ora a sinistra

Di Marco D'Ippolito

Mancano ormai meno di sessanta giorni alle elezioni politiche del 25 settembre, ma non è ancora chiaro quali siano le coalizioni in campo e anche per questo i partiti continuano a oscillare quotidianamente nei sondaggi, rendendo ancora più imprevedibile il risultato elettorale.

 

Sondaggi

Secondo l’ultima media elaborata da YouTrend tra i principali sondaggi condotti dal 14 al 27 luglio, al primo posto troviamo Fratelli d’Italia (Fdi) con il 23,3% dei consensi e un incremento netto dello 0,9% rispetto alla media delle due settimane precedenti. Segue il Partito Democratico (Pd) con una stima del 22,8% e un incremento del 1,1%.

In calo invece dello 0,9% la Lega (13,7%), dell’1,1% il M5s (10,1%) e dell’1% Forza Italia (7,8%). Una tendenza che secondo molti sondaggisti è legata alla responsabilità, vera o percepita, di questi partiti nella caduta del governo Draghi. Seguono Azione/+Europa (4,9%), Verdi/Sinistra (4,1%), Italexit (2,8%), Italia Viva (2,7%), Art.1-MDP (1,8%), mentre il restante 6% va diviso tra tutte le altre liste minori messe assieme.

 

Legge elettorale

L’attuale legge elettorale, il cosiddetto ‘Rosatellum’, è un misto di proporzionale e maggioritario. Un terzo dei seggi parlamentari vengono aggiudicati infatti nei collegi uninominali, dove il candidato locale che riceve il maggior numero di voti si aggiudica la ‘poltrona’ in palio nel collegio. Mentre i restanti due terzi dei seggi sono suddivisi in maniera proporzionale, su base nazionale, tra i partiti che superano la soglia di sbarramento del 3%.

Le liste che ricevono tra l’1 e il 3% dei voti e fanno parte di una coalizione, vedono i loro voti riversati proporzionalmente nei partiti della propria coalizione che hanno superato il 3%. Mentre i voti delle liste che non raggiungono l’1% vanno completamente persi.

Si tratta della stessa legge in vigore durante le elezioni del 2018, ma secondo gli esperti questa volta le elezioni si decideranno nei collegi uninominali (maggioritari) per la Camera e soprattutto per il Senato.

Di fatto, sono proprio la complessità e le varie possibilità e scenari derivanti dal Rosatellum che stanno contribuendo a mantenere incerti gli schieramenti, le coalizioni e i possibili ‘accordi tecnici’ del campo progressista. Un fatto sottolineato anche dal segretario di Azione Carlo Calenda su Twitter: «Non possiamo sbagliare la decisione sulla corsa in coalizione al centro o con il Pd. Da questa decisione dipende la possibilità di contendere la vittoria, che non reputo affatto certa, alla destra e di dare al Paese un governo decoroso. Le variabili sono molte e complesse».

 

Coalizioni

Da una parte c’è la coalizione di centro-destra che è ormai schierata assieme da diversi anni, sebbene i rapporti di forza tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia siano completamente cambiati rispetto al 2018. Permangono comunque tensioni interne, nonostante la rinnovata intesa sulla leadership, che potrebbero creare attriti e difficoltà aggiunte a un ipotetico governo di centrodestra, che attualmente è il grande favorito della corsa elettorale.

Molto più complessa e variegata la situazione nel campo progressista: un insieme di partiti tendenti a sinistra e uniti sostanzialmente dalla volontà di impedire la vittoria elettorale della destra. Tra questi si annovera anche il M5s, e sebbene sia pressoché certo che non formerà una coalizione con il Pd, non è completamente da escludere che possa trovare accordi tecnici per correre di fatto al fianco del Pd nei collegi uninominali. Sembra essere questa, infatti, l’unica possibilità realistica che il campo progressista avrebbe per tentare di impedire al centrodestra di conseguire la maggioranza in Senato e alla Camera.

Il ’jolly’ che potrebbe sparigliare le carte è invece Italexit di Gianluigi Paragone, che attualmente si sta attestando intorno al 3% nei sondaggi. Le posizioni di Paragone infatti, per quanto minoritarie, potrebbero realisticamente attrarre un certo numero di elettori nei prossimi due mesi poiché non sono rappresentate da nessun altro grande partito: uscita dall’Euro e opposizione agli obblighi vaccinali. E se Italexit raggiungesse realmente una quota superiore al 5%, il suo peso potrebbe inaspettatamente rivelarsi decisivo nella prossima legislatura.

 

Il ‘campo progressista’

Il principale problema del cosiddetto ‘campo largo’ sono la moltitudine di posizioni divergenti, attriti e personalismi che in caso di vittoria e conseguente formazione di un governo farebbero sembrare una bazzecola le dispute interne al centrodestra. Da Calenda a Conte, fino a Renzi, Letta, Speranza e Fratoianni.

Ad oggi, una delle poche alleanze certe del Pd è quella con il nuovo partito del ministro degli Esteri uscente Luigi di Maio (Ips), oltre a quelle più consolidate con Articolo 1 di Roberto Speranza e con le liste di Psi e Demos.

Non è stata ancora annunciata formalmente un’alleanza tra Pd e Azione di Calenda, sebbene le trattative sembrino essere a buon punto, mentre sono maggiori le resistenze interne nel siglare un’intesa con Italia Viva di Renzi.

Il primo ministro italiano entrante, Matteo Renzi, posa con il primo ministro uscente Enrico Letta, a Palazzo Chigi il 22 febbraio 2014 a Roma, Italia. Matteo Renzi, al tempo 39enne, è stato il più giovane premier nella storia della Repubblica italiana. (Foto di Elisabetta Villa/Getty Images)

Altro tassello ‘fondamentale’ perché il campo progressista possa insidiare la vittoria del centrodestra è l’alleanza con i Verdi e Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni, che dal canto suo ha dichiarato il 28 luglio a La Repubblica: «Bisogna assolutamente impedire che Meloni e Salvini facciano cappotto nei collegi uninominali e conquistino la maggioranza assoluta dei seggi». Aggiungendo poi che «per per salvare la Costituzione [dalle possibili modifiche effettuate da un Parlamento di centrodestra, ndr] servono anche i 5S» all’interno della grande alleanza progressista.

L’interrogativo però, posto al termine dell’intervista dalla giornalista di Repubblica, è giustamente stato: «Come farete a governare poi?». Al che il leader di Sinistra Italiana ha replicato: «Intanto fermiamo la destra», chiarificando ancora una volta la natura di questo possibile campo largo.

 

La situazione del centro-destra

La coalizione di centro-destra, ben definita nella sua composizione (Fdi, Lega e Fi), sembra aver recentemente raggiunto un’intesa sulla questione più scottante al vaglio: chi sarà il premier in caso di vittoria?

Dopo alcuni giorni di apparenti tensioni e dichiarazioni contrastanti, la coalizione ha emesso il 27 luglio un comunicato congiunto per annunciare di aver raggiunto un’intesa sulla ripartizione dei collegi uninominali e sull’eventuale nomina del presidente del Consiglio, affermando che «la coalizione proporrà al presidente della Repubblica, quale premier, l’esponente indicato da chi avrà preso più voti».

Ma proprio in queste ultime parole potrebbe celarsi un doppio senso che secondo l’Agi non è passato inosservato a Fratelli d’Italia; infatti la Meloni avrebbe insistito per inserire la dicitura ‘l’esponente indicato dal partito che avrà preso più voti’, in modo da non lasciare alcuno spazio all’interpretazione secondo cui Salvini e Berlusconi potrebbero mettersi d’accordo per nominare il premier qualora prendessero insieme più voti di Fdi. Tuttavia, alla fine le opposizioni della Meloni non sono state accolte ed è quindi stata confermata la prima forma del comunicato.

Del resto già il giorno successivo il Cavaliere, in un’intervista rilasciata al programma Zona Bianca di Retequattro, ha dichiarato tra le molte altre cose: «Sarà Forza Italia ad indicare il premier perché io scendo in campo». Sebbene sia difficile immaginare che Berlusconi ambisca veramente a superare la Meloni in termini di consensi.

Dal canto suo la Meloni ha dichiarato al Giornale, riferendosi all’intesa sulla premiership, di essere «contenta che alla fine abbia prevalso per tutti il buonsenso» e ha poi aggiunto «Il centrodestra ha già raggiunto un accordo sulla premiership, sui punti di massima del programma e sui collegi uninominali. Dall’altra parte, invece, stanno ancora in alto mare».

La Meloni ha però anche ammonito pubblicamente i suoi alleati esortandoli a «non fare una campagna elettorale facendo promesse che non si possono mantenere, serve serietà».

Ad ogni modo, quel che è certo è che l’esecutivo che si ritroverà a governare l’Italia nel prossimo autunno non avrà vita facile, ne bel mezzo di quelli che molti già definiscono la peggiore crisi economica e sociale dalla nascita della Repubblica italiana.

 
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