Dopo che il disegno di legge sulla riforma costituzionale è stata approvata dal Consiglio dei ministri, il 3 novembre, si sono fatte sentire le opposizioni, le quali chiedono modifiche fondamentali, a un testo che ritengono possa mettere in pericolo la democrazia del Paese.
Una è la norma antiribaltone, che prevede di scongiurare sfiducie al governo derivanti dalla coalizione di partiti opposti.
Un’altra è quella sull’elezione diretta – a suffragio universale – del premier. Le opposizioni vogliono invece che venga scelto dal Capo dello Stato. Mantenendo le cose come sono adesso.
Ed è proprio il presidente della Repubblica che, a loro avviso, si vede ridotti i suoi poteri con questa riforma costituzionale. Ad esempio, non potrà nominare nuovi (cinque) senatori a vita.
Intanto, il ministro delle riforme istituzionali Elisabetta Casellati si è espressa in merito, dichiarando la piena disponibilità all’ascolto di tutti, purché senza «pregiudizi».
La coalizione, tuttavia, ritiene che il testo (di riforma) non riduca i poteri delle Camere, così come del Capo dello Stato; e che, al contrario, li potenzi. E non renderebbe il premier più autoritario, anzi, a loro vedere, sarebbe proprio il popolo – tramite l’elezione diretta – ad avere più controllo.
Il procedimento di approvazione
Prima che la riforma venga applicata è necessario un iter di voti.
La Costituzione richiede, in base all’articolo 138, che sia il Senato sia la Camera approvino la proposta di riforma costituzionale della medesima stesura, per due volte.
Se (a maggioranza) i due terzi di entrambe le Camere, durante la seconda votazione, convalideranno il testo, la riforma sarà approvata. Se invece le Camere approveranno il testo a maggioranza, ma senza raggiungere i due terzi, la riforma verrà sottoposta al referendum popolare.
Nel caso venisse confermata, la proposta di riforma costituzionale non entrerebbe in vigore prima della (naturale) conclusione del presente governo (nel 2027).