Disoccupazione in Cina, un grave problema economico

La parola disoccupazione certamente riassume la situazione economica della Cina nel 2015. Basti pensare a fallimenti, fughe di capitali, 300 milioni di lavoratori migranti che hanno perso lavoro, al Governo che ha costretto le travagliate aziende di proprietà statale a rimanere aperte dando lavoro a veterani e infine alle politiche che hanno incoraggiato i lavoratori migranti a tornare nella loro città d’origine per avviare nuove imprese. Tutto questo riguarda la disoccupazione.

CHIUSURA DELLE INDUSTRIE SIDERURGICHE E DEL CARBONE

In Cina le industrie del carbone e dell’acciaio sono state i più grandi datori di lavoro: la prima ha impiegato più di 5,8 milioni di persone, la seconda 3,3 milioni. I fallimenti delle imprese in questi due settori porteranno inevitabilmente a una disoccupazione dilagante.

Il 24 agosto 2015, il Consiglio di Stato ha rilasciato un rapporto sui rischi nell’industria mineraria del carbone e su come gestirli. Il rapporto dichiarava che 4.947 miniere di carbone cinesi (il 48 per cento del totale) avevano chiuso o che la produzione era stata interrotta. In altre parole, quasi la metà della produzione di carbone in Cina è cessata, con gravi ripercussioni nelle provincie dello Shaanxi, Shanxi, Mongolia Interna e altre provincie ricche di carbone. Nella Mongolia interna, la provincia con la più grande riserva di carbone del Paese, la metà di tutte le miniere ha chiuso o è ferma, e più di centomila persone hanno perso il lavoro. Questa depressione ha avuto inizio nel 2013; molte aziende hanno lottato per resistere fino a oggi ma ora non possono più sopravvivere.

La situazione nel settore siderurgico è simile. La sovraccapacità in Cina ha causato bassi profitti nell’intero settore: secondo gli esperti, esiste una riserva d’acciaio che durerà per cinque anni e ai primi di agosto costava l’equivalente di 250 euro per tonnellata.
Questa panoramica mostra il rallentamento economico e la debolezza della domanda industriale della Cina. I professionisti del settore sostengono che le cose andranno ancora peggio per il settore siderurgico. Allo stato attuale, la Cina annovera 2.460 imprese siderurgiche, ma il numero dovrebbe scendere sotto i 300. Questo indica che oltre l’80 per cento delle imprese sono prossime a subire fusioni e acquisizioni; nei prossimi tre anni l’industria siderurgica passerà attraverso un processo di ristrutturazione e di eliminazione.

LA FABBRICA MONDIALE SI SPOSTA IN ALTRI PAESI 

Negli ultimi anni, con l’aumento del costo del lavoro in Cina, molte aziende hanno spostato le loro fabbriche in Vietnam, India e altre nazioni del Sudest asiatico; tutto questo consente loro di mantenere gli stessi margini di profitto. Secondo alcuni dati rilasciati dall’Asia Footwear Association, un terzo degli ordini provenienti dalla città di Dongguan (conosciuta come la ‘capitale delle scarpe’) si sono spostati nel Sudest asiatico. Il declino di Dongguan è iniziato nel 2008 quando 72 mila imprese si sono trasferite nei successivi cinque anni. E la situazione attuale non è buona: nel solo 2014 hanno chiuso almeno quattromila imprese e a ottobre 2015 più di duemila società finanziate da Taiwan hanno abbandonato Dongguan, con cinque milioni di lavoratori lasciati a casa.

Un punto di riferimento per l’ascesa e la caduta del settore manifatturiero è l’industria di stampa e imballaggio, che rappresenta il termine del processo di fabbricazione. In questo settore la Cina conta 3,4 milioni di lavoratori assunti in 105 mila imprese. Con il declino della produzione, l’industria di stampa e imballaggio sta ricevendo un minor numero di ordinazioni e il tasso di disoccupazione sta progressivamente salendo. Questa tipologia d’industria è molto grande nella provincia del Guangdong, ma la situazione non è rosea: l’occupazione è scesa da 1,1 milioni nel 2010 e a 800 mila nel 2014.

DATI SULLA DISOCCUPAZIONE 

Le seguenti tre analisi sono forse quelle che meglio forniscono il quadro reale della disoccupazione in Cina.

Nel 2010, l’allora vice premier Zhang Dejiang aveva dichiarato che 45 milioni di posti di lavoro in Cina erano stati creati da società estere. Gli investimenti esteri, grazie anche al supporto delle imprese, hanno fornito complessivamente oltre cento milioni di posti di lavoro. Questo numero corrisponde a quanto menzionato da Justin Lin durante il World Economic Forum nel mese di gennaio 2015; Lin aveva detto che la Cina avrebbe perso 124 milioni di posti di lavoro se l’intero settore di produzione si fosse trasferito dalla Cina.

Prima del 2010 c’erano già moltissimi disoccupati in Cina. Il 22 marzo 2010, l’ex primo ministro Wen Jiabao aveva espresso i suoi timori ai rappresentanti degli Usa al China Development Forum: «Il Governo degli Stati Uniti si sta preoccupando per i quasi due milioni di disoccupati. Ma la Cina sta affrontando la stretta di 200 milioni di lavoratori disoccupati».

Lu Tu, una ricercatrice che studia la classe lavoratrice migrante della Cina (persone che vivono in campagna e lavorano nelle città, e che vivono in baraccopoli a causa delle restrizioni nell’utilizzo dei soggiorni) sostiene che la Cina abbia 300 milioni di nuovi lavoratori migranti. Includendo i loro genitori e figli, il numero sale a 500 milioni, con un impatto non trascurabile sulla società cinese. In altre parole, la condizione di questi 500 milioni di persone influenza la stabilità sociale della Cina.

INSTABILITÀ SOCIALE 

Se una fabbrica licenzia il dieci per cento dei suoi dipendenti, si può pensare che ci siano stati problemi di compatibilità lavorativa. Se il 50 per cento delle aziende effettua tagli, può essere attribuito a una contrazione del mercato.
Ma se c’è un problema di fuga di capitali, come sta avvenendo oggi, e centinaia di milioni di persone diventano disoccupati, allora è l’inizio di una grande depressione. In una simile situazione, la disoccupazione non è più un problema esclusivo dei lavoratori disoccupati, ma anche un problema sociale che il Governo deve affrontare.

Ebbene, l’economia cinese è ormai in questa situazione. Attualmente il gigante asiatico non presenta vantaggi nel settore tecnologico, nelle risorse o nel capitale umano tali da compiere un rapido recupero. Pertanto deve prepararsi all’angoscia di una disoccupazione di lunga durata. I troppi disoccupati stanno portando alla nascita di una classe di diseredati, di profughi interni. Il Partito Comunista cinese non deve dimenticare che la base sociale della rivoluzione comunista della Cina nel XX secolo è stata anche un enorme numero di queste persone.

      Per saperne di più:


Traduzione abbreviata dell’articolo pubblicata sul blog personale di He Qinglian.
 

He Qinglian è un’autrice ed economista cinese di primo piano. Attualmente vive negli Stati Uniti, ha scritto ‘China pitfalls’ [la trappola della Cina, ndt], che tratta la corruzione nella riforma economica cinese degli anni 90, e ‘The fog of censorship: Media control in China’ [La nebbia della censura: il controllo dei media in Cina, ndt] che affronta il tema della manipolazione e del controllo della stampa. Scrive regolarmente su questioni contemporanee sociali ed economiche della Cina. 

Articolo in inglese: ‘Unemployment: China’s Biggest Economic Woe

 
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