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Sanae Takaichi aveva 'osato' definire un'invasione di Taiwan una grave miccia per il Giappone

Il console cinese che vorrebbe «tagliare la gola» al primo ministro giapponese

Il 9 novembre, in un post su X successivamente cancellato, il console generale Xue Jian del consolato cinese a Osaka, in Giappone, ha scritto che non avrebbe avuto altra scelta se non quella di «tagliare quell'immonda gola che si è intromessa». "L'immonda gola" era quella del capo del governo giapponese, Sanae Takaichi

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Xue Jian, Console Generale cinese a Osaka, parla durante l'evento della Giornata del Cinema Cinese al Padiglione Cina dell'Expo 2025 Osaka, a Osaka, Giappone, 25 maggio 2025. Foto Hu Xiaoge/Xinhua via ZUMA Press Via Ansa

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Il 9 novembre, in un post su X successivamente cancellato, il console generale Xue Jian del consolato cinese a Osaka, in Giappone, ha scritto che non avrebbe avuto altra scelta se non quella di «tagliare quell’immonda gola che si è intromessa».
“L’immonda gola” era quella del capo del governo giapponese, Sanae Takaichi, che in commissione parlamentare il 7 novembre aveva affermato che un blocco cinese su Taiwan probabilmente creerebbe una «situazione di minaccia alla sopravvivenza» per il Giappone, e quindi potrebbe costringere Tokyo a fare intervenire le proprie forze armate.
Le parole e le azioni del corpo diplomatico del Partito comunista cinese sono interamente coerenti con la crescente belligeranza di Pechino, che nel frattempo persegue interessi strategici ed economici senza alcun riguardo per il diritto internazionale.
Il (ben poco) diplomatico cinese Xue Jian, 57 anni, si è laureato nel 1992 in Lingua e cultura giapponese, e nella sua carriera ha sempre lavorato per il ministero degli Affari esteri cinese, dedicandosi quasi esclusivamente a questioni diplomatiche legate al Giappone. In breve, il console Xue non è estraneo alla cultura, alla politica e al sistema di governo giapponesi. E in qualità di diplomatico con oltre 30 anni di esperienza (di cui almeno otto trascorsi in Giappone), è a certamente conoscenza dei protocolli diplomatici standard in uso in tutto il mondo.
La regola numero uno per i diplomatici è evitare qualsiasi dichiarazione pubblica negativa riguardante altri Paesi, specialmente se rivolta al Paese ospitante. È un principio fondamentale della diplomazia moderna radicato nella Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, nel diritto internazionale e nella necessità pratica: un diplomatico straniero non può sperare di mantenere la fiducia del Paese ospitante dopo, ad esempio, un attacco personale al capo dello Stato.
L’articolo 41 della Convenzione di Vienna decreta infatti che «tutte le persone che godono di privilegi e immunità sono tenute, senza pregiudizio degli stessi, a rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato accreditatario». E i diplomatici sono anche tenuti «a non immischiarsi negli affari interni» della nazione ospitante.
Il corretto modo di procedere per un diplomatico, quindi, è evidentemente quello di “plaudire in pubblico e criticare in privato”, al fine di mantenere una relazione costruttiva anche quando vi siano seri disaccordi politici tra i rispettivi governi.
Ma le esternazioni scomposte e violente del console cinese Xue non sono solo una deviazione dal protocollo: costituiscono anche una diretta minaccia personale al primo ministro giapponese Sanae Takaichi. L’aggravante è, naturalmente, la posizione gerarchica del politico cinese: non un tirocinante alle prime armi, ma un politico e diplomatico con anni di esperienza. Attualmente, si può solo supporre che la dichiarazione di Xue sia stata tacitamente approvata dal Partito comunista cinese. Ma è l’eventualità più probabile, visto che nessun diplomatico (nemmeno del regime cinese) sarebbe così pazzo da assumersi la responsabilità di una simile iniziativa. E d’altra parte, a oggi il console cinese non risulta essere stato né richiamato né sanzionato in alcun modo da Pechino.
Ma la Repubblica Popolare Cinese non è nuova a violazioni del protocollo diplomatico. Dal 2010 a oggi si possono contare almeno 7 episodi gravi, documentati in tutto il mondo, di interferenza negli affari interni o di mancato rispetto delle leggi della nazione ospitante. Ma a stupire di più è il fatto che spesso l’accaduto sia stato ignorato. Nelle Filippine, in Canada e negli Stati Uniti alcuni diplomatici sono stati accusati di spiare e riportare dati sensibili al governo cinese, mentre in Repubblica Ceca agenti dell’intelligence e membri del corpo diplomatico hanno fisicamente pedinato la vicepresidente taiwanese; in Svezia, Francia e Regno Unito si sono invece verificati episodi di minacce o aggressioni nei confronti di giornalisti, colleghi e manifestanti di Hong Kong. I commenti pubblici del console Xue, dunque, non sorprendono, anzi: sono perfettamente in linea con la politica estera del regime comunista cinese, fatta di scorrettezze intimidazione e minacce.
 

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