La propaganda cinese a pieno regime per nascondere l’impatto dei dazi

di Redazione ETI/Stu Cvrk
16 Giugno 2025 16:02 Aggiornato: 16 Giugno 2025 16:03

Adottando una strategia tipica, il Partito comunista cinese ha intensificato la sua campagna di disinformazione per attenuare e nascondere gli effetti devastanti dei dazi imposti dagli Stati Uniti. Una raffica di articoli pubblicata dagli organi di propaganda del regime, snocciola statistiche rosee sulla crescita e la produzione cinese. Il 16 aprile l’Ufficio nazionale di statistica ha annunciato che «Pil nel primo trimestre ha raggiunto i 31 mila miliardi  875 milioni di yuan, con un incremento del 5,4% su base annua a prezzi costanti». Un dato interessante, considerando che una crescita del Pil di tale entità (ammesso che sia reale) suggerirebbe che i dazi americani non abbiano alcun impatto sull’economia di esportazione cinese.

LE STATISTICHE ECONOMICHE DEL PCC

Gli osservatori internazionali “sospettano” che le statistiche ufficiali dell’Ufficio nazionale di statistica cinese occultino regolarmente problemi sistemici dell’economia cinese, come la contrazione del settore immobiliare e l’indebitamento delle amministrazioni locali. Questi problemi sono alimentati dalle autorità locali, incentivate a raggiungere gli obiettivi di crescita e investimento fissati dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma. Tale sistema le spinge a manipolare i dati locali. I numeri dell’anno scorso sono un esempio emblematico.

Come riportato a gennaio dall’Atlantic Council, mentre la commissione dichiarava una crescita del Pil cinese per il 2024 pari al 5%, in linea con le previsioni, il gruppo di esperti Rhodium stimava un aumento tra il 2,4% e il 2,8%, ben al di sotto delle cifre ufficiali. Rhodium ha osservato che il dato del 5% non è coerente con «le vendite al dettaglio dimezzate rispetto al 2023, la fiducia dei consumatori ai minimi storici, un’inflazione dei prezzi al consumo prossima allo zero e un calo delle vendite nell’e-commerce».

L’Ufficio nazionale di statistica cinese sta falsificando i dati? Diversi analisti mettono in discussione la veridicità dei suoi rapporti da anni. Ad esempio, nel 2019 il National Bureau of Economic Research ha pubblicato un’analisi che concludeva che «la crescita del Pil cinese tra il 2010 e il 2016 è stata inferiore di 1,8 punti percentuali» rispetto a quanto riportato.

Un altro caso significativo è stato evidenziato dalla società di ricerca indipendente MacroPolo, che ha rilevato come sette province cinesi abbiano «sovrastimato il loro Pil del 10% o più» tra il 2016 e il 2020. In alcuni casi, la falsificazione dei dati locali è così evidente che persino l’ufficio è costretto a riconoscerlo pubblicamente. È accaduto nel 2018, dopo un’indagine anticorruzione nelle province di Liaoning e Mongolia Interna, quando l’ufficio statistico locale ha pubblicato stime riviste del Pil locale per il 2016 e il 2017, rispettivamente inferiori del 22% e dell’11% rispetto ai dati ufficiali precedenti.

La corruzione endemica delle amministrazioni locali in Cina è relativamente facile da comprendere. Il Partito comunista cinese utilizza da tempo il sistema di scambio dei quadri, che prevede la rotazione periodica di funzionari tra province, città e altre unità amministrative, in modo simile ai trasferimenti dei militari americani durante la loro carriera. Segretari del partito locali, governatori, sindaci e persino burocrati degli uffici statistici vengono spostati ogni tre-cinque anni, per acquisire esperienza utile alla promozione, garantire la continuità del controllo centralizzato del Pcc e prevenire la formazione di gruppi regionali che potrebbero sfidare le politiche di Pechino.

Poiché promozioni e rotazioni dipendono dalle performance economiche, dalla stabilità sociale e dal rispetto delle direttive del partito, i funzionari locali del Pcc hanno un interesse personale a manipolare i dati. L’assenza di legami con le comunità locali facilita ulteriormente questo processo, poiché i funzionari in partenza tendono a ignorare i problemi strutturali a lungo termine, concentrandosi invece sull’inflazione dei numeri per raggiungere obiettivi di breve periodo.

LE CONTRADDIZIONI DELLA RETORICA UFFICIALE

Nel pieno della guerra commerciale con gli Stati Uniti, l’Ufficio nazionale di statistica continua a produrre statistiche che avvalorano la versione dei fatti secondo cui il Pcc ha tutto sotto controllo. Ad esempio, il 27 maggio China Daily ha riferito che le imprese industriali cinesi con un fatturato annuo di almeno 2 milioni e 780 mila dollari «hanno registrato un aumento dei profitti totali del 3% su base annua ad aprile, rispetto a una crescita del 2,6% a marzo».

La realtà di queste statistiche è ben riassunta dall’Atlantic Council: «I dati macroeconomici (riportati dall’Ufficio per il 2024) mostrano buone notizie, con una crescita che centra costantemente gli obiettivi: se fosse vero, le azioni politiche sempre più aggressive di Pechino per sostenere l’economia non sarebbero necessarie».

Ci sono altre contraddizioni evidenti rispetto ai numeri dell’ufficio. Il 24 maggio Nikkei Asia ha riportato che «l’80% delle banche cinesi ha visto i propri margini di interesse scendere sotto la soglia di redditività del settore», con un calo dell’1,52% alla fine del 2024, un minimo storico. Questo non è il segnale di un’economia in salute.

L’economia cinese è ulteriormente minacciata da pressioni deflazionistiche. Come riferito il 5 maggio da Asia Times, «i prezzi alla produzione sono in calo da 29 mesi consecutivi, e i dati di marzo hanno mostrato il calo più marcato degli ultimi quattro mesi». Con la riduzione della domanda americana, la Cina ha reindirizzato le esportazioni invendute al mercato interno a prezzi fortemente scontati, indebolendo i guadagni delle aziende esportatrici e spingendole a tagliare i costi, spesso attraverso licenziamenti.

Infine, China Daily ha riferito che la Banca popolare cinese, la banca centrale del Paese, «ha iniettato mille miliardi di yuan (139 miliardi di dollari) nel mercato il 6 giugno». Questa misura è stata presentata come un’azione per «stabilizzare l’economia e stimolare la crescita». Resta inspiegato, tuttavia, perché tale stimolo monetario sia stato necessario, considerando la crescita del Pil del 5% stimata dai vari uffici.

CONSIDERAZIONI FINALI

La Cina comunista ha una lunga storia di manipolazione dei dati economici, con molte amministrazioni locali che gonfiano regolarmente le statistiche riportate all’Ufficio nazionale di statistica. I media di Stato cinesi sostengono che la gestione economica del Pcc abbia neutralizzato l’impatto dei dazi reciproci americani e che l’economia cinese continui a crescere al ritmo previsto del 5% annuo.

Questa versione dei fatti è in netto contrasto con chiari segnali di difficoltà economiche, come evidenziato sopra. Le pressioni deflazionistiche nel mercato interno cinese sono il risultato diretto della cattiva gestione economica del regime comunista e di un tentativo disperato di reindirizzare le esportazioni al consumo interno. Questo, a sua volta, mina la redditività delle aziende esportatrici cinesi, portandole a misure drastiche di riduzione dei costi, in una spirale distruttiva. Le pressioni dei dazi reciproci continueranno a mettere in luce i fallimenti del Pcc e a rivelare la verità dietro le statistiche economiche.


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