Con la condanna a 25 anni di reclusione inflitta martedì da un tribunale londinese ad Ahmed Ramadan Mohamad Ebid, cittadino egiziano di 42 anni, si chiude una delle più rilevanti inchieste giudiziarie europee degli ultimi anni sul traffico di esseri umani lungo la rotta libica.
Il procedimento, istruito nel Regno Unito e basato su mesi di indagini coordinate dalla National Crime Agency, ha portato alla luce un sistema strutturato, capace di organizzare la traversata clandestina di migliaia di migranti dall’Africa settentrionale verso le coste italiane, con mezzi di fortuna, a fronte di pagamenti individuali che superavano, in media, le 3.200 sterline. Secondo le stime fornite dai pubblici ministeri britannici, il solo periodo compreso tra l’ottobre 2022 e il giugno 2023 avrebbe fruttato all’organizzazione oltre 12 milioni di sterline.
La figura di Ebid emerge come centrale all’interno di questo meccanismo. Gli inquirenti britannici lo collocano ai vertici della rete che si occupava di letteralmente pubblicizzare le partenze – anche attraverso Facebook – e di gestire i rapporti con i migranti, trattati come “unità di carico” da trasferire da un continente all’altro. L’analisi delle conversazioni intercettate nel corso dell’indagine ha restituito l’immagine di un’organizzazione priva di scrupoli, dove la vita delle persone veniva subordinata alla necessità di non compromettere il funzionamento dell’intero sistema. In una delle registrazioni, Ebid ordinava di vietare l’uso dei telefoni cellulari a bordo, aggiungendo – secondo quanto riportato dai pubblici ministeri londinesi – che chi avesse trasgredito sarebbe stato «gettato in mare».
A nulla è servita la sua ammissione di colpevolezza, avvenuta lo scorso anno: la Corte ha inflitto comunque una pena severa, giudicando l’azione dell’imputato non solo illecita, ma anche gravemente disumana. Il giudice Adam Hiddleston, nel motivare la sentenza, ha parlato di una «sistematica spoliazione dell’identità» dei migranti, ridotti a merce valorizzata esclusivamente in funzione del prezzo pagato.
Al di là dell’indignazione che possono suscitare le frasi intercettate, la vicenda rimette al centro dell’attenzione pubblica e politica il fenomeno della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centrale: un sistema che, nonostante i numerosi sforzi di contrasto, continua a moltiplicarsi in assenza di canali legali, sicuri e sostenibili per chi cerca di fuggire da conflitti, miseria o persecuzioni.
La condanna di Ebid rappresenta, in tal senso, un precedente importante. Ma allo stesso tempo pone interrogativi sulle ramificazioni internazionali di reti criminali capaci di muoversi tra piattaforme digitali, coste desertiche e circuiti finanziari informali, dimostrando una capacità operativa che le istituzioni giudiziarie, da sole, faticano a contenere.
In questo scenario, la condanna emessa a Londra non può che essere letta come un punto fermo nella risposta al traffico di migranti. Ma anche come un invito, per i governi coinvolti, a proseguire nella cooperazione transnazionale, unica via percorribile per contrastare un racket tanto redditizio quanto mostruoso.