WeChat: tutti i dati personali dei cinesi al Pcc

La più popolare applicazione cinese di messaggistica, WeChat, ha recentemente inviato ai propri utenti una informativa sulla privacy con cui ha reso nota la percentuale di dati privati che l’azienda condivide con il regime cinese. Non è stata una sorpresa per nessuno apprendere che praticamente ogni cosa che gli utenti digitino viene messa a disposizione degli apparati del Partito Comunista Cinese.
Sviluppata dal colosso cinese Tencent, WeChat è l’equivalente cinese di WhatsApp ed è utilizzata da 662 milioni di utenti; una popolarità tale da renderla l’applicazione di messaggistica più diffusa in Cina e fra le maggiori al mondo.

Gli utenti di WeChat che hanno scaricato l’ultimo aggiornamento, sono accolti da un messaggio che richiede loro di accettare l’informativa sulla privacy per continuare a utilizzare l’applicazione. La nuova informativa sulla privacy, se letta attentamente, riconosce che WeChat raccoglie un’ampia gamma di dati dai suoi utenti e che conformemente con «leggi e regolamenti in vigore» si riserva il diritto di metterli a disposizione del regime cinese.

La cronologia delle chat degli utenti cosi come «informazioni su quello che gli utenti cercano o guardano mentre usano WeChat, le persone con cui comunicano, l’ora, la data e la durata delle conversazioni» sono tra i dati che WeChat memorizza e utilizza liberamente per personalizzare la pubblicità e per attività di marketing targhettizzate.

Il messaggio dell’informativa sulla privacy per continuare a utilizzare WeChat (Screenshot acquisito dall’utente Twitter @lotus_ruan).

WeChat ammette inoltre che potrebbe «immagazzinare o divulgare» i dati degli utenti al fine di «rispettare le leggi e i regolamenti in vigore». Dal momento che in Cina le forze dell’ordine e gli apparati di sicurezza rispondono non una una repubblica democratica ma a un regime dittatoriale, le autorità non necessitano di alcun mandato della magistratura per sequestrare le proprietà di un cittadino o i dati privati. Tradotto: il regime cinese ha essenzialmente accesso alla totalità dei contenuti che gli utenti scrivono su WeChat.

Gli utenti che rifiutano di accettare l’ultima informativa sulla privacy non possono accedere a WeChat con i loro account finché non ‘cambiano idea’ e cliccano sul pulsante ‘accetta’. In ogni caso, affinché gli utenti possano riprendere a utilizzare l’applicazione in qualsiasi momento con i loro dati preesistenti intatti, WeChat prevede di conservarli per un lungo periodo, anche quando l’utente vieti esplicitamente a WeChat di gestire i suoi dati.

La nuova informativa sulla privacy non è certo una sorpresa per chi da tempo critica WeChat per la mancanza di tutela della privacy e della sicurezza dei propri utenti: gli osservatori hanno attribuito il predominio di WeChat in Cina alla sua stretta collaborazione con il regime comunista di Pechino, con cui ha sviluppato meccanismi di autocensura e di sorveglianza interni all’applicazione.
A luglio, poi, Wechat ha persino ricevuto un assist dal regime Cinese, che ha bloccato parzialmente WhatsApp, eliminando di fatto una delle poche applicazioni di messaggistica non controllata dal Pcc.

Il regime cinese ha inoltre recentemente annunciato una nuova norma, che rende i partecipanti dei gruppi di messaggi WeChat responsabili per le informazioni pubblicate nei rispettivi gruppi. In sostanza, questo significa che un utente di un ‘gruppo’ potrebbe essere ritenuto responsabile e persino perseguito penalmente per i contenuti inseriti da altri membri del gruppo.

Da tempo è noto come WeChat sia tra le app di messaggistica più censurate: uno studio di Amnesty International del 2016 che ha classificato le applicazioni di messaggistica più popolari al mondo in termini di protezione della privacy, ha dato a WeChat un punteggio di 0 su 100; le conversazioni hanno infatti una protezione crittografica quasi inesistente e l’applicazione è completamente esposta alla sorveglianza e alla censura del regime.

Articolo in inglese: WeChat Confirms: It Gives Just About All Private User Data to the Chinese Regime

Traduzione di Marco D’Ippolito

 
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