Tecnologia italiana usata per spiare Regeni? Pm indagano su servizi esteri

Giorni di calma, la fase ciclica del ‘silenzio’ tipica di questi casi, per le indagini sull’omicidio di Giulio Regeni: dopo il trambusto delle scorse settimane – con le ricostruzioni egiziane improbabili, la mancanza di collaborazione, il richiamo dell’ambasciatore, l’imbarazzante fuga di comunicati interni – le indagini italo-egiziane proseguono senza clamore mediatico, fatti salvi i braccialetti gialli ‘verità per Giulio Regeni’ mostrati a Cannes.

I magistrati italiani, riporta Huffington Post, starebbero indagando su possibili manipolazioni da parte dei servizi britannici e americani, i quali avrebbero spinto il ragazzo, attraverso le università per cui collaborava, a ottenere informazioni a loro utili. Queste università richiedevano continue interviste a esponenti di spicco dei sindacati – si evince dalle e-mail nel computer di Regeni – e quindi delle opposizioni. Regeni era appassionato e intraprendente, e la polizia – è probabile – già da tempo teneva d’occhio ogni sua mossa, compresa la sua posta elettronica.

Parlando con gli ambulanti, che sono spesso informatori della polizia, il ragazzo aveva lasciato attorno a sé una serie di tracce dettagliate, che poi hanno portato gli egiziani alla conclusione che Giulio fosse pericoloso. E qui il Macellaio Khaled Shalaby, capo della polizia investigativa, ha forse fatto il resto, con le torture «disumane» poi riscontrate sul corpo del ragazzo.

Nelle settimane scorse era anche trapelata una direttiva del ministro dell’Interno egiziano, che intimava di non pubblicare informazioni relative alle indagini sul caso Regeni, secondo Associated Press. Comunque, dato che Ap non ha fornito ulteriori dettagli, a onor del vero può non trattarsi necessariamente di una mossa scorretta, dato che le indagini serie normalmente hanno assoluta necessità di segretezza durante tutta l’istruttoria.

IL REGENI FRANCESE

Intanto il caso del ‘Regeni francese’ ha portato alla condanna di sei detenuti, a 7 anni di carcere: Eric Lang, 49enne di nazionalità francese, era stato trattenuto al Cairo nel 2013, perché privo di visto di soggiorno valido sul passaporto. Secondo la versione delle autorità, era stato picchiato in carcere dai detenuti, fino alla morte. La ragione dell’aggressione, secondo il Guardian, è da ascrivere all’ondata di xenofobia e di teorie del complotto anti-straniere che attraversava già allora l’Egitto. Non è del tutto chiaro, però, come i detenuti da soli possano aver picchiato a morte una persona in un carcere, senza che le guardie se ne accorgessero.

ALTRE OMBRE SULL’HACKING TEAM

Secondo il Fatto Quotidiano, per monitorare Regeni, in Egitto potrebbe essere stata utilizzata una tecnologia sofisticata dell’azienda milanese Hacking Team, che sviluppa strumenti informatici per la ‘sicurezza offensiva’, utili in teoria alle autorità per scovare i criminali, ma usati anche da regimi oppressivi per perseguitare i dissidenti. Questa tecnologia sarebbe stata fornita anche alle autorità egiziane.

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