Superare il conflitto, cosa insegnano le antiche tradizioni

Di Alessandro Starnoni

Del combattimento e dei conflitti, le antiche arti marziali orientali avevano una concezione opposta a quella che si ha oggi.

Il classico braccio di ferro, o forza contro forza, è l’immagine che meglio rappresenta la comprensione odierna del conflitto: non può esistere conflitto senza due forze che si oppongono, l’una in una direzione, l’altra in un’altra contraria, verrebbe da pensare.

Eppure, i grandi esperti del combattimento, i maestri dell’antico oriente, i grandi saggi del passato, considerano quello appena descritto il metodo peggiore per affrontare e per cercare di superare un conflitto. Loro avevano un’idea più spirituale ed elevata, molto vicina al concetto dell’«amare il proprio nemico» insegnato da Gesù o da Buddha. Alla fine non è il più ‘forte’ che vince, ma semmai il più saggio.
Il più saggio saprà infatti che non dovrà farsi trascinare nella trappola del conflitto, poiché nulla vi è di più pericoloso, e non ne varrà nemmeno la pena.

Ma questo non significa scappare, o evitare l’ostacolo. Il conflitto va superato nel modo più rapido possibile, e va affrontato, quando si presenta. La chiave sta nel non rimanere bloccati nella classica situazione ‘forza contro forza’, o nel ‘botta e risposta’ se ci si riferisce a uno scontro verbale, sia questo di natura politica o di qualsiasi altro genere.

Per il generale Sun Tzu, il nemico si vince senza combattere: è lo stesso principio che si ritrova nelle arti marziali orientali. Si può prendere il Judo, come esempio calzante. Il principio fondamentale del Judo (letteralmente ‘via della cedevolezza’), è vincere senza applicare alcuna forza sul nemico, senza dispendio di energie proprie.

Finché si risponde alla sua forza, significa infatti che si sta riconoscendo quella forza, o ‘nemico’. Quest’ultimo sparirà e si estinguerà solo quando non verrà più ‘riconosciuto’, cioè non gli si darà più credito e autorità. Per vincere ci si deve quindi elevare al di sopra di esso, e non farsi trascinare al suo livello. D’altronde, anche secondo il principio degli opposti, un certo ‘opposto’ può esistere solamente perché, e fino al momento in cui, ci sarà un fattore all’altro estremo che lo genera.

Ma l’opporre fisicamente una forza di resistenza, come nel combattimento corpo a corpo, non è il solo modo di riconoscere il nemico. Come prima accennato, anche un insulto verbale può far male come un pugno o un bastone. In questo caso, se applicassimo i principi del Judo al conflitto verbale, quella forza che si impiegherebbe nel rispondere con un altro insulto – quindi la rabbia – diventa l’elemento che non aiuta a sconfiggere il nemico, ma che al contrario lo rafforza. Quindi un probabile motivo di sconfitta.

La leggenda narra che il fondatore di questa arte marziale, Jigoro Kano, mentre era seduto in meditazione nella sua casa in montagna, notò che, durante una fitta nevicata, i rami della quercia si spezzavano al peso della neve che si accumulava su di essi. Poi spostò lo sguardo su un altro albero: il salice piangente. Al contrario della quercia, che ha dei rami forti e robusti, i suoi sono più esili e sottili. Eppure, quando la neve si accumulava su di essi, questi ultimi si piegavano, flettendosi senza spezzarsi, lasciavano cadere la neve, e poi tornavano nella loro posizione originaria.

Questa esperienza lo ispirò, e da lì fondò la sua disciplina. Questo quindi non significa che il conflitto vada evitato. Per superarlo va sopportato appieno, e questo implica che vada affrontato.

Da un’altra prospettiva, in realtà, quando si impiega una forza contraria a quella che colpisce, o quando si risponde con rabbia a un insulto ricevuto, sono proprio queste le azioni che per loro natura cercano di evitare il conflitto e il dolore; quando si risponde con cattiveria si cerca infatti di evitare la sofferenza derivata dalla perdita che quel ‘colpo’ subito può arrecare. Ma è proprio quella risposta di rabbia e di forza, alla quale si crede di ricorrere per non soffrire, che al contrario ci porta a soffrire di più: infatti, il ramo della quercia che non vuole piegarsi, si spezza.

Il senso è che la neve, per quanto pesante essa sia, deve essere lasciata cadere, proprio come fa il salice. Il conflitto deve essere lasciato accadere. Il colpo va incassato. Consapevoli del fatto che quella resilienza sta in realtà preparandoci alla vittoria. L’atto di sapersi piegare senza spezzarsi infatti, non significa arrendersi: è la vera forza, è la vera sopportazione che porta al successo, al superamento del conflitto e alla pace.

Certo, ovviamente il punto non sta solo nell’agire apparentemente in un modo calmo e gentile, mentre dentro di sé si avrebbe voglia di esplodere. L’azione dovrebbe riflettere quello che si pensa realmente.

Le antiche arti marziali ribaltano il concetto del dolore e del guadagno e la comprensione che si ha oggi della lotta. Sono la perdita momentanea, la vera sopportazione e anche la sofferenza, che porteranno a una vittoria netta e duratura.

Il ruolo di desideri e paure

Così come rabbia e risentimento, un altro elemento che gioca il ruolo nocivo di continuare a riconoscere il nemico, e quindi di prolungare il conflitto all’infinito, è la paura. Nessuna paura può portare alla vittoria o al superamento di un conflitto, poiché rispondere con paura è equivalente al rispondere con violenza o con rabbia: anche la paura è un indice del non voler soffrire, del non voler accettare una eventuale perdita. Solitamente, più si insiste nell’avere paura, più quella perdita ci colpirà.

La paura deriva quindi dal pensiero sottostante del desiderare che le cose siano sempre ‘rose e fiori’, dall’essere troppo affezionati alle cose e alle emozioni che compiacciono il proprio ego e i propri sensi, e quindi dal non voler perdere queste cose. In un diverbio con un’altra persona, il rispondere a tono porta soddisfazione, quando l’altro si trova in una condizione in cui non riesce più a ribattere perché troppo avvilito. E di conseguenza si fa di tutto per non ritrovarsi in quest’ultima situazione.

In tali circostanze, l’umiliazione sembra davvero una disfatta troppo grande da dover sopportare. Questa non disponibilità a sopportare deriva proprio da quel perseguimento delle emozioni di compiacimento, come condizione necessaria per la propria serenità. Tale collegamento tra desiderio e paura è evidenziato anche nei nostri Classici, negli scritti di Seneca. Quindi, l’ardente desiderio o la continua ricerca di emozioni ‘positive’ è un fattore fondamentale che solitamente contribuisce a generare l’opposto all’altro estremo, e quindi il conflitto.

Tutto questo significa che, per poter superare i conflitti, per poter sconfiggere il ‘nemico’, si deve conoscere bene sé stessi. Ed è infatti anche uno dei requisiti sottolineati da Sun Tzu ne L’arte della guerra, come anche la conoscenza del Tao. In tale senso, si potrebbe affermare che in realtà, se esistesse davvero un nemico, quest’ultimo risiederebbe in noi stessi, e si presenta quando indulgiamo nei pensieri negativi. Questi si insinuano tra le persone, e le dividono, trascinandole in lotte senza fine.

In un duello quindi, ad avere la meglio è sempre colui che non ha paura di perdere, ovvero colui che è disposto anche a perdere. Non si dovrebbe rimanere aggrappati al gusto della vittoria, ma bisognerebbe saper amare anche il sapore della sconfitta. Che si possieda o meno una cosa, è deciso dal corso della vita; è Dio che decide se dobbiamo averla o meno; qualora la avessimo, si dovrebbe considerare un dono naturale, senza entusiasmarsi troppo per questo; senza pensare che non potremmo farne a meno, e senza sfruttarla a proprio vantaggio.
Qualora non avessimo una determinata cosa invece, si dovrebbe pensare che va bene anche così: il nostro umore non dovrebbe risentirne; in effetti, solo tale stato mentale potrebbe portarci ad averla in futuro, nel caso Dio lo vorrà per noi.

Vale dunque davvero la pena spezzarsi da un momento all’altro come un grosso ramo al peso della neve, nel tentativo di resistere a un fantomatico nemico, o forse è più d’aiuto e più saggio cercare di affrontarlo sopportando, senza rabbia, rancori e paure, per spazzare via il conflitto in un baleno? Dopo aver ‘scaricato’ quella neve di troppo, si potrà tornare a crescere, e ad affrontare la vita con rinnovata energia.

 

L’autore dell’articolo, Alessandro Starnoni, si è laureato nel 2016 alla Facoltà di Lettere di Roma Tre, in Lingue e Culture straniere, con tesi dal titolo ‘Fair Youth, il Fanciullino di Shakespeare‘. Ha praticato le arti marziali fin da bambino per 15 anni e pratica meditazione orientale da più di 10 anni. Appassionato di Belle arti e in particolare di Bel Canto, è content writer e vice responsabile editoriale per l’edizione italiana di Epoch Times. 

 
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