La propaganda del regime cinese in occidente

Di He Qinglian

Il leader cinese Xi Jinping ha recentemente annunciato un cambio di passo, invitando i membri del Partito Comunista Cinese (Pcc) a creare un’immagine «credibile, amabile e rispettabile» della Cina.

Lo ha dichiarato durante una sessione di studio del Politburo del Pcc, il 31 maggio, chiedendo peraltro ai massimi funzionari cinesi di mostrarsi «aperti e sicuri di sé, ma modesti e umili» di fronte alla comunità internazionale.

In generale, la strategia di propaganda estera del Pcc è nota come ‘da wai xuan’, traducibile come ‘grande propaganda estera’. Questa strategia implica l’utilizzo di enormi risorse umane e finanziarie per diffondere la narrazione e l’ideologia del Pcc nei Paesi stranieri, al fine di raccontare la storia della Cina, ma alla maniera del Pcc.

Secondo gli esperti, le parole di Xi confermano che l’aggressiva diplomazia dei ‘guerrieri lupo’ del Pcc si è rivelata un’arma a doppio taglio per il regime. Per questo il Partito appare ora propenso a smorzare la sua aggressività e proiettare all’esterno un’immagine più amichevole di sé.

Tuttavia, sarebbe un grave errore sottovalutare la ‘da wai xuan‘ e considerare la propaganda estera del Pcc come un ridicolo e totale fallimento.

La propaganda estera del Pcc: un fronte sotterraneo

Le forze principali della propaganda estera del Pcc sono i suoi portavoce ufficiali, tra cui Xinhua News Agency, People’s Daily e China Radio International, che hanno adottato lo stesso stile della ‘diplomazia del guerriero lupo’ del Pcc dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19.

Sempre più persone sospettano che il virus che causa il Covid-19 provenga dal Wuhan Institute of Virology (Wiv). Al 16 giugno, il virus ha infettato oltre 176 milioni di persone, uccidendone oltre 3,8 milioni in tutto il mondo. Poiché il Pcc è incappato in grossi guai, deve usare il suo apparato di propaganda per distogliere l’attenzione dal vero problema: la comunità internazionale ritiene il regime responsabile per la cattiva gestione del Covid nelle prime fase dell’epidemia, nella città cinese di Wuhan alla fine del 2019.

Il China Daily, il fiore all’occhiello dei media in lingua inglese del Pcc, è stato classificato come missione straniera dal Dipartimento di Stato americano lo scorso anno. Ma concludere che la propaganda estera del Pcc nel suo insieme abbia fallito, significa dimenticarsi completamente che il Pcc ha un fronte sotterraneo che sostiene la sua propaganda in tutto il mondo.

La strategia della «localizzazione della propaganda all’estero» era in atto da sei anni prima che il Pcc rendesse ufficialmente noto il suo piano di propaganda estera nel 2009. Per dirla chiaramente, questa strategia prevede l’utilizzo dei media stranieri perché aiutino il Pcc a diffondere la sua propaganda a livello globale. Questo fronte sotterraneo è più conveniente rispetto allo schieramento di truppe militari regolari e rende più facile conquistare la fiducia del pubblico locale.

La campagna di propaganda estera si basa sui finanziamenti del Pcc

La ‘grande propaganda estera’ si svolge su due fronti. Da un lato ci sono le agenzie di stampa del Pcc che fondano sedi in tutto il mondo per espandere la loro portata. Tra queste c’è la China Global Television Network (Cgtn), il ramo estero della Cctv (la televisione nazionale del Pcc), che ha stabilito sedi in Africa, negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Nel 2017, i sette canali internazionali di Cctv, tra cui quelli in cinese, inglese, francese, spagnolo, russo, arabo e uno dedicato ai documentari, sono stati trasmessi in oltre 170 Paesi. Questi sono i pilastri visibili della propaganda estera del Pcc. Sono rumorosi ma inefficaci, perché il solo fatto che esistano non significa che le loro informazioni si diffondano e vengano accettate dal pubblico.

Il 2009 è stato un importante punto di svolta, perché il Pcc ha ampliato le sue strategie di propaganda internazionale. All’epoca Pechino ha investito 45 miliardi di yuan (5,8 miliardi di euro) per rafforzare la sua presenza e influenza sulla stampa globale.

L’uso di un fronte sotterraneo per diffondere propaganda e raccontare la storia cinese, come vista dal Pcc, ha avuto un grande e impercettibile impatto sul pubblico. Oltre ai suoi normali organi di propaganda all’estero, che pubblicano testate in varie lingue, il Pcc ha adottato tre tattiche per diffondere segretamente la sua propaganda.

La prima tattica prevede la cooperazione con influenti testate locali in Paesi stranieri, attraverso vari mezzi, compreso lo scambio di spazi per la pubblicazione dei propri contenuti. Il Pcc in realtà paga per pubblicare i suoi articoli di propaganda, in questo modo fa si che i contenuti dei suoi giornali appaiano in queste testate locali.

La seconda tattica consiste nell’invitare in Cina giornalisti ed editori stranieri per visite e corsi di formazione, offrendo loro spese di soggiorno e indennità superiori a quelle che riceverebbero nei loro Paesi. In cambio, il Pcc chiede a questi giornalisti di parlare e scrivere della Cina in un modo che sia ben accolto dal pubblico locale nei propri rispettivi Paesi.

La terza tattica implica l’aggiornamento delle attrezzature multimediali di testate straniere. In cambio, queste aziende dovrebbero poi riferire positivamente sul regime cinese o sul cosiddetto contributo delle imprese cinesi all’estero allo sviluppo economico delle regioni locali.

Nel luglio 2020, l’International Federation of Journalists (Ifj) ha pubblicato un’inchiesta internazionale chiamata «The China Story: Reshaping the World’s Media», rivelando i vari modi in cui la Cina ha rafforzato la sua influenza sui media e sui giornalisti internazionali negli ultimi dieci anni, al fine di raccontare la «storia della Cina» e influenzare la percezione del regime cinese da parte della comunità internazionale.

«La forma più diffusa di influenza cinese sono stati gli scambi giornalistici, con metà dei sindacati [affiliati di Ifj] intervistati che affermano che i giornalisti dei loro Paesi hanno partecipato a scambi o programmi di formazione sponsorizzati da enti cinesi. […] Un terzo dei sindacati intervistati ha affermato di essere stato contattato da, o di aver discusso con, sindacati o enti giornalistici cinesi, e il 38% di questi, ovvero il 14% del totale, aveva firmato Memorandum di Intesa (Mou)».

Giornalisti ‘infiltrati’ nel mondo libero

Il media statale cinese Xinhua News Agency ha lanciato il suo canale di notizie in lingua inglese il primo luglio 2009, e prima ancora, il Pcc aveva avviato diversi giornali in lingua inglese come News China, che è la versione inglese di China Newsweek, «un periodico sottoscritto dalla maggior parte delle ambasciate straniere in Cina e dalla maggior parte delle ambasciate cinesi all’estero». Il suo organo di amministrazione è il China News Service, di proprietà statale, che si rivolge principalmente ai cinesi all’estero e ai ‘connazionali’ di Hong Kong, Macao e Taiwan, come scritto dal suo sito ufficiale.

Alla fine di febbraio 2009, il China Daily, che fa anche parte del China Global Television Network (Cgtn), ha pianificato di creare la sua edizione per il Nord America e le corrispondenti redazioni in diversi luoghi, tra cui Washington Dc. Quando ha pubblicato i suoi annunci di reclutamento per giornalisti, molti candidati si sono presentati per fare domanda. Cgtn ha offerto uno stipendio molto interessante.

Come hanno scritto Louisa Lim e Julia Bergin sul The Guardian nel dicembre 2018, quando la Cgtn ha iniziato a reclutare giornalisti «per lavorare negli studi all’avanguardia [della Cgtn, ndt.] appositamente costruiti a Chiswick, un distretto di Londra, […] il team di reclutamento per la nuova sede londinese dell’emittente statale cinese ha avuto un problema invidiabile: troppi, troppi candidati. Quasi 6 mila persone si sono candidate per soli 90 posti vacanti per ‘riportare notizie da una prospettiva cinese’. Anche il semplice compito di leggere il mucchio di candidature richiederebbe quasi due mesi».

Nel giornalismo globale, i media tradizionali hanno iniziato a declinare dal 2008. In un momento in cui i media occidentali sono costretti a tagliare budget e personale a causa dell’impatto sia dell’abbondanza di informazioni su Internet che della crisi finanziaria, la necessità della Cina di editor e giornalisti in tutte le lingue, sembra fornire ad alcuni giornalisti un’opportunità di lavoro apparentemente buona. Gli ottimi stipendi dei media esteri di Pechino sono sufficienti perché alcuni giornalisti occidentali chiudano un occhio sulla qustione etica e degli standard giornalistici, mentre promuovono la propaganda del Pcc.

Secondo un articolo pubblicato l’8 aprile dal The National Pulse, diversi membri dello staff del New York Times sono stati assunti dal China Daily, tra cui Jonah Kessel, direttore della fotografia; Diarmuid McDermott, redattore e designer dello staff; e Alex Marshall, un giornalista.

Kessel che è stato direttore creativo del China Daily da luglio 2009 a novembre 2010, al tempo ha scritto su Twitter che lavorare per il Pcc, a volte «ha i suoi vantaggi» e che si sentiva «entusiasta» nel «ridisegnare» il China Daily. Secondo il National Pulse, in seguito «ha twittato più volte che stava lavorando per, ed era pagato», dal Partito Comunista Cinese.

McDermott ha lavorato come redattore e designer per il China Daily nella sede di Hong Kong per otto anni, da novembre 2012 a novembre 2020, secondo il suo profilo LinkedIn e il suo sito web personale.

Il Pcc paga i media statunitensi per fare il lavaggio del cervello agli americani

Il China Daily ha corrisposto ai giornali americani quasi 19 milioni di dollari dal novembre 2016 per la pubblicazione di articoli e pubblicità, di cui quasi 11 milioni sono stati pagati a due delle principali testate americane: il Washington Post e il Wall Street Journal. Questo è quanto emerge dai documenti depositati presso il Dipartimento di Giustizia.

John Dotson ha scritto il 12 aprile sul China Brief che «esiste una lunga storia di media statali della Rpc che pagano per inserti ‘pubblicitari’ nei principali giornali statunitensi come The Washington Post, Wall Street Journal e New York Times, spesso sotto le insegne di ‘China Watch’ o ‘China Focus’, che sono entrambe intestazioni utilizzate da Xinhua per i suoi contenuti in lingua inglese.

«Gli articoli in questi inserti hanno lo scopo di sembrare notizie e materiale editoriale presentato dal giornale ospitante (sebbene accompagnati da disclaimer, spesso in caratteri piccoli), ma rappresentano contenuti di propaganda preparati dall’apparato dei media esteri del Pcc. […] L’acquisto di questi inserti pubbliredazionali comporta spese significative. Tale contenuto pubblicitario — destinato a sfruttare la credibilità di importanti periodici in lingua inglese, e forse a ingannare i lettori ingenui che non si accorgono dei disclaimer e delle differenze testuali — fornisce un altro esempio dell’intento del sistema di propaganda della Rpc di ‘raccontare la storia della Cina’ positivamente», ha scritto Dotson.

Il fronte segreto della propaganda influenza il pubblico globale

Questo fronte di propaganda sotterraneo svolge regolarmente un ruolo politico e di lavaggio del cervello nei momenti critici, che va ben oltre la portata dei portavoce ufficiali della propaganda del Pcc.

Nel suo rapporto del 2020, l’Ifj ha osservato che da quando il presidente filippino Rodrigo Duterte è entrato in carica nel 2016, Pechino ha instaurato stretti legami con l’Ufficio per le comunicazioni presidenziali delle Filippine (Pcoo). «Molto personale ha preso parte a programmi educativi, viaggi sponsorizzati e borse di studio in Cina, spesso per mesi. Nella comunità giornalistica, c’è una visione comune che questa formazione stia avendo un impatto. Il modo in cui scrivono le loro notizie, riflette ora quello usato da Xinhua o dai media statali in Cina – ha dichiarato un giornalista – Naturalmente è propaganda». Il rapporto dell’Ifj ha citato anche un altro giornalista secondo cui «Invece di ottenere nozioni sul giornalismo da Paesi liberi come gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Europa occidentale o il Giappone, stanno imparando il controllo statale».

Di fatto, la stampa è nota come il ‘Quarto Potere’ negli Stati Uniti. Il New York Times, che è quasi adorato nei Paesi asiatici, è diventato la voce degli interessi cinesi negli Stati Uniti e l’avanguardia dell’estrema sinistra, e difende gli interessi delle fazioni politiche finanziate da Pechino. Il degrado di questo strumento pubblico fa sì che la stampa non sia più il quarto potere, ma un’entità dipendente dal potere politico ed economico.

L’analisi di cui sopra fornisce un quadro parziale dell’enorme quantità di denaro investito da Pechino nella sua propaganda estera. Evidenzia il fatto che il Pcc, che trae profitto dal modello cinese di capitalismo comunista, ha sviluppato una sofisticata strategia per corrompere le società occidentali tramite attraenti incentivi economici, diventando ‘quasi invincibile’.

 

He Qinglian è un’autrice ed economista cinese. Attualmente residente negli Stati Uniti, è autrice di «China’s Pitfalls», che riguarda la corruzione nella riforma economica cinese degli anni ’90, di «The Fog of Censorship: Media Control in China», che affronta la manipolazione e il controllo della stampa in Cina. Scrive regolarmente su questioni sociali ed economiche cinesi contemporanee.

 

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: The CCP Is Brainwashing the West With Its Covert Global Propaganda Front



 
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