La paura come arma. Quando il terrorismo influisce sulla salute mentale

Il 13 novembre 2015, una serie di attacchi coordinati a Parigi ha causato la morte di 130 persone. Una settimana dopo, un uomo armato di pistola ha preso d’assalto un hotel a Mali, sequestrando alcuni clienti e sparando sulla gente; il bilancio è di 27 persone trucidate. Una sparatoria nella città di San Bernardino, in California, ha lasciato dietro di sé 14 morti; subito dopo, l’FBI ha assegnato il caso agli agenti antiterrorismo, scatenando supposizioni di ogni genere sul fatto che potesse essere stato un atto terroristico.

Potreste spendere diverse ore al giorno per guardare, leggere e ascoltare le notizie relative a questi eventi. Un tale livello di esposizione potrebbe influenzare significativamente la vostra visione del mondo e il vostro stile di vita.

All’indomani di eventi come questi, la gente si può sentire più vulnerabile. E così, mentre le città sono in stato di allerta per via della minaccia di attacchi futuri, la paura può influenzare la quotidianità.

Con il mio collega Justin Sinclair, presso la Scuola di Medicina di Harvard, ho studiato la complessità della paura del terrorismo, e come la paura possa colpire e influenzare le persone. Non sorprende il fatto che un attacco terroristico possa avere un grande impatto sulla salute mentale. Ma quali effetti sono i più comuni, e per quanto tempo permangono? Per rispondere ci siamo affidati a un campione di ricerca che ha esaminato gli stati psicologici nel periodo successivo agli attacchi terroristici.

DOPO UN ATTENTATO, CRESCE LA POSSIBILITA’ DI SINTOMI POST-TRAUMATICI

Nel 1995 e 1996, la Francia ha subito una serie di attentati-bomba che hanno ucciso 12 persone ferendone oltre 200. Uno studio retrospettivo del 2004 ha analizzato il tasso di disturbi post-traumatici da stress nelle vittime, trovandone i sintomi nel 31 per cento.

I sintomi del Disturbo Post-traumatico da stress (PTSD) possono manifestarsi in flashback, incubi o pensieri intrusivi legati all’evento. Le persone possono anche evitare le situazioni che ricordano il trauma, o possono percepire delle sensazioni di ansia che non hanno mai avuto prima.

La ricerca ha anche rivelato un aumento dei sintomi psichiatrici tra le persone che vivono in una città quando viene attaccata.

Per esempio, un sondaggio fatto sui cittadini di Madrid da uno a tre mesi dopo l’attacco su una linea ferroviaria nel 2004 ha mostrato un incremento di Disturbi post-traumatici da stress e depressioni.

Ricerche successive suggeriscono che questo aumento sia temporaneo.

In un altro studio condotto sui residenti londinesi, una settimana dopo l’attentato del 7 luglio 2005, il 31 per cento dei rispondenti ha manifestato un’aumento significativo nei livelli di stress e il 32 per cento ha riportato l’intenzione di viaggiare meno. Uno studio successivo, condotto sette mesi dopo, ha rivelato che gli elevati livelli di stress si erano ridotti significativamente. Ma la ricerca ha anche riportato dei livelli relativamente maggiori per la percezione di minaccia per sé stessi e gli altri, oltre a una maggiore visione negativa del mondo.

Ci si aspetterebbe di vedere un incremento dei disturbi psicologici tra le persone che sono state colpite direttamente in quegli eventi, o tra quelle che vivevano nella città al momento dell’attacco. Ma questo potrebbe succedere anche per le persone che non vivono direttamente nella città che viene attaccata.

Un sondaggio condotto poco dopo l’attentato dell’11 settembre ha mostrato come il 17 per cento della popolazione americana che vive al di fuori della città di New York abbia riportato dei sintomi legati al Disturbo post-traumatico da stress. Sei mesi dopo, la percentuale è scesa al 5.6 per cento.

Un esame psicologico del 2005 relativo agli effetti dell’11 settembre ha evidenziato un incremento dei sintomi psicologici e dei disturbi immediatamente dopo l’attacco e una normalizzazione relativamente veloce nei successivi 6-12 mesi. Ciò nonostante, le persone che vivono vicino all’area colpita, e quelle che sono state esposte più direttamente agli attacchi, sono molto vulnerabili allo sviluppo di Disturbi post-traumatici da stress, se confrontate con quelle che vivono più lontane.

Perché allora i sintomi del Disturbo post-traumatico da stress aumentano anche nelle persone che non sono state direttamente esposte a quegli attacchi? La spiegazione potrebbe essere l’intensa copertura mediatica degli eventi.

Nel periodo successivo all’11 settembre, uno studio americano condotto su più di 2000 adulti ha rivelato che una maggiore quantità di tempo spesa nel prestare attenzione alla copertura mediatica in Tv relativa agli attacchi è associata a tassi elevati di Disturbi post-traumatici da stress.

In sostanza, un effetto contagioso legato ai media si viene a creare nelle persone che vivono e rivivono gli attacchi guardando e rileggendo le storie ad essi connesse. Questa sovraesposizione, a detta di alcuni, potrebbe produrre una risposta soggettiva di paura e impotenza di fronte alla minaccia futura in una minoranza di adulti.

LA PAURA CAMBIA IL COMPORTAMENTO, ANCHE SE PER POCO TEMPO

La paura è una risposta naturale a eventi come quello di Parigi o di Mali. Mentre le persone sentono e reagiscono alla paura in maniera differente, essa può spingere le persone a prendere decisioni differenti quando si parla di lavoro, di socializzare con gli altri, di utilizzare trasporti pubblici come bus e treni, di andare in posti affollati e di viaggiare in aereo.

Se guardiamo a questi cambiamenti in tutta la popolazione, possiamo anche notare come questa paura del terrorismo possa avere delle conseguenze significative sull’economia nazionale e globale. A fronte di tali eventi, turismo e shopping potrebbero essere particolarmente vulnerabili. Per esempio, dopo l’attentato dell’11 settembre le linee aeree hanno sofferto delle grandi perdite economiche e alcune sono state persino costrette a licenziare un gran numero di dipendenti.

I mercati azionari di New York, Madrid e Londra sono crollati dopo gli attacchi, anche se sono riusciti a ristabilizzarsi in maniera relativamente veloce. Similmente, dopo il recente attacco di Parigi, sono stati riportati dei lievi impatti sui mercati azionari francesi.

GLI ATTACCHI POSSONO INFLUENZARE IL MODO IN CUI LA GENTE VEDE I GOVERNI

I terroristi usano la paura come un’arma, e questo può avere delle serie implicazioni psicologiche sui singoli e sulle nazioni stesse.

Dopo un attacco si potrebbe nascondere per anni un senso di paura sottostante. Negli scontri prolungati, come il conflitto nordirlandese o quello israelo-palestinese, emozioni come paura cronica e ansia si sono mostrate verosimilmente tramite degli alti livelli di segregazione e sospetto.

Questa paura nascosta può anche avere effetto sul coinvolgimento politico e sulla fiducia nelle politiche dei governi.

A seguito di attentati su larga scala, le persone generalmente tendono a mostrare dei buoni livelli di fiducia nell’abilità dei propri governi di tenerle al sicuro da future violenze. Per esempio, prima dell’11 settembre, la fiducia delle persone nel governo americano era in declino, ma l’attacco ha innescato la paura delle persone, e la fiducia nella capacità del governo di tenere la gente al sicuro è salita a dei livelli mai visti in decenni.

In ogni caso, l’incremento di fiducia nel governo può arrivare anche senza la paura. Nei paesi dove ci sono già degli alti livelli di fiducia, si è visto come la paura giochi un ruolo di minor peso.

Uno studio condotto in Norvegia, ha esaminato l’associazione tra la paura e la fiducia appena prima, dopo e 10 mesi dopo l’attacco terroristico del 2011. È stato mostrato come degli alti livelli di fiducia preesistente possano davvero tamponare gli effetti negativi prodotti dalla paura del terrorismo, e in più creare un effetto raduno attorno alle politiche attuate dal governo.

La minaccia del terrorismo non ha ovviamente lo stesso effetto su tutte le persone. Molti rispondono alla minaccia di futuri attacchi in maniera razionale e costruttiva. Per esempio, una ricerca molto efficace suggerisce che la rabbia possa avere l’effetto di fattore protettivo. In queste situazioni, sentendosi arrabbiate le persone tendono ad avere un senso di controllo, una preferenza al confronto e si sentono ottimiste; mentre con la paura manca il senso di controllo ed è più facile che vi sia pessimismo.

Il paradosso della paura ispirata dal terrorismo è che mentre può avere degli effetti negativi sulle persone e sulle società, può anche servire per rafforzare la resilienza, intesa come la capacità di riprendersi più velocemente.

 

Daniel Antonius è direttore del Dipartimento di Psicologia Forense dell’Università di Buffalo, New York. Questo articolo è stato pubblicato precedentemente da The Conversation.

Articolo in inglese: ‘When Fear Is a Weapon: How Terror Attacks Influence Mental Health’

 
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