La ‘guerra di transazione’ Usa-Cina

Di Amar Manzoor

La guerra commerciale è solo la punta dell’iceberg della guerra industriale. Se l’Occidente vuole competere con la Cina in una guerra industriale, è bene avere le idee chiare. Si tratta di un tipo di avversario molto diverso dagli altri, con cui non valgono le regole di Queensberry della nobile boxe inglese: niente guantoni, non c’è arbitro a fermare il combattimento, non si getta la spugna e non ci sono medici.

Lo scopo di una guerra industriale non è di vincere seguendo le regole, o di vincere un duello formale. Lo scopo è solo uno: far fallire l’avversario. Negli ultimi tre decenni che la Cina vi si è impegnata a fondo, e ci è andata molto vicino: il settore manifatturiero americano è in crisi, le risorse naturali australiane sono state fatte esaurire e in Africa e America Latina è avvenuta una colonizzazione economica.

La guerra industriale è lotta per la produzione. E questa si estende alla lotta per le risorse naturali, per i canali commerciali, per la proprietà intellettuale, i lavoratori esperti e una lunga lista di altri asset.

Gli Stati Uniti, dopo aver lasciato campo libero al Partito Comunista Cinese (Pcc) per decenni, hanno finalmente deciso di prendere parte attiva allo scontro. Donald Trump ha scelto di imporre 60 miliardi di dollari in dazi sui beni cinesi e questo potrebbe aiutare a stabilire una serie di regole applicabili. Ma è improbabile che il Pcc vi si sottoponga senza prima testare quanto l’arbitro sia severo nel punire i colpi bassi.

Ora che gli Stati Uniti salgono sul ring, devono prima di tutto comprendere che in ogni conflitto è importante prepararsi in anticipo: chi è più preparato, chi ha fatto più calcoli e comprende meglio il terreno, il nemico e le sue mosse, è anche chi ha la più alta probabilità di vincere.
E qui si parla infatti di ‘probabilità’. Persino quando il match sembra vinto, le cose possono rivelarsi incerte: basta un colpo fortunato per provocare un Ko che ribalta tutto e vanifica ogni sforzo.

Nella guerra convenzionale, l’arma principale è un proiettile, un missile, una bomba, o una freccia. E durante la guerra se ne sparano il più possibile contro l’avversario, fino a sconfiggerlo e costringerlo alla resa incondizionata.

I proiettili delle guerre industriali, invece, sono le transazioni. Più transazioni si fanno, maggiori sono le possibilità di vincere il conflitto.

L’IMPORTANZA DELLE TRANSAZIONI

Nella guerra industriale ci sono centinaia di tecniche d’attacco e difesa, con innumerevoli combinazioni. Questo crea un potenziale enorme per l’elaborazione di strategie complesse.

Ma l’obiettivo principale dietro tutte queste tecniche è basato su una sola cosa: le transazioni. Più transazioni si hanno, più importante è la propria azienda, e viceversa. Questa regola si applica sempre negli affari.

Una transazione è però più complessa di quanto sia immediatamente evidente, e queste si applicano ai sette aspetti di una transazione: prezzo, spedizione, qualità, mercato post-vendita, clienti, azionisti e impiegati. Quando tutti questi sette elementi di una transazione lavorano alla perfezione, la macchina aziendale è ben oliata e pronta a crescere.
E dopo aver ottenuto la crescita delle transazioni in casa, bisogna cercarla fuori, in altre economie e nazioni. Ed è qui che la faccenda diventa molto seria.

ATTACCARE E DIFENDERE LE TRANSAZIONI

Per ottenere le transazioni, bisogna da una parte penetrare nel territorio dell’avversario, dall’altra difendere il proprio territorio.

Il sistema di difesa nella guerra industriale ha lo scopo di risparmiare denaro per mantenerlo nel proprio Paese. E lo questo vale anche per la Cina.

Il sistema di attacco è fatto per invadere il territorio dell’avversario e per ‘conquistare’ le sue transazioni. Condotto all’estremo – cioè proprio come sta facendo il regime cinese – questo porta a intere aree geografiche che vengono private della propria industria: a ecosistemi privati delle transazioni e a popolazioni locali private dei propri mezzi di sussistenza. Si spinge tutto a un passo dalla devastazione.

L’attuale stato del campo di battaglia costituisce una delle principali ragioni per cui Trump è stato eletto presidente. Gli Stati Uniti, infatti, sono stati vittime delle tattiche di guerra industriale cinese per più di tre decenni. E i risultati si vedono in città come Detroit, dove la grave crisi della produzione industriale ha portato i lavoratori a essere in esubero. Questo ‘effetto Detroit’ si sta espandendo nella nazione, ora che la competizione in qualsiasi cosa diventa così endemica, che la gente non riesce più ad avere di che vivere.

Poi, sotto gli effetti di un’economia impoverita dagli attacchi esterni, l’economia locale, come un corpo in preda agli stenti, comincia a cannibalizzarsi: il Paese è costretto a svendere le sue risorse e i suoi beni, per sopravvivere.

La mancata comprensione dei principi della guerra industriale può avere un grave effetto su una popolazione: può cambiare le scelte di voto degli elettori e portare alla crisi della pubblica amministrazione, che è finanziata con i soldi dei contribuenti. E se questi effetti non vengono contenuti, l’instabilità risultante può persino portare a una guerra civile.

Anche se in teoria la guerra industriale non prevede l’uso della violenza fisica, i suoi effetti possono essere devastanti quanto quelli della guerra convenzionale. È quindi di vitale importanza che gli Stati Uniti comprendano la natura della guerra in cui si trovano, e che il governo Trump ha appena cominciato ad affrontare.

 

Amar Manzoor è autore del libro ‘L’arte della guerra industriale’ e fondatore del metodo per la guerra industriale chiamato 7Tao.

Articolo in inglese: As the US Counters China’s Industrial War, Transactions Are Key

Traduzione di Vincenzo Cassano

 
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