La guarigione, una perfetta integrazione di mente, anima e corpo (P 3)

Dopo aver spiegato gli interessanti rapporti tra psiche, coscienza e corpo umano, e il salto quantico di coscienza nella guarigione, Erica Poli conclude l’intervista parlando dell’importanza del perdono e della ricerca del significato nella malattia. La dottoressa Poli si augura che questo processo possa permettere una vita più consapevole e responsabile.

Il perdono quanto conta nel processo di guarigione?

Tanto. Non è da intendersi come buona azione o come quello religioso. Il perdono è un salto di coscienza e sposta dall’archetipo di vittima a uno di responsabilità, in cui una persona decide di scegliere. Spesso, i medici lasciano il paziente in una condizione di passività, in cui viene trasportato su un lettino senza fornirgli subito spiegazioni sul suo reale stato. Paziente deriva da patiens, ossia ‘che soffre’, ma paziente è anche una persona che è paziente, che aspetta.

Deve avere tolleranza

Sì e possibilmente se non reclama è meglio. La malattia quindi deprime e mette in una condizione di passività, cioè di perdita di potere. “Mi è venuta la malattia” oppure “Ho preso questa malattia”, locuzioni che denotano una certa passività. Quando invece si comincia a praticare il perdono, che è un processo lungo, faticoso e doloroso, la persona riprende progressivamente nelle proprie mani le sue responsabilità.

E nelle relazioni è importante il perdono?

Sì, allo stesso modo. Quando lavoravo al soccorso violenza sessuale domestica, scatenavo un putiferio. Le donne che subivano abusi venivano denominate vittime ma io mi rifiutavo di scrivere nella cartella questo parola e scrivevo il nome della persona. Ritengo che nel momento in cui a una persona si dice che è una vittima, le si sta comunicando che non può fare niente: se è vittima di una persona che la picchia, non ha nessuna responsabilità. Ma non è vero. So che sembra brutto e scomodo ma è importante intendere correttamente: non bisogna non perseguire una persona che maltratta la moglie. Se una persona vuole intraprendere un percorso in cui uscire da una simile situazione, deve per forza prendersi le sue responsabilità, cominciando a pensare che nella sua vita ha creato assieme al partner il genere di relazione che sta vivendo.

Nei suoi libri ha parlato dei tre livelli di dimensione della coppia: il bisogno, il desiderio e l’unione.

La dinamica del bisogno significa che si sta con una persona perché fa delle cose che servono: una forma d’amore mediato dall’attaccamento alla necessità. A volte i bisogni non sono materiali, come il riconoscimento. E in questo ho imparato molto dagli uomini, a livello professionale. Molti miei pazienti mi confidano infatti che quando escono con delle donne, non vogliono chiamarle troppo al telefono per essere sicuri che queste persone siano autonome. Si sentono terrorizzati all’idea di essere usati. Mi ha fatto molto riflettere. La cultura insegna spesso alle donne di scegliersi un uomo sistemato, con un buon lavoro. Certamente questo è importante in una relazione, ma ecco il punto: ti piace stare con questa persona? Ti migliora stare con lui? Sei più te stessa? Ti senti più libera o devi recitare?

Domande interessanti

Se si frequenta un amico da solo e poi con il rispettivo partner, ci si accorgerà della differenza della modalità relazionale della persona.

Questo avviene anche con se stessi…

Certamente, è il gioco delle rappresentazioni mentali. Sai che devi rappresentare qualcosa per quella persona. Sei tu, ma in una rappresentazione che devi fare per qualcun’altro. Quando si è soli in casa, per esempio, il modo di porsi cambia, lo spazio occupato anche. Ci sono dei modi che cambiano, è normale questo e non c’è niente di male.
Il problema è quando il ruolo diventa rigido, quando si è costretti a recitare un ruolo su cui non si è allineato. Ho avuto un caso in cui un marito decideva che tipo di lingerie doveva indossare la moglie e dove dovevano incontrarsi. Ma alla moglie non andava più bene e la coppia è scoppiata. Hanno fatto terapia assieme e si è scoperto che il marito aveva provato una forte delusione per una ex fidanzata. Di conseguenza aveva sviluppato un odio verso le donne e voleva sempre una donna sottomessa, forse per mettere in scena un desiderio di vendetta, prevaricazione o aggressività. Gravato dal fatto che quando si erano conosciuti, aveva visto che la moglie aveva avuto, a suo modo di pensare, un numero eccessivo di ex fidanzati e non la mandava giù. Per cui, nei momenti di ‘gioco’ con la moglie, metteva in scena anche sentimenti di disprezzo. E la moglie era all’oscuro di questa dinamica.
Il punto è che a lei non andavano bene questi teatrini. Si può anche scegliere di accontentare di una persona, ma se non si vuole non va bene. Tra l’altro aveva cominciato ad avere delle candidosi ricorrenti: un modo secondo me per evitare il rapporto sessuale. La candidosi le dava il vantaggio secondario di dire di no al marito.

Ripeto, noi esseri umani abbiamo paura di affrontare il conflitto e lo releghiamo. Però oltre un certo limite non ce la facciamo più.

Quindi è come se noi, come essenze spirituali, rinunciassimo al nostro ruolo di governare il nostro corpo.

Sì e per esempio nel mio libro Anatomia della coscienza quantica c’è proprio un capitolo dedicato al perdono, in cui racconto alcuni casi di pazienti che hanno praticato il perdono della malattia. Il perdono si può praticare su tutto, perdonando per esempio la depressione, se stessi, eccetera.
Molto spesso, ho notato in molte persone che quando perdonano la malattia, incontrano una parte del loro corpo che gli dice esattamente questo: “Tu dov’eri? Perché mi hai abbandonato e non ti sei curato di me? Io sono un tuo suddito, tu dovevi essere il mio sovrano, per quale motivo mi hai abbandonato?”

Però…

È un vissuto interessante, ma non è indotto da me. Io semplicemente guido questo processo di perdono, facendo immaginare alla persona con una tecnica semi-ipnotica di trovarsi seduta di fronte a una rappresentazione della malattia. Alcuni vedono una persona, altri se stessi. Chi soffre di malattie oncologiche spesso vede dei feti o degli ammassi di cellule. Probabilmente, l’idea della massa tumorale si associa all’embrione poiché possono assomigliare a qualcosa di mostruoso.

Quindi una persona può decidere di delegare ma non può abdicare al suo ruolo

Esatto. Spesso ci si ammala poiché si abdica al proprio ruolo. Mio nonno, nella sua semplice saggezza della tradizione, affermava che fino a quando si hanno figli e debiti non ci si ammala. Ovviamente questo dipende da come la si vive.

Ah, perché finché si ha un legame di cui occuparsi, non si può rinunciare al proprio ruolo

Sussiste una responsabilità. L’altra cosa fondamentale che accomuna le persone guarite, oltre al salto quantico di coscienza, è avere capito il senso della loro vita. Nel mio primo libro ho raccontato la storia di una persona che ha dato inizio al suo processo di significato della malattia. Gli domandai che cosa avrebbe rimpianto se fosse morta il giorno dopo. Pensavo mi rispondesse di non vedere crescere le figlie. Invece mi ha detto di non essere riuscita a realizzare un progetto artistico quando era bambina. La sua risposta mi stupì perché pensavo avesse altre priorità.
Le dissi quindi che si poteva anche realizzare quel progetto e mi rispose che avendo la malattia, era giustificata a realizzare il suo progetto. In altre parole, dicendo ai suoi cari che la sua attività l’avrebbe aiutata a guarire, tutti sarebbero stati d’accordo.

Un’altra storia, riguarda invece tre figli avviati a tre diverse facoltà decise dal padre, che dovevano servire i tre rami dell’azienda. La più piccola era molto appassionata di sci e aveva vinto qualche gara. Le venne una malattia e, tra una seduta e l’altra, mi disse qual era il suo problema: a 18 anni voleva dedicarsi totalmente allo sci, ma il padre le rispose negativamente e le venne un’anoressia nervosa per due anni, trattata con farmaci. E si mise il cuore in pace.
Pensava sarebbe dovuta andare vivere in montagna e fare la maestra di sci, perché le piaceva svolgere quel mestiere. All’inizio, dal momento che si stava sottoponendo a terapie impegnative, non si recava in azienda. Pensava che si sarebbe potuta sottoporre alle terapie dalla montagna e vivere una sorta di convalescenza, in cui portarsi anche la figlia. Succede proprio così e la signora migliora la propria salute in modo straordinario, al punto che in un mese ottiene miglioramenti superiori rispetto a quelli ottenuti in otto mesi.
Finita la convalescenza era rifiorita e voleva fare la sua vita in montagna. Ma non sapeva come dirlo ai suoi cari. A quel punto mi dice una cosa straordinaria: “Non è che magari mi viene una recidiva così io sono giustificata a tornare in montagna?” Le risposi che secondo me sarebbe stato più facile affrontare i suoi cari e dopo mesi di lavoro in terapia, è riuscita a farlo. E tra l’altro il marito, che si era sempre tenuto alla larga da questo problema, alla fine si è rivelato un buon alleato.

Esiste indubbiamente un aspetto positivo: la signora ha ringraziato la malattia come occasione per poter fare nella vita quello che desiderava. Quindi l’altro ingrediente è scoprire la vita che si vuole fare. Questo non significa fare la vita perfetta, ma quella che si vuole. Non a tutti può piacere la vita in montagna, ma per questa signora era il massimo. Si parla quindi di significato, di senso, e porsi questa domanda: “Perché io sono qui e per fare cosa?”

Salto quantico e significato sono aspetti della stessa medaglia?

In un certo senso sì e secondo me sono molto legati. Per alcuni è molto più forte fare un cambiamento in base allo scopo che si è compreso. Per altri il salto quantico di coscienza si esprime nel dire di no. Comunque salto quantico e significato vanno nella stessa direzione, il “Diventa chi sei tu” di Jung. E smettere di essere quello che vogliono gli altri o quello che pensi dovresti essere ma accettare di essere se stessi, anche delle parti che non piacciono del proprio sé.

I greci dicevano ‘Conosci te stesso’

Sono poche le cose che non sono state già dette. Aristotele, Platone, i filosofi presocratici, i Veda, la Bibbia. C’è già tutto dentro questi testi. Quando ho scritto i miei libri, mi sono domandata il motivo e ho capito l’importanza di raccontare la mia esperienza. Gli esseri umani sono un po’ ostinati: finché non provano sulla propria pelle non comprendono. Abbiamo bisogno di rivivere. Non so quando smetteremo di fare questo per passare a un livello superiore, dove ci sarebbero altre cose da fare. Finora stiamo replicando – io stessa tranquillamente – l’archetipo del viaggio dell’eroe che deve affrontare delle prove e che alla fine riesce nell’impresa.

Sembra sempre che l’eroe non ce la faccia, ma alla fine riesce, una cosa tipica nei film. E ci piacciono storie simili. Ma esiste anche l’archetipo del mago, del saggio.

Dell’avventura

Sì. Probabilmente perché veniamo cresciuti a fiabe e film che sono simili, e la psiche infantile si plasma su questo archetipo. Ma esistono altri archetipi. Se recepissimo il messaggio sul frontone del tempio di Delfi, basterebbe quello. Se si mettessero in pratica quelle tre parole, ‘Conosci te stesso’, probabilmente molte cose non succederebbero. Ma il punto è che non lo mettiamo in pratica. Se pensassimo: “Mi permetto di essere quello che sono, comunque vada, indipendentemente dal mio pensiero”, probabilmente certe cose non succederebbero in quanto finirebbero prima. Se una persona fosse se stessa, quante relazioni continuerebbero di quelle in atto oggi? Secondo me poche.

Forse tante non incomincerebbero nemmeno

Molte non inizierebbero affatto. Se quindi cambiasse l’archetipo, probabilmente noi essere umani vivremmo una vita completamente diversa.

Recitando un altro copione.

Sì. E mi auguro che questo accada. Le persone si stanno rivolgendo nuovamente alla spiritualità e cercano altro. Il mondo della materia e della tecnologia sono deludenti e problematici. Probabilmente si arriverà a questo perché secondo me le persone adesso in crisi, faranno dei passaggi interiori che trasmetteranno ai loro figli.

Crisi mi pare significhi scelta.

Trasformazione.

Quindi ha un significato anche positivo.

Certamente.

 
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