La Borsa cinese è legata al destino del Partito Comunista

È probabile che i mercati azionari della Cina siano l’ultima speranza del Partito Comunista Cinese di avere un futuro e conservare legittimità. Per questo, il Pcc lotta disperatamente per tenere acceso l’ultimo barlume di luce dell’economia cinese.

Dopo l’interminabile boom di mercato degli ultimi 12 mesi, la Cina è nel bel mezzo del peggiore sell-off azionario di sempre. Dal 29 giugno, le azioni sono infatti cadute nuovamente per tutta la settimana, nonostante Pechino abbia introdotto diversi nuovi programmi per tappare le perdite.

Venerdì 3 luglio il riferimento del Composite Index di Shanghai è sceso del 5,8 per cento (e del 12,1 per cento in tutta la settimana). Si tratta di oltre il 32 per cento di punti percentuali di distanza dal recente picco del 12 giugno: sono stati bruciati più di 2.500 miliardi di dollari in valore. Il più ‘piccolo’ Composite di Shenzhen si è abissato del 16,2 per cento durante la settimana, mentre la più forte start-up ChiNext è diminuita del 10,8 per cento. Questi ultimi due scambi sono inferiori di più di un terzo rispetto ai loro massimi, registrati solo il mese scorso.

Considerata l’influenza dello Stato nel controllo dei mercati finanziari della Cina, un crollo generale della borsa significherebbe una sconfitta catastrofica per il Partito Comunista Cinese.

Le autorità regolatrici del mercato e la Banca popolare cinese si sono incontrati durante il weekend del 4 luglio per elaborare delle azioni di salvataggio del mercato azionario, tra cui il blocco di tutte le Ipo e il finanziamento illimitato alla società finanziaria statale China Securities Finance Corp.

All’inizio del 2015, d’altronde, Pechino affrontava la sua peggiore prospettiva di crescita economica in più di due decenni: l’attività manifatturiera ha rallentato e il settore delle costruzioni, una volta fiorente, si è sgonfiato, lasciando disoccupati milioni di lavoratori immigrati.

INCORAGGIARE GLI ACQUISTI

Il regime vedeva un mercato azionario fiorente come un’ancora di salvezza: un mercato azionario stabile e in crescita spinge l’economia. Aumentare le quotazioni azionarie, inoltre, può alleviare la crisi di finanziamento delle imprese, e permette ai governi locali e alle banche di riempire le casse; infine, la borsa arricchisce gli investitori e serve come distrazione per i disoccupati poiché promuove la stabilità sociale.

La Cina aveva allentato la sua politica monetaria e fiscale, e aveva fatto quello che sapeva meglio fare: Pechino aveva infatti dato mandato ai propri media di Stato di promuovere gli investimenti. Nel 2014, Xinhua e il portavoce del regime il Quotidiano del Popolo, pubblicavano commenti giornalieri che incoraggiavano la popolazione mondiale a comprare più azioni. In un articolo dal 31 agosto 2014, Xinhua riferiva che «lo sviluppo economico e sociale porterà fiducia preziosa e un forte sostegno verso il mercato azionario».

E il popolo cinese ha fatto proprio questo: il denaro ha defluito dai mercati immobiliari e il numero di nuovi conti di brokeraggio aperti nei primi quattro mesi del 2015 è stato più alto del 2012 e 2013 messi assieme. Il 28 novembre 2014, per la prima volta in quattro anni, la borsa di Shanghai ha superato 200 miliardi di yuan (33 miliardi dollari) di fatturato medio giornaliero o di valore totale delle azioni scambiate. Questa cifra è cresciuta a dismisura fino a mille miliardi di yuan (161 miliardi di dollari) verso la fine di aprile 2015.
Dal 1 agosto 2014 al 12 giugno 2015, lo Shanghai Composite è più che raddoppiato, guadagnando il 136 per cento.

La maggior parte dei nuovi investitori in Cina erano clienti con pochissima esperienza finanziaria. Molti investivano seguendo la moda del momento, portandosi dietro anche gli amici, e i media governativi non facevano che incoraggiare questa tendenza. Altri, vedendo l’opportunità di guadagni su guadagni, hanno usato il cosiddetto ‘credito sul margine’ per prendere in prestito denaro da broker così da poter comprare più azioni.

L’ascesa del mercato azionario non aveva solide basi nei principi fondamentali, e le azioni cinesi erano diventate tra le più sopravvalutate al mondo. Il 24 giugno, l’indice di Shanghai ha scambiato a un rapporto finale prezzo-utili, una misura del rapporto tra il prezzo delle azioni e dei suoi guadagni passati, di circa 20 volte.

MISURE DISPERATE

Ma durante la crisi del mercato azionario nelle ultime due settimane, alcuni stessi meccanismi che il regime cinese aveva impiegato per pompare i mercati, non hanno funzionato.

Il 27 giugno, la Banca centrale cinese ha tagliato i tassi di interesse di riferimento. Dopo che tali misure hanno fatto quel poco per sollevare il sentimento, il 1° luglio la China Securities Regulatory Commission (Csrc) ha eliminato alcune restrizioni di trading a margine che aveva precedentemente messo in atto per scoraggiare la speculazione. Dopo l’ennesima caduta del mercato del 2 luglio, le autorità di regolamentazione cinesi hanno annunciato che avrebbero indagato e perseguito i venditori allo scoperto. Ma questi sforzi non hanno portato a nessun miglioramento, e lo Shanghai Composite è caduto di un altro 5,8 per cento il 3 luglio.

E alcune delle recenti modifiche ai regolamenti fanno pensare a una crescente disperazione. Le nuove regole di margine implementate il 2 luglio, ad esempio, permettono agli investitori di utilizzare gli immobili come  forma accettabile di garanzie sui loro prestiti a margine. In pratica gli investitori stanno letteralmente giocando con le loro vite, scommettendo la loro stessa casa sul mercato azionario.

L’annuncio di indagare sui ‘venditori allo scoperto’, poi, è stata in gran parte una montatura nazionalista del governo, apparentemente in risposta a voci che circolavano sui social media riguardo a certe ‘forze capitaliste straniere ostili’ che volevano beneficiare dalle vendite allo scoperto (Goldman Sachs e George Soros?). In realtà, al di fuori degli investitori istituzionali che vendevano per proteggere le loro ‘posizioni lunghe’, ci sono pochissimi ‘venditori a nudo’ in Cina, come conferma un post del Csrc su Sina.com il 30 giugno.

UN CIRCOLO VIZIOSO

La causa principale del sell-off è il precedente boom. Gli investitori sono spaventati: gli stessi investitori che aveva preso d’assalto il mercato azionario, ora stanno vendendo le loro quote. Ora vendono azioni per salvarsi il portafogli. I fondamenti della finanza ci dicono che, quando in un mercato azionario ci sono più venditori che compratori, il differenziale domanda-offerta si allarga e i prezzi alla fine cadono.

Quel che aggrava la situazione in Cina è il debito margine di 2.200 miliardi di yuan (350 miliardi dollari). Stime indipendenti citate dall’agenzia Reuters fissano il debito reale a circa 645 miliardi di dollari, incluso il sistema bancario ombra. Tale debito è garantito dalle sottostanti partecipazioni azionarie, e come i prezzi delle azioni scendono (diminuendo così il valore della garanzia), gli investitori devono vendere ancora più azioni per soddisfare le richieste di margine.

«Il panico si sta diffondendo, dato che più investitori sono costretti a liquidare a causa di finanziamenti ‘leveraged’. Più il mercato va al ribasso, più gli investitori sono costretti a liquidare: è un circolo vizioso», spiega Zhou Xu, analista di Nanjing Securities, al Wall Street Journal.

ALLENTARE LA PRESA

È facile guardare al crollo del mercato cinese e dire che era solo una questione di tempo prima che la bolla scoppiasse. Ma, nei fatti, si tratta di una tragedia.
I cinesi, per tradizione, sono grandi lavoratori, e risparmiano la maggior parte dei loro guadagni. Una gran parte dei milioni di nuovi investitori cinesi sono lavoratori immigrati, pensionati e poco informati. Hanno guardato al Partito Comunista Cinese, che li ha diretti a mettere i loro risparmi nel mercato azionario. E ora rischiano di perdere. Tanto.

Il 4 luglio, il Consiglio di Stato cinese, la sua banca centrale, e il Csrc hanno convocato una riunione di emergenza e hanno deciso di fermare tutte le nuove offerte pubbliche iniziali. Separatamente, più di 21 broker di proprietà dello Stato, tra cui Citic Securities Co, hanno annunciato che avrebbero investito il 15 per cento del loro patrimonio netto, non meno di 120 miliardi di yuan (19 miliardi di dollari), per acquisti di azioni dirette.

La Pboc, il 5 luglio, ha iniettato 100 miliardi di yuan (16 miliardi di dollari) nella Cina Securities Finance Corp., e ha annunciato il supporto di finanziamento illimitato, che consente all’agenzia di fornire nuovi prestiti a margine per finanziare ulteriori acquisti di azioni. Questo in teoria potrebbe alleviare il dover invertire transazioni di titoli attraverso operazioni di compensazione per soddisfare richieste di margine, al prezzo di un peggioramento dell’attuale problema del ‘debito cattivo’ della Cina.

Sono tutte opzioni da ultima spiaggia, e Pechino farebbe meglio a sperare che queste misure funzionassero. Il 2 luglio, su Xinhua è stata pubblicata una lettera aperta di cinque docenti di finanza su come il regime cinese dovrebbe affrontare la crisi del mercato azionario: gli sforzi di stabilizzazione del governo della settimana scorsa erano definiti «inspiegabili» . La lettera avvertiva anche che qualsiasi crollo del mercato azionario sarebbe catastrofico per la classe media e per il ‘Sogno cinese’. Tutte cose da non prendere alla leggera.

Il capitale e la ricchezza sono solo le ultime speranze a cui il Partito Comunista Cinese si aggrappa per mantenere il potere: un crollo del mercato azionario potrebbe benissimo significare la sua rovina.

E, d’altronde, con più di 90 milioni di investitori in Cina al 30 giugno, ormai ci sono più ‘capitalisti’ che iscritti al Partito Comunista.

Articolo in inglese ‘China’s Stock Market Woes Could Determine Communist Party’s Fate

 
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