Il ‘Fornaretto’ Renato Longo, campionissimo del ciclocross: “Ho vissuto lo sport come un romanzo”

A pochi giorni dalla conclusione dei campionati italiani di ciclocross di Vittorio Veneto torna la voce del suo cittadino di prestigio. Colui che ne ha vinti ben dodici nella storia, affiancandoli alle cinque maglie iridate dei campionati mondiali. Renato Longo, oggi 75enne, da fornaio a ciclista di calibro internazionale, ha vinto 233 corse su 388 disputate in carriera.

Ma a lui non interessano i numeri. Lo dice subito: “l’aspetto umano è quello che preferisco”.

L’amico Adriano De Zan, diceva di lui: “il più grande ciclopratista che l’Italia abbia mai avuto, grandissima classe ed onestà sia nello sport che nella vita. Fornaretto magrissimo, con l’accento francese, educato, pulito dentro, faticatore instancabile, che sapeva esaltare la platea con le sue cavalcate nel fango e che si dimostrava gran signore davanti alle telecamere. Grazie a Renato il ciclocross ottenne nobiltà e credibilità”. A Longo, questa frase fa ricordare di essere stato il primo italiano a vincere il campionato del mondo di ciclocross nel 59 e che De Zan, quel giorno, trasmise in Italia la telecronaca in diretta tv per la Rai.

Nei suoi racconti, il Fornaretto rimembra quell’Italia che ha cullato tra i più grandi atleti e sportivi della nostra storia. Una storia che rimane lontana per chi la rivive nelle foto ingiallite dei giornali del passato, ma non così lontana per colui che ne ha fatto il palcoscenico della sua vita.

Renato si assenta un attimo e prende dalla sua libreria un libro. Lo apre e inizia l’intervista così…

Un mio grande amico e giornalista, il povero Natale Cogliatti, negli anni sessanta, all’inizio di un suo libro dedicato un po’ a tutto lo sport, compreso me, scrisse così: “lo sport è un romanzo popolare. Il romanzo popolare nello sport esiste ancora. Lo sport è ancora un romanzo che si consuma fulmineamente con i suoi mille personaggi giorno per giorno”.

Questo rispecchia come ha vissuto lei lo sport?

Si. Nel libro parla anche della favola di Renato Longo: “Renato Longo nel ciclocross a Solbiate ha radici profonde”. E poi ancora “Lo sport umile del ciclocross si è immerso nei prati, nella campagna, lontano dai grandi itinerari. Va in provincia, nel varesotto, ha scelto Solbiate Olona. Nel lontano 1951 si cominciò lì a fare il grande ciclocross. Leggendario quello di Renato Longo, il Coppi dei francescani della bicicletta. Il fornaretto diventò un’istituzione. Nella favola della befana recitò la parte del campione buono che vinceva sempre. Avevamo più o meno la stessa età di Longo – dicono gli organizzatori della gara di Solbiate Olona – Quando il fornaretto abbandonava in via Giambellino alla periferia di Milano l’intramontabile bicicletta del panettiere che si spazzolava la farina dai capelli per arrivare in tempo alla partecipazione della gara di Solbiate Olona”. Una gara internazionale dove hanno partecipato tutti i più grandi campioni del mondo. Queste erano gare dove a volte c’erano i primi dieci campioni mondiali con una cornice di circa 20 mila persone.

I ricordi vanno poi a quando sono passato alla Salvarani. E ancora prima quando correvo per la squadra Ignis Varese di Giovanni Borghi il quale disse, prima di morire, che lui aveva radunato tutti i suoi atleti ciclisti: Miguel Poplet, Baldini, Panbianco, Baffi, Falarini, Fornara, Nencini, Poggiali, Renato Longo, Malabrocca. Lui li ha avuti tutti nel suo ristorante perché erano tutti atleti che erano passati attraverso le sue squadre… Lo sport è un romanzo. Io l’ho vissuto come un romanzo.

Com’è iniziata la sua carriera?

La prima corsa che ho fatto è stata di ciclocross. Nel ’55 ho conosciuto Amerigo Severini. Lui era già un specialista ed era salito sul terzo gradino del podio ai campionati del mondo di Saarbrücken. Mi sono procurato una bicicletta usata pagandola a rate, non c’erano possibilità economiche e non c’era il supporto delle società. E da lì ho iniziato a fare qualche corsa. Ricordo che la prima corsa che ho fatto sono finito un po’ in dietro per una foratura. La seconda corsa ho concluso 15° e ho guadagnato le mie prime mille lire. Poi ho incominciato a gareggiare. Ma in quel periodo lavoravo. Mi avevano dato disponibilità la domenica perché si faceva meno pane, ma lunedì all’una dovevo riprendere il lavoro.

Cosa l’ha spinta a praticare il ciclocross?

Avevo una gran passione per il ciclismo in generale e mi sono tesserato il mese di novembre. La stagione su strada era terminata e nel periodo invernale si svolgevano le gare di ciclocross. Oltre al ciclocross e alla strada, andavo anche al Vigorelli (famoso velodromo di Milano) che era sulla strada di ritorno dal lavoro. Lì c’era uno che aveva venti o trenta vecchie biciclette da pista e per 100 lire potevo girare per un’ora. Poi dal ’57 ho iniziato a fare gare anche su pista, sempre con biciclette a noleggio. La passione per la bicicletta l’ho sempre avuta, ma il destino mi ha portato subito ad avvicinarmi alla specialità del ciclocross.

Quindi all’inizio praticava tutte le specialità del ciclismo e poi si è dedicato principalmente al ciclocross?

Si. Perché ho iniziato a vincere, battendo corridori esperti. Merito anche dell’allenamento che facevo a lavoro, perché oltre alla panificazione consegnavo il pane a domicilio. Specialmente all’alfa romeo che consumava due quintali di pane al giorno, e dalle 11:30 in poi facevamo avanti e indietro in due con il cesto in spalla, da consegnare tutto in mezz’ora.

Le vittorie ancora non le permettevano di guadagnare abbastanza?

No, io ho sempre lavorato, fino a poco dopo i campionati del mondo di ciclocross del ’59. In quegli anni ho guadagnato qualcosa in pista.

Si può dire che nel ’59 c’è stata la svolta nella sua carriera, e un cambio generazionale?

Si può dire così. Quando ho vinto il primo campionato italiano nel ’59, sono partito il venerdì precedente alla gara in bicicletta e ho fatto 50 chilometri per visionare il tracciato. Sono rientrato a Milano nel pomeriggio e all’una di notte sono andato a lavorare. Alla domenica ho vinto, sono rientrato e all’una sono andato a lavorare come al solito. Al mattino vedo i fotografi fuori del negozio con la macchina fotografica che volevano conoscere il vincitore dei campionati italiani di ciclocross.

Quando ha preso la decisione di dedicarsi esclusivamente al ciclocross?

Dopo i campionati del mondo del ’59, perché non ho più potuto andare a lavoro. Il sabato e la domenica seguenti ero stato invitato in Francia a due corse, che poi ho vinto. Poi la domenica successiva si disputava il Martini a Parigi, e il mio datore di lavoro non poteva sopperire alle mie assenze, quindi ho dovuto prendere una decisione e mi sono licenziato perché potesse assumere un’altra persona. E da lì ho iniziato a correre e basta.

Come si è convinto a prendere questa decisione?

La passione per lo sport. Mi sentivo sorretto dal fisico in quanto gli sforzi in gara li recuperavo bene. Comunque una volta iniziato, devi andare avanti. E da li in poi ho continuato a vincere oltre che nel ciclocross, anche su pista e su strada. Ho iniziato ad essere ingaggiato nelle kermesse. Credo che quando ti impegni a fare il corridore, devi continuare a fare il corridore e devi saper sopportare anche i sacrifici che richiede.

Qual è stato il momento più bello della sua carriera?

Quando vinci è sempre bello. Ma ricordo particolarmente il campionato del mondo del ’67 a Zurigo. Fino a giovedì c’era la neve sul percorso. Poi la temperatura è scesa a sei, sette gradi sotto zero, rendendo il percorso scivoloso. La notte di sabato è cominciato a piovere e il terreno si è sgelato. Quando mi sono svegliato alle sei del mattino e ho visto che la temperatura era salita, mi son detto che avrei fatto una grande corsa: non c’era più pericolo di scivolare per il gelo, ma c’era il fango. Quella volta ho doppiato tutti, tranne cinque corridori.

…e quali i momenti più difficili?

Nel 68 al campionato del mondo in Lussemburgo. Mi ero preparato molto bene. Conoscevo bene il percorso, dove avevo già trionfato due volte. C’è stata una caduta in discesa, un corridore mi è caduto davanti. Non sono riuscito a scartarlo e sono caduto su di lui, alcuni corridori che seguivano mi sono venuti addosso danneggiandomi la bici. Ho concluso decimo ma la delusione è stata grande, perché avevo grandi aspettative. Quella sconfitta mi ha dato grandi motivazioni. Tanto che mi sono rifatto vincendo quasi tutti i confronti della stagione da li in poi.

Quali sono secondo lei le qualità che un atleta deve avere per avere successo?

La preparazione credo sia la chiave del successo in generale. Poi credo che per competere ad alti livelli bisogna specializzarsi e lasciar perdere le altre discipline. Bisogna concedersi i periodi di riposo dopo una stagione impegnativa per il recupero. E poter ripartire nella nuova stagione rigenerati. Ogni sport comunque richiede delle morfologie adeguate, e questo vale anche nel ciclismo. Conta poi sapersi alimentare e avere una vita regolata. Per esempio, si può tenere un diario su cui annotare peso, pulsazioni pressione, in base alla tua migliore condizione fisica. Se alla sera la pressione minima si alza significa che hai bisogno di riposare. Per esempio io avevo 125/65 di pressione. Se la minima va ad 80 significa che sei affaticato. Quindi ti regolerai nell’allenamento del giorno dopo riposando un po’.

Lo sport tempra la volontà di un giovane?

Si. Una volta per esempio ci si spostava per andare alle gare e si faceva gruppo con corridori di altre nazioni per risparmiare qualche cosa. Non avevamo meccanici al seguito come adesso. Prima di fare la doccia pulivamo le biciclette e le mettevamo sul portapacchi. Adesso gli atleti hanno il cambio bicicletta meccanici al seguito. Allora, prima di avere la macchina, spedivo la bicicletta bagaglio a presso e viaggiavo in treno per andare a correre all’estero. Adesso è cambiato tutto. I giovani oggi non fanno più questi sacrifici. Ora non è più la palestra di una volta. Una volta parlando con Wolfshohl ( ciclista tedesco, epico avversario e amico di Renato) ai mondiali del ’93 a Corva di Azzano Decimo, mi ha detto: “se questi corridori dovessero affrontare ora i sacrifici che abbiamo fatto noi, non correrebbe più nessuno”

Che direzione ha preso ora il ciclocross nazionale e internazionale?

È sempre cresciuto negli anni. Sono state coinvolte più categorie: ragazze, esordienti etc.. Solo in Belgio praticavano il ciclocross gli esordienti. E il ciclocross per le donne era considerato tabu. Le donne correvano su strada o pista. C’è più partecipazione di atleti ora, ma una volta c’era più pubblico. Ma in Belgio il pubblico c’è ancora e paga il biglietto. Per assistere alle gare ci sono anche 40 mila paganti e più. Qui da noi devi fare l’entrata libera altrimenti non viene nessuno.

Gli italiani sono un popolo che ama il ciclismo. In Belgio, che è un paese amante come noi di ciclismo, il ciclocross è sport nazionale. Perchè il ciclocross è poco diffuso tra gli italiani?

Ma… Sapere il motivo è difficile. Là ci sono molti tifosi, ci sono molti fans club anche per atleti che arrivano dietro. In Italia comunque il ciclocross va bene, ma i costi sono tutti a carico degli sponsor. Anche la televisione in Belgio sponsorizza i campionati mentre qua devi pagare perché venga. Comunque adesso c’è grande entusiasmo per il grande numero di ragazzini che si sono avvicinati a questo sport e le società che li sostengono.

Quest’anno ci saranno, per la prima volta, i campionati del mondo negli USA…

Un statunitense ha fatto terzo ai mondiali in Belgio Elite. Lì hanno una grande tradizione di Mountain Bike e Triathlon. Se il ciclocross comincia a svilupparsi anche là, potremmo avere dei nomi nuovi nel panorama mondiale. Potrebbe essere il futuro, ma aumenterebbero i costi di spostamento. Credo comunque che sarà un grande campionato del mondo, perché investono molto.

Si sono appena conclusi i campionati italiani di ciclocross a Vittorio Veneto, assegnati per la prima volta alla sua città…

In questa occasione sono stato scelto come testimonial. C’è stato un grande lavoro sia di ricerca sponsor che di promozione. Ma il 2012 è stato un anno difficile e fino a settembre non sapevamo ancora se saremmo stati in grado di portare avanti l’impegno, ma siamo andati avanti con caparbietà e siamo riusciti a organizzare l’evento. Lo sforzo è stato ripagato per la grande partecipazione di atleti, circa 700, un numero mai raggiunto nelle precedenti edizioni. Nonostante il tempo anche il pubblico è accorso numeroso, circa 15 mila persone in due giorni. Mi ha reso particolarmente felice il sostegno da parte della città, del sindaco, dei vigili che da venerdì non hanno più fatto contravvenzioni in nessun parcheggio. C’è stato perfino Tami, il panettiere locale, che si è offerto di fornire il pane fresco domenica. Il successo di questa manifestazione mi gratifica personalmente ma sopratutto sono orgoglioso dell’immagine che ha dato alla mia città e alla società organizzatrice, la Cicloturistica Vittorio Veneto.

Se dovesse esprimere in poche parole cosa ha rappresentato per lei il ciclocross nella sua vita?

Per me ha rappresentato il massimo perché ho dato molto e ho ricevuto molto, perché la gente ancora oggi si ricorda di me, soprattutto quelli di una certa età si ricordano delle mie vittorie. Grazie anche alla grande notorietà che ho avuto attraverso la televisione e la stampa. Ora i giornali non dedicano più tutta questa attenzione al romanzo sportivo. Ai tempi in cui gareggiavo la gente si precipitava in edicola per leggere le cronache romanzate delle imprese sportive dei vari campioni. Oppure si riunivano davanti alla televisione per assistere alle lunghe dirette sulla prima rete nazionale… ora a fatica le fanno vedere su Rai sport e a volte le puoi vedere solo via satellite su canali esteri.

 
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