Dlgs Madia sull’acqua, un gioco delle tre carte?

Il governo marcia dritto verso la privatizzazione della gestione idrica. Secondo i comitati per l’acqua pubblica, la spesa la pagheranno i cittadini in bolletta, come sacrificio per i «profitti assicurati» dei gestori privati.

I principali provvedimenti verso la privatizzazione della gestione dell’acqua sono la Legge sulla tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque (titolo fuorviante) approvata nei giorni scorsi alla Camera, e un decreto attuativo della riforma della pubblica amministrazione (Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale) che dev’essere ancora approvato e che disciplina una serie di servizi pubblici, tra cui anche i rifiuti.

Il secondo decreto è ritenuto il più problematico, da chi si batte a favore della gestione statale dell’acqua. Mentre la prima legge mette sullo stesso piano pubblico e privato, la seconda renderebbe molto difficile la gestione pubblica della risorsa: un ente locale che volesse affidare il servizio al pubblico dovrebbe motivare la sua scelta e dimostrare di esservi stato ‘costretto’, predisponendo anche un piano economico avvallato da un istituto di credito.

Paolo Carsetti, del Forum italiano dei Movimenti per l’acqua, parla di una «strategia del governo per cancellare l’esito referendario e rafforzare la privatizzazione».

E se anche non tutti sono d’accordo sul fatto che la privatizzazione della gestione dell’acqua vada contro l’esito del referendum del 2011 – che in realtà ha solo abrogato l’obbligo degli enti locali di indire gare d’appalto per cedere la gestione dell’acqua, e l’obbligo di remunerazione del capitale investito – il Dlgs Madia sembra proprio ristabilire il secondo principio abrogato dalla volontà popolare: in più di un articolo, infatti, si ritrova la dicitura «remunerazione del capitale investito». Il ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia, secondo Carsetti, si difende dicendo che è specificata più volte nella legge la formula «fatto salvo quanto previsto dalle discipline di settore», che sembra una clausola a protezione dall’applicazione del principio della remunerazione.
Ma Carsetti fa notare il comma due dell’articolo 3, che afferma che «in materia di modalità di affidamento dei servizi […] le predette disposizioni integrano e prevalgono sulle normative di settore». E secondo Carsetti, nell’ambito dell’affidamento dei servizi è compresa la «tariffa», la quale comprende la remunerazione dei capitali.

Traducendo questo gioco di scatole cinesi, quindi, se Carsetti ha ragione, sembra proprio che il governo si stia dirigendo in direzione contraria alla volontà espressa dal popolo, ristabilendo la remunerazione dei capitali, oltre che spalancando le porte ai privati.

I PRIVATI, BENE O MALE?

I privati sono interessati all’acqua perché «in un periodo di crisi economica, i servizi pubblici garantiscono profitti assicurati», spiega Carsetti.

Secondo i vari movimenti per l’acqua, la gestione privata porterebbe però a un aumento consistente dei costi dell’acqua in bolletta, «per garantire gli investimenti». Nonostante questo, afferma Corsetti, i privati che gestiscono l’acqua in Italia non sono riusciti a far crescere gli investimenti e i «dati sulle perdite sono tragici».

Al contrario, vanno citati gli esempi virtuosi come quello di Napoli, che ha ripubblicizzato la gestione dell’acqua a seguito del referendum. «L’azienda ha risanato i conti», ricorda Carsetti, con 8 milioni di euro in positivo, da reinvestire nel servizio stesso. Un altro esempio è Parigi, che ha «mandato a casa le due più grandi multinazionali al mondo, per via di una gestione inefficiente e di costi enormi». La tendenza in giro per il mondo è quella alla ripubblicizzazione.

Non la pensano tutti così, comunque, e c’è chi ancora ritiene che i privati possano garantire una gestione più efficente, che non peserebbe sullo Stato e sarebbe caratterizzata da una maggiore competenza per lavori di risanamento.

Rimane in ogni caso il fatto che andrebbe fatta luce sul Dlgs Madia, che evidentemente rischia di violare lo strumento democratico per eccellenza: il referendum.

 
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