Costituzionalista americano: le Big Tech sono monopoli impegnati nella censura

Di Zachary Stieber e Joshua Philipp

I giganti della tecnologia come Facebook e Twitter sono monopoli che devono essere frenati nei loro attuali eccessi di censura. Lo ha dichiarato all’edizione americana di Epoch Times l’avvocato costituzionalista Craig Parshall.

La sezione 230 del Communication Decency Act ha aiutato un piccolo gruppo di aziende, tra cui Google e Amazon, a raggiungere dei risultati straordinari. Questo genere di aziende tecnologiche, comunemente note come Big Tech, esercitano ora un potere enorme.

La Sezione 230 protegge le aziende tecnologiche dalla maggior parte delle cause legali, con poche eccezioni. «Era un regalo per incentivare la concorrenza. Quello che ha fatto è invece crescere una serie, una manciata di giganti, direi Facebook, Google, Twitter, Apple e Amazon, cinque società che fondamentalmente governano il panorama in termini di informazione digitale, punti di vista e opinioni, su tutto, dalla politica, alla religione, alla cultura, fino alle arti e all’intrattenimento», ha spiegato Parshall al programma ‘Crossroads’ di Epoch Times.

«Quindi hai cinque monopoli creati come risultato di un sussidio del Congresso sotto forma di una carta ‘esci gratis dalla causa’».

Negli ultimi anni, sono emerse una quantità crescente di prove che mostrano come le Big Tech stiano prendendo di mira in modo sproporzionato i conservatori, censurando o limitando determinati punti di vista su argomenti che includono il Covid-19, il cristianesimo e il ‘transgenderismo’.

Secondo Parshall, il dominio del mercato da parte delle Big Tech, che mancano di una concorrenza seria, rende la censura ancora più preoccupante. «Quando il New York Post è stato censurato, e uso la parola censurato perché Facebook e Twitter sono monopoli. E poiché sono monopoli dell’informazione, sono anche peggio dei monopoli sulle automobili, sugli abiti firmati o sui mobili. Il monopolio sul flusso di informazioni, che è essenziale per una repubblica costituzionale, sono una questione critica. Quindi il problema del dominio del mercato è quello importante».

«Se avessimo mille Facebook, non sarebbe un problema. Perché se dieci di loro avessero deciso di non approvare l’articolo del New York Post durante le elezioni, che aveva implicazioni per Joe Biden a causa di suo figlio Hunter, non sarebbe stata una restrizione del libero flusso delle diverse opinioni. Ma quando hai cinque società che fondamentalmente governano la stragrande maggioranza del panorama digitale su tutti questi temi, allora hai un problema di dominio del mercato, di antitrust e hai una soppressione, come ha dichiarato la Corte Suprema, tanto pericolosa quanto se fosse il governo a farlo».

Craig Parshall, avvocato costituzionalista e consulente speciale dell’American Center for Law and Justice, durante un’apparizione a ‘Crossroads’ di Epoch Times. (Epoch Times)

L’amministratore delegato di Twitter Jack Dorsey ha affermato che la censura dell’articolo del Post, sulla storia del computer che si credeva appartenesse a Hunter Biden, è stata fatta per errore. Anche Facebook ha limitato la diffusione dell’articolo prima delle elezioni del 2020.

I membri del Congresso su entrambi i lati del corridoio stanno cercando di modificare le leggi esistenti o crearne di nuove per limitare lo strapotere delle Big Tech, che si oppongono a gran parte delle misure antitrust, e ad altri tentativi, per limitare il loro potere. Ma secondo Parshall, anche dieci anni fa, quando l’attuale dominio delle Big Tech era nella sua forma iniziale, gli esperti non riuscivano a concordare su quale fosse il modo giusto per affrontare la questione.

I democratici hanno esortato le Big Tech a intensificare ancora di più la moderazione dei contenuti, mentre i repubblicani hanno denunciato la censura, denunciando in parte il potere monopolistico delle società.

Parshall sostiene che le soluzioni includono la rimozione di alcune aree dello scudo garantito dalla Sezione 230, facendo notare come ad esempio il traffico di esseri umani sia già un’eccezione. «Ma poi arriviamo ai problemi della libertà di parola e della soppressione delle opinioni. Penso che il modo migliore per gestirlo in termini di rimedio normativo o statutario sia dire se sei un attore dominante sul mercato e definire quei termini adeguatamente, che un’azienda digitale dominante sul mercato deve seguire i principi e i precetti della giurisprudenza del Primo Emendamento che la Corte Suprema si è ritagliata per decenni, con un certo adattamento al fatto che stiamo parlando di cyberspazio e non di un parco pubblico. Quindi ci sono alcuni tipi di adeguamenti che devono essere fatti in base alla realtà dell’ingegneria informatica che non avresti quando un ragazzo decide di distribuire volantini su un marciapiede pubblico. Ma con questi adeguamenti in mente, credo nel prendere il Primo Emendamento e renderlo applicabile anche se non è applicabile agli attori statali, e nell’avere una legge federale che venga applicata a questi grandi monopoli, a meno che non abbiano sistemi di moderazione adeguati e ragionevoli, capaci di dimostrare che lavorano in maniera indipendente».

 

Articoli in inglese: Big Tech Companies Are Monopolies Engaged in Censorship: Parshall



 
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