Cos’è Uber e perché sta incontrando problemi

Uber nasce con nome tedesco e spirito californiano. L’app per smartphone che sta facendo il giro del mondo è sulla bocca di tanti, e i giudizi sono talmente disparati che per chi non lo usa non è facile capirne appieno le qualità e le mancanze. Ma innanzitutto spieghiamo come funziona.

Uber è un’applicazione mobile che permette di richiedere dei passaggi in macchina con il semplice tocco dello smartphone. Per diventare utenti basta scaricare l’app dal proprio cellulare ed iscriversi con la propria carta di credito. Una volta prenotata la corsa e incontrato il conducente, la tariffa del servizio offerto viene calcolato in base alla distanza percorsa e al tempo impiegato per giungere a destinazione, partendo sempre da una base di due euro. Il pagamento avviene con carta di credito e la transazione si effettua tra il cliente e la piattaforma Uber, che trasferisce poi il denaro sul conto del ‘driver’ in questione.

E chi sono i conducenti? Per diventare un driver, Uber pone delle restrizioni, che dovrebbero garantire sicurezza a chi usufruisce di questo servizio:

–          Prima di tutto è necessario presentare la propria fedina penale, che deve essere totalmente nulla e senza carichi pendenti.

–          Secondariamente non si deve aver subito la sospensione della patente negli ultimi dieci anni

–          Inoltre bisogna possedere un auto da almeno 10 anni, e quest’ultima deve essere dotata di libretto in regola e cinque porte RCA valida

–          Infine si garantisce un’assicurazione per ogni corsa Uber.

Per capire invece come è stato valutato in precedenza il driver che vogliamo contattare, esiste un sistema di feedback a cinque stelle, il quale dà la possibilità di aggiungere commenti e segnalare particolari problemi.

L’app di Uber, che arriva da San Francisco, è da qualche tempo in decine di Paesi del mondo, e si basa sul concetto di fornire degli autisti professionisti. Tuttavia è recentemente nata l’app Uberpop che, di fatto, permette a chiunque superi il vaglio sicurezza di diventare un autista, senza dover possedere per forza una licenza di noleggio con conducente. Proprio per questo in Italia sta incontrando qualche problema, a seguito del recente ricorso presentato dalle associazioni di categoria dei tassisti che l’accusavano per «concorrenza sleale».

Uberpop è infatti il passaggio chiave che ha fatto esplodere il fenomeno in Italia, attirando particolarmente l’attenzione: «prima dell’introduzione di tale app – spiega il giudice Claudio Marangoni nell’ordinanza cautelare – i soggetti privi di licenza avevano un circoscritto perimetro di attività e di possibilità di contatto con gli utenti, mentre Uberpop consente in tutta evidenza un incremento nemmeno lontanamente paragonabile al numero di soggetti privi di licenza che si dedicano all’attività analoga a quella di un taxi e parallelamente un’analoga maggiore possibilità di contatto con la potenziale utenza, così determinando un vero e proprio salto di qualità nell’incrementare e sviluppare il fenomeno dell’abusivismo», con queste parole il Tribunale di Milano ha quindi respinto il permesso di utilizzo dell’applicazione in Italia.

Tuttavia sembra che la sentenza, che per Uber è «rispettata ma non compresa», non abbia posto fine alla questione. A poche ore dalla decisione, sul sito dell’app californiana è nata infatti una petizione, destinata al sindaco di Milano Giuliano Pisapia. IostoconUber ha già raccolto oltre sei mila firme e vede il sindaco come davanti ad un bivio tra il «permettere ai cittadini milanesi di muoversi liberamente nella città»  oppure il «continuare a proteggere interessi monopolistici, soffocando innovazione, creazione di lavoro e progresso».

 
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