La corsa al Quirinale: Berlusconi spinge, Draghi è il centro di gravità

Di Marco D'Ippolito

Da mesi si discute dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica italiana, ma entro la fine di gennaio i partiti saranno costretti a trovare un accordo: scadrà infatti il 3 febbraio il mandato di Sergio Mattarella.

I grandi elettori (senatori, deputati e delegati regionali) si riuniranno alle ore 15.00 del 24 gennaio per effettuare il primo tentativo di elezione del futuro capo dello Stato. Secondo l’iter stabilito dalla Costituzione, per eleggere un candidato nelle prime tre votazioni saranno necessari due terzi dei voti favorevoli, ovvero 672 degli attuali 1008 grandi elettori, mentre a partire dalla quarta votazione ne basteranno la metà più uno, ovvero 505 voti.

Tutta l’attenzione, anche a livello internazionale, era ed è su Mario Draghi, che nella conferenza di fine anno ha velatamente dichiarato di essere disponibile per il Quirinale, rimarcando comunque che dovranno essere i partiti a scegliere, e sottolineando di non avere particolari ambizioni personali ma di essere piuttosto un «nonno al servizio delle istituzioni».

Tuttavia, contro questa ipotesi gioca la difficoltà nel trovare un suo valido sostituto a Palazzo Chigi, che riesca a mettere d’accordo le forze parlamentari e traghettare con successo il governo fino al 2023. Senza Draghi, infatti, il governo rischierebbe di deragliare in maniera irreversibile, spingendo il Paese a elezioni anticipate, il che per molti parlamentari significherebbe ‘perdere la poltrona’ per sempre, anche perché con la riforma del taglio dei parlamentari la prossima legislatura avrà oltre 300 componenti in meno.

Senza considerare che se l’attuale legislatura non raggiungesse la data del 24 settembre 2022, i parlamentari neoeletti (ovvero il 68% dei deputati e il 73% dei senatori) non avrebbero diritto alla pensione da parlamentare, che scatta automaticamente dopo 4 anni, sei mesi e un giorno dall’inizio della legislatura.

Ecco perché secondo gli analisti è molto improbabile che il Parlamento elegga Mario Draghi a presidente della Repubblica senza avere prima la certezza che ci sia un altro premier capace di mettere d’accordo i partiti e portare avanti il governo, perlomeno fino al prossimo autunno.

In quest’ottica è facile comprendere le ultime due eloquenti dichiarazioni fatte trapelare dal principale ‘competitor’ di Draghi nella corsa al Quirinale: Silvio Berlusconi, che ha avuto l’ardore di auto-candidarsi alla presidenza della Repubblica italiana. Il suo nome circola da mesi, ma se in un primo momento buona parte della stampa l’aveva preso quasi come uno scherzo, è ormai chiaro che il Cavaliere fa sul serio.

Secondo il Corriere della Sera, Berlusconi sta infatti diffondendo due chiari messaggi: il primo è che se Draghi dovesse lasciare Palazzo Chigi, Forza Italia «uscirebbe subito dal governo», mettendo così a dura prova la tenuta dell’esecutivo. Il secondo è invece che qualora lui salisse al Quirinale, non si andrebbe assolutamente alle elezioni anticipate.

In quanto ai numeri, Berlusconi ritiene di poter contare come solida base sui 450 voti provenienti dai grandi elettori dei Partiti di centro-destra. E secondo fonti di Arcore citate dal Corriere della Sera, il Cavaliere è attualmente impegnato quotidianamente in decine di telefonate, presumibilmente finalizzate alla ricerca di voti provenienti da parlamentari centristi, dagli ex del Movimento 5 Stelle e altri. Senza considerare che voci di corridoio parlano da mesi di un possibile accordo segreto con Renzi, che renderebbe decisamente concreta l’ipotetica elezione del Cavaliere.

Un’altra curiosa notizia su Berlusconi riguarda i suoi regali di Natale ad alcuni esponenti politici – compresi tutti i leader del centrodestra, ma ‘soprattutto’ l’ex leader del M5S Luigi di Maio – ai quali il Cavaliere avrebbe fatto recapitare per Natale alcuni quadri provenienti dalla sua collezione d’arte personale, la Quadreria di Villa San Martino. Autori diversi ma tutte opere sullo stesso tema: Venezia.

Detto ciò, la strada per il Quirinale rimane in salita per Berlusconi, soprattutto perché vari esponenti del centro-sinistra, incluso il segretario del Pd Enrico Letta, hanno posto un veto tassativo sul suo nome, ritenendolo troppo ‘divisivo’ e quindi non adeguato a ricoprire il ruolo di capo dello Stato.

Di certo il fulcro della corsa al Quirinale è Mario Draghi, che resta l’opzione più papabile qualora i Partiti riescano ad accordarsi per un premier capace di sostituirlo fino al 2023. In alternativa, circolano al momento vari nomi di candidati meno divisivi rispetto a Berlusconi, come l’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia, l’ex premier Giuliano Amato, Pier Ferdinando Casini o Gianni Letta. Ma sarebbe un errore sottovalutare le capacità politiche e persuasive del Cavaliere, sebbene la sua aggressiva campagna per salire al Quirinale sia decisamente irrituale.

Dal canto suo, Mattarella ha dichiarato a più riprese di non essere disponibile per un bis, ma, nonostante ciò, continuano ad arrivare quotidianamente le ‘suppliche’ del mondo politico: l’ultima è giunta lunedì sera proprio da un’assemblea dei senatori del Movimento 5 Stelle, che secondo fonti del Corriere ritengono che «in una situazione emergenziale come quella odierna non si deve modificare lo status quo».

 
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