Cina, Huawei e quel legame segreto col Partito

L’arresto a inizio dicembre della direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, messo in atto dalle autorità canadesi, ha spinto il gigante cinese delle telecomunicazioni sotto i riflettori internazionali.

Sebbene sia considerata un’azienda privata, la Huawei non è quotata in Borsa, e molti governi la considerano da tempo uno strumento nelle mani delle autorità comuniste. I procuratori statunitensi, per esempio, hanno accusato il gigante cinese di aver utilizzato un’azienda di Hong Kong per raggirare le sanzioni imposte all’Iran: accuse simili a quelle mosse in passato a Zte, un’altra nota azienda tecnologica cinese che aveva venduto abusivamente componenti prodotte negli Stati Uniti a Iran e Corea del Nord.

Per come si presenta, Huawei è un’azienda di proprietà dei suoi dipendenti. Ufficialmente, il fondatore Ren Zhengfei possiede l’1,4 per cento delle azioni di Huawei, mentre le restanti sono ripartite tra i suoi 80 mila dipendenti mediante il comitato sindacale dell’azienda.
Tuttavia, il comitato non esercita funzioni operative e i dipendenti Huawei rinunciano automaticamente alla propria quota azionaria quando escono dall’azienda. Nella pratica, quindi, il potere viene esercitato dai dirigenti e dai loro contatti all’interno del Partito Comunista Cinese (Pcc).

Dando uno sguardo ai nomi dei principali dirigenti risulta chiaro che Huawei ha stretti rapporti con gli apparati della Sicurezza Nazionale, dell’esercito, e con la fazione politica legata all’ex leader del Partito Jiang Zemin.
Ren, il fondatore dell’azienda, vantava anche un legame speciale con l’Esercito Popolare di Liberazione, poiché la sua prima moglie, Meng Jun, era la figlia di un importante ufficiale politico dell’esercito. Dalla loro unione è nata Meng Wanzhou, la vicepresidente della società, arrestata a inizio dicembre in Canada.

Negli anni ‘60 e ‘70 la famiglia di Ren era stata perseguitata nell’ambito della Rivoluzione Culturale, perciò il matrimonio tra i due coniugi si è svolto nella casa della moglie: probabilmente è per questo che la figlia, Meng Wanzhou, ha scelto di adottare il cognome della madre.
Invece, il padre di Meng Jun, Meng Dongbo, è stato promosso dall’esercito a segretario del Pcc di una città della provincia dello Sichuan, per poi diventare vice governatore della stessa provincia. Negli anni ’80 è stato inoltre rappresentante del Congresso Provinciale del Popolo dello Sichuan e del Congresso Nazionale del Popolo.
Ren, che aveva buoni rapporti con il suocero, è stato quindi ‘protetto’ dalle sue connessioni politiche.

Inoltre la presidente del Consiglio di amministrazione di Huawei, Sun Yafang, in carica dal 1999, è un’altra figura di spicco della compagnia ed è considerata una delle donne più potenti al mondo. Non sorprende quindi che, come rende noto un resoconto della Cia, in passato lavorasse per il Ministero della Sicurezza di Stato (Mss), i servizi di intelligence cinesi.

Huawei, spionaggio, e la lotta tra fazioni

Il potere della Sun all’interno di Huawei sembra essere persino superiore a quello di Ren: Sun infatti ha spinto Ren a rinunciare alla sua intenzione di nominare il figlio, Ren Ping, come erede di Huawei. Questo dimostra che Huawei è in realta controllata dall’intelligence del regime cinese.

Per giunta, prima dell’inizio della campagna anti-corruzione lanciata dall’attuale leader cinese Xi Jinping, il Mss era saldamente nelle mani della fazione dell’ex capo del Partito Jiang Zemin (una fazione avversa all’attuale leader Xi Jinping)

Tra il 1985 e il 2016 il Mss ha avuto tre capi: Jia Chunwang, che è rimasto in carica fino al 1998, Xu Yongyue, fino al 2007, e infine Geng Huichang.
Jia Chunwang aveva una relazione molto forte con l’allora leader del Partito Comunista Jiang Zemin e i suoi alleati. Il genero di Jia è Liu Lefei, vice presidente della Citic (China International Trust and Investment Company) nonché figlio di Liu Yunshan, un importante ex funzionario del Pcc legato a Jiang. Prima di ritirarsi, all’inizio del 2018, Liu Yunshan era uno dei sette membri del Comitato Permanente del Politburo, il cuore del potere del Partito Comunista.

Xu Yongyue, leader del Mss dal 1998 al 2007, è figlio di un importante funzionario del Partito, e anche lui era legato alla fazione di Jiang Zemin, avendo ricoperto la carica di ministro della Sicurezza di Stato quando l’influenza politica di Jiang era al suo apice.

Infine, Geng Huichang, capo del Mss dal 2007 al 2016, ha lavorato a stretto contatto con Zhou Yongkang, un altro ex membro del Comitato Permanente del Politburo. Zhou era un personaggio chiave della rete clientelare intessuta da Jiang Zemin, tuttavia nel 2014 è stato accusato per reati di corruzione e per aver complottato contro la leadership di Xi Jinping; l’anno seguente è stata emessa la sua condanna a morte, poi commutata in ergastolo.

Geng è stato indagato nel 2016 e quindi rimpiazzato da Chen Yongqing, un ex vice presidente del Comitato provinciale del Pcc del Fujian, considerato un alleato di Xi Jinping.

Il ruolo di Huawei nel sistema di censura del Pcc

Jiang Zemin è stato segretario generale del Pcc dal 1989 al 2003. Dopo il suo ritiro, i suoi collaboratori, molti dei quali erano stati promossi a posizioni chiave all’interno del Pcc e del governo cinese, hanno continuato ad agire sotto la sua influenza durante i due mandati del leader cinese Hu Jintao.

Gli individui che costituivano questa fitta ragnatela clientelare erano cosi numerosi e ben radicati che ancora oggi continuano costantemente a essere ‘purgati’ nell’ambito della campagna anti-corruzione avviata nel 2013 da Xi Jinping.

Wang Youqun, che ha prestato servizio come funzionario disciplinare del Pcc tra il 1993 e il 2002, ha dichiarato a Epoch Times che, secondo un ex impiegato di Huawei di sua conoscenza, Huawei era un’azienda usata per scopi di intelligence, al servizio della ‘dinastia precedente’, ovvero la leadership di Jiang Zemin.

Oltre al nepotismo e alla corruzione, Jiang Zemin è tristemente noto per le violazioni dei diritti umani perpetrate durante il suo mandato, in particolare per la campagna di persecuzione nazionale contro la pratica spirituale del Falun Gong, lanciata da Jiang nel 1999 (e ancora in corso).

Per monitorare al meglio e censurare la libertà di espressione online, la leadership di Jiang ha inoltre costruito il gigantesco sistema di controllo del web denominato ironicamente, in riferimento alla Muraglia, ‘Grande Firewall Cinese’.

Per via dei suoi stretti legami con il regime cinese controllato da Jiang, la Huawei ha svolto un ruolo significativo nel processo di realizzazione e perfezionamento del Grande Firewall.

Inizialmente, una parte importante del firewall era il Golden Shield Project, che ha instaurato il primo regime di sorveglianza per tutti gli utenti internet del Paese.

Il Grande Firewall e il Golden Shield Project sono stati entrambi fondati sotto la supervisione del figlio maggiore di Jiang Zemin, Jiang Mianheng, che, secondo diverse inchieste, ha rapporti molto stretti con Huawei.
Nel 2003, uno degli emittenti televisivi di regime, la Cctv, aveva annunciato che la prima fase del Golden Shield Project, iniziata nel 2001, era costata 6,4 miliardi di yuan (circa 770 milioni di dollari del tempo) fino al 2002. Dopodiché non sono stati pubblicati altri dati relativi al costo del progetto.

Inoltre, data la portata, i costi e l’importanza attribuita al Grande Firewall, è improbabile che Jiang avrebbe permesso a Huawei di svolgere un ruolo così cruciale nel progetto se non fosse stato soddisfatto del background politico della compagnia.

Tang Jingyuan, un opinionista statunitense esperto di attualità cinese, ha dichiarato a Epoch Times che Sun Yafang è stata probabilmente nominata presidente di Huawei su richiesta della fazione di Jiang, il che ha reso l’azienda ‘politicamente affidabile’.

«Da allora [i membri della fazione di Jiang, ndr] hanno considerato Huawei come un’attività propria  ̶  ha concluso Tang  ̶  È facile capire quindi perché Jiang Mianheng dispensasse ordini a Huawei».

 

Articolo originale: The Relationship Between Huawei and the Chinese Regime’s Factional Politics

 

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