Emorragia di capitali dalla Cina, lo yuan trema

Il mondo si è in qualche modo assuefatto al discioglimento graduale delle riserve di valuta estera della Cina (-29 miliardi di dollari a febbraio, per un totale di 3,2 trilioni di dollari: molto meno dei 4 trilioni del 2014).

Quello che il mercato non ha ancora ben capito, è quanto a lungo durerà questa emorragia e chi sia il vero responsabile della fuga di capitali che sta dietro al prosciugarsi delle riserve.

Alcuni commentatori, come il professore dell’università di Pechino Michael Pettis, sostengono che – grazie al suo surplus commerciale – la Cina abbia riserve liquide più che sufficienti per difendere la moneta. Ma Pettis avverte anche che continuare a perdere 150 miliardi di dollari di riserve ogni mese potrebbe innescare una crisi di fiducia.

Un nuovo rapporto della banca di investimenti Societe Generale, fa luce sulle origini del deflusso e conclude che è molto verosimile che, nel corso del 2016, vi sia una svalutazione della moneta cinese ad almeno 7,5 yuan per dollaro.

Il motivo? Gran parte del capitali in uscita proviene da risparmiatori comuni che vogliono diversificare il portafoglio rispetto ai conti correnti, l’immobiliare o il mercato azionario cinese. Il rapporto spiega infatti che «negli ultimi sei trimestri (dal secondo 2014 al terzo 2015) un capitale netto di 657 miliardi di dollari è uscito dalla Cina, in gran parte per effetto di investimenti all’estero da parte dei cinesi».

Gran parte dei 353 miliardi di dollari di provenienza privata, sono rappresentati infatti dalla quota massima consentita di cambio valuta (50 mila dollari l’anno).

Sempre secondo l’analisi di Societe Generale, il problema è che «se solo il 5 per cento della popolazione (65 milioni di persone) decide di fare la stessa cosa, il flusso annuale di valuta in uscita potrebbe già eguagliare la totalità delle riserve ufficiali».

L’analisi della banca d’affari è chiara: questo genere di deflusso è il maggior rischio per la stabilità di una valuta. È per questa ragione che, anche l’attivo commerciale di 500 miliardi di dollari all’anno, non sarà sufficiente a compensare il miliardo e 300 milioni di potenziali ‘venditori’ della valuta cinese.

Di conseguenza, la Cina sta ponderando di tornare a controlli più stretti del movimento di capitali, una mossa che va in direzione del tutto contraria rispetto alle riforme programmate dal regime.

L’economista di Societe Generale per la Cina Wei Yao ritiene che ci si stia per arrivare: «inclusi i movimenti interbancari, [gli investimenti all’estero, ndr] e i movimenti di capitale illegali, l’inasprimento dei controlli sui movimenti di capitale per i residenti, in particolare il tetto massimo di 50 mila dollari di cambio, daranno buoni risultati».

Quindi, in conclusione, che cosa potrebbe innescare una svalutazione a 7,5 yuan per dollaro nel 2016? «Se il ritmo di vendita delle riserve si mantiene elevato per due o tre trimestri, la Banca Centrale cinese potrebbe trovarsi sempre più sotto pressione e considerare correzioni dei tassi di interesse più rapide». Correzioni al ribasso, naturalmente.

 

Articolo in inglese: Who’s Behind the Chinese Capital Outflows

 
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