Lo Squalo, il primo blockbuster estivo che ha rivoluzionato il cinema

di Redazione ETI/Katrina Gulliver
3 Luglio 2025 20:06 Aggiornato: 3 Luglio 2025 20:06

“Amity Island aveva tutto: cieli limpidi, onde morbide, acque calde. Ogni estate, migliaia di turisti affollavano le sue spiagge. Era il terreno ideale per un predatore”.

Il 20 giugno 1975, gli spettatori si misero in fila per assistere a un nuovo film, un horror avvincente incentrato su uno squalo. E “Lo squalo” non deluse: spaventi improvvisi che facevano sobbalzare il pubblico, con il predatore che emergeva sullo schermo. La colonna sonora di John Williams, con il suo ritmo incalzante, toccava le corde della paura, evocando una minaccia più potente di qualsiasi tema musicale dai tempi di Psycho.

La trama si inserisce in un filone classico: una località di villeggiatura devastata da un pericolo improvviso, che si tratti degli uccelli di Bodega Bay o di Jason Voorhees a Camp Crystal Lake. Come in questi film, le interpretazioni possibili sono molteplici. Per alcuni, è una parabola sul fallimento delle istituzioni: il vero antagonista non è lo squalo, ma il sindaco ottuso e venale che rifiuta di chiudere le spiagge.

Per altri, è un monito contro la promiscuità balneare o una punizione per lo sfruttamento ambientale. Qualunque sia la lettura, lo squalo non ha agency morale: è l’assenza di significato attorno a cui si muovono i personaggi umani. Nell’ottobre 2021, ho visitato Londra per assistere a una nuova pièce teatrale, “The Shark Is Broken”, scritta da Ian Shaw, figlio di Robert Shaw, interprete di “Lo squalo”.

Ian Shaw ha impersonato il padre, affiancato da due attori nei panni di Roy Scheider e Richard Dreyfuss, per raccontare i momenti di pausa sul set del film. I problemi con lo squalo animatronico allungarono le riprese di settimane oltre il previsto, lasciando gli attori a chiacchierare su una barca ricostruita. Shaw si angoscia per le sue questioni fiscali.

Dreyfuss, al suo primo grande ruolo, alterna arroganza e nevrosi. Scheider, attore navigato di televisione e teatro, si pone come mediatore tra le due personalità. Dopo numerosi intoppi, litigi, riconciliazioni e revisioni della sceneggiatura, assistiamo alla scena cruciale in cui Shaw recita il monologo sulla Uss Indianapolis. Per chi non avesse visto il film (o lo avesse dimenticato), il personaggio di Quint, interpretato da Shaw, è un sopravvissuto di quella nave, affondata dai giapponesi nel 1945 dopo aver consegnato a Tinian i componenti della bomba sganciata su Hiroshima. Il naufragio gettò oltre 800 uomini nell’oceano Pacifico.

Nei tre giorni successivi, decine di loro furono uccisi dagli squali. Questo è il dolore privato di Quint, il suo senso di colpa di sopravvissuto, la sua vendetta contro gli squali. La storia si adattava perfettamente al clima culturale post-Watergate, con personaggi che incarnavano diverse forme di disillusione verso lo Stato. Quint, amareggiato, si è fatto rimuovere il tatuaggio della Marina.

Il capo della polizia Brody si è trasferito ad Amity per sfuggire al degrado percepito di New York. Matt Hooper, il biologo marino, scopre quanto le autorità locali possano essere ostinate, anche a costo di mettere a rischio vite umane. L’impatto culturale del film è tale che, oltre 40 anni dopo, una pièce ambientata durante le sue riprese è stata rappresentata sulle due sponde dell’Atlantico.

“Lo squalo” non era solo un film di mostri, ma un thriller. Il dramma risiede nella reazione umana alla pressione, al pericolo. Tre uomini – un poliziotto locale, un pescatore e un biologo marino – uniti per sconfiggere la minaccia. Il romanzo di Peter Benchley, già un bestseller, fu adattato per il grande schermo.

Giornalista e membro di una famiglia di letterati, Benchley aveva scritto un libro sui suoi viaggi in Europa e un reportage su Nantucket per National Geographic, descrivendo i ritmi della comunità e l’afflusso annuale di turisti. Passando alla narrativa, trasse ispirazione, almeno in parte, da una serie di attacchi di squali in New Jersey nel 1916 e da un grande squalo catturato al largo di Long Island nel 1965. È evidente che Amity richiama Nantucket.

Il romanzo include sottotrame e personaggi aggiuntivi, e ci vollero diversi sceneggiatori, tra cui lo stesso Benchley e Shaw, per trasformarlo in una sceneggiatura incisiva. Come molti grandi film, “Lo squalo” generò una serie di sequel meno riusciti, ma fu per Steven Spielberg l’inizio di una carriera straordinaria. Il regista avrebbe firmato altri successi al botteghino, anticipando i gusti del pubblico e tornando al tema della minaccia animale con film come “Jurassic Park”.

La tecnologia per le creature migliorò, ma i temi restavano gli stessi: funzionari incompetenti e avidi, eroi improbabili. Tuttavia, “Lo squalo” fu più di un film di successo. Fu una novità: il primo blockbuster estivo. Cambiò la formula del botteghino. L’estate divenne la stagione di punta per il cinema, con gli spettatori che scoprivano il comfort climatizzato dei multisala, decine dei quali furono costruiti negli Stati Uniti nei primi anni Settanta. Insieme all’espansione dei centri commerciali, i multisala spostarono l’intrattenimento verso le periferie.

Gli studios iniziarono a lanciare i loro grandi film a giugno, anziché in autunno. “Lo squalo” divenne il film con il maggiore incasso di sempre, superato solo pochi anni dopo da “Star Wars”. Per Benchley fu un trampolino di lancio: vendette altri romanzi e si dedicò alla conservazione marina, specializzandosi in thriller oceanici come “Abissi”, “L’isola” e “La creatura”.

Nessuno, però, eguagliò l’impatto culturale di “Lo squalo”. Il film generò anche un’industria legata agli squali. Programmi come Shark Week in televisione e il termine “grande bianco” divennero di uso comune. È difficile immaginare che il golfista Greg Norman avrebbe ricevuto quel soprannome negli anni Ottanta senza l’influenza di “Lo squalo”.

Gli squali non erano certo sconosciuti prima, ma il film li consacrò nell’olimpo degli orrori cinematografici, trasformandoli anche in cattivi del mondo reale. Questo incentivò la caccia agli squali, ma accese anche l’interesse scientifico per queste creature. In fin dei conti, lo squalo meccanico inaffidabile probabilmente aiutò il film. Per ovviare alla sua assenza, Spielberg dovette trovare modi alternativi per rappresentare gli attacchi. Optò per scene suggestive piuttosto che grafiche: una gamba di un nuotatore, una nube rossa nell’acqua, un urlo. Il pubblico poteva immaginare lo squalo, molto più spaventoso della versione in gomma sullo schermo. Nascosto nell’oscurità, pronto a colpire proprio quando pensavi di essere al sicuro.


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