L’Iran ha risposto, finora con scarso successo, all’attacco israeliano colpendo con ondate di decine di missili balistici Tel Aviv. Israele era preparato alla reazione: «il sistema di difesa aerea identifica e intercetta costantemente le minacce» hanno dichiarato le forze armate israeliane. Finora, tutto considerato, il sistema di difesa “Iron Dome”, il sofisticato scudo antimissile israeliano sembra stia riuscendo egregiamente a intercettare la gran parte dei missili iraniani. Fonti ufficiali di Epoch Times Usa affermano che gli Stati Uniti stanno fornendo a Israele azioni di supporto antimissile. Ma Washington precisa che il supporto a Tel Aviv è fornito a scopo esclusivamente difensivo.
I paramedici israeliani hanno riferito che finora cinque persone sono rimaste ferite nell’area di Tel Aviv. Uno dei feriti è in condizioni non gravi, e gli altri quattro hanno riportato lievi lesioni causate da schegge. Altre quindici persone sono rimaste ferite nella città di Ramat Gan. Non risultavano morti in seguito alle prime raffiche di attacchi, ieri sera. Il quarto attacco missilistico iraniano, sferrato all’alba (circa alle 3,30 del mattino ora italiana) risulta aver causato almeno due morti.
Il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, ha sottolineato di aver mantenuto la promessa di vendetta per gli attacchi israeliani in un messaggio registrato rivolto alla nazione: «Non pensino che loro colpiscono e poi finisca lì. No. Hanno iniziato loro: loro hanno scatenato la guerra. Non permetteremo che questo grave crimine che hanno commesso resti impunito».
L’agenzia di stampa iraniana ha confermato che centinaia di missili balistici sono stati lanciati contro Israele. In un messaggio pubblicato su X, il tenente colonnello Nadav Shoshani, portavoce internazionale delle Forze israeliane ha dichiarato: «Ancora una volta, i missili iraniani sono diretti contro case, famiglie e bambini in tutto Israele. Il mondo non può più considerare questo problema come esclusivo di Israele».
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rivolto un messaggio diretto al popolo iraniano: «La lotta di Israele non è contro di voi – ha detto -Netanyahu – non è contro di voi, il grande popolo iraniano, che noi rispettiamo e ammiriamo. La nostra lotta è contro un nemico comune: un regime assassino che vi opprime e vi impoverisce». Netanyahu ha poi spiegato che l’obiettivo dell’operazione israeliana, denominata “Leone nascente”, era eliminare la minaccia nucleare e missilistica rappresentata dall’attuale regime islamico. Con il raggiungimento di questo obiettivo, ha aggiunto il primo Ministro israeliano, Israele ha aperto la strada della libertà al popolo iraniano.
Il regime teocratico al potere in Iran da ormai quasi mezzo secolo, ha poi detto Netanyahu, non è mai stato così debole. Definendo il popolo iraniano coraggioso, ha poi assicurato che gli israeliani sono al loro fianco: «Iran e Israele sono stati veri amici sin dai tempi di Ciro il Grande, ed è giunto il momento per voi di riunirvi sotto la vostra bandiera e il vostro retaggio storico, e di lottare per ottenere la libertà da un regime malvagio e oppressivo».
IL REGIME IRANIANO È IN GRAVE DIFFICOLTÀ
Al di là dei proclami dell’ayatollah, secondo gli analisti l’Iran si troverebbe con le spalle al muro. Non potendo minimamente contrastare la potenza militare israeliana a livello di armi convenzionali, e avendo subito la distruzione degli impianti con cui stava per produrre le armi nucleari (almeno secondo Israele), per il regime teocratico iraniano una via d’uscita potrebbe essere quella di offrire vere garanzie di abbandonare per sempre ogni velleità nucleare. Garanzie da offrire ovviamente a porte chiuse: rendere pubblica una concessione simile equivarrebbe a una resa incondizionata, cosa che il regime non può permettersi.
Un’alternativa, sempre secondo gli analisti, potrebbe essere il ritorno a una guerra clandestina, simile agli attentati degli anni Ottanta contro ambasciate e installazioni militari di Stati Uniti e Israele. Ma il regime iraniano così rischierebbe di passare dalla padella alla brace, perché si troverebbe contro non solo Israele ma anche e soprattutto gli Stati Uniti d’America.
Gli attacchi mirati di Israele contro strutture nucleari iraniane, fabbriche di missili balistici, comandanti e scienziati nucleari, è stato definito da Netanyahu l’inizio di una campagna prolungata per impedire a Teheran di sviluppare un’arma atomica, che finora ha già fatto danni enormi: ha ucciso almeno venti alti ufficiali, tra cui il capo di stato maggiore delle forze armate, il generale Mohammad Bagheri, il comandante delle Guardie rivoluzionarie Hossein Salami e il responsabile della forza aerospaziale delle Guardie rivoluzionarie, Amir Ali Hajizadeh.
«Si tratta di un attacco senza precedenti: figure di spicco, leader di primo piano e danni ingenti alla leadership militare iraniana e al suo arsenale missilistico», ha commentato Hage Ali, analista del Carnegie Middle East Center sentito da Reuters.
Sima Shine, ex analista del Mossad e ora ricercatrice presso l’Institute for National Security Studies di Israele, ha invece osservato che, senza il sostegno degli Stati Uniti, Israele difficilmente potrà distruggere completamente il programma nucleare iraniano: «Se gli Stati Uniti non parteciperanno al conflitto, è probabile che alcune parti del programma nucleare iraniano rimangano intatte», ha dichiarato venerdì ai giornalisti.
Gli attacchi di venerdì non hanno solo inflitto danni strategici, ma hanno anche destabilizzato profondamente la leadership iraniana, almeno secondo un alto funzionario regionale vicino all’establishment di Teheran, citato sempre da Reuters: ora, l’atteggiamento di sfida del regime si è trasformato in preoccupazione e incertezza. Dietro le quinte, cresce l’ansia non solo per le minacce esterne, ma anche per la perdita di controllo sul fronte interno: «Il panico si è diffuso tra i vertici» ha rivelato il funzionario, «oltre alla minaccia di ulteriori attacchi, c’è il timore più profondo dei disordini interni».
L’eliminazione, nel 2020, del generale Qassem Soleimani, comandante delle operazioni estere delle Guardie rivoluzionarie, ordinato da Trump, ha segnato l’inizio del declino. Da allora, la Repubblica Islamica ha faticato a riaffermare la propria influenza regionale e non si è mai pienamente ripresa. E secondo alcuni osservatori questo attacco potrebbe davvero essere l’inizio della fine: la rabbia popolare, alimentata da anni di sanzioni, inflazione e repressione del dissenso, è ormai sul punto a esplodere (l’Iran, dopotutto, è pur sempre una dittatura).
L’obiettivo di Netanyahu – parallelo alla distruzione della capacità nucleare – di dare la spallata finale a un regime ormai indebolito, potrebbe spiegare la scelta di colpire così tanti alti ufficiali iraniani tutti insieme: gettare nel caos le forze armate del nemico decapitandone lo stato maggiore. «Queste figure erano fondamentali, perché avevano anni di esperienza e un ruolo cruciale per la stabilità del regime», ha spiegato l’ex analista del Mossad Sima Shine.
In tutto questo, anche Hezbollah, il più forte alleato regionale dell’Iran, è ormai in una posizione di estrema debolezza. Nei giorni precedenti agli attacchi, fonti della sicurezza vicine a Hezbollah hanno infatti rivelato che l’organizzazione non avrebbe partecipato a eventuali ritorsioni iraniane, temendo una nuova offensiva israeliana in Libano. La guerra condotta da Israele contro Hezbollah l’anno scorso, infatti, è stata devastante: leadership decimata, migliaia di combattenti uccisi e vaste aree delle roccaforti Hezbollah – nel sud del Libano e nei sobborghi di Beirut – distrutte.
In conclusione, secondo gli analisti Trump potrebbe sfruttare le conseguenze degli attacchi israeliani per riportare l’Iran al tavolo dei negoziati sul nucleare, ma questa volta in una posizione di maggiore debolezza e isolamento, che renderebbero il regime teocratico ben più incline a concessioni significative. L’ormai ex “impero” iraniano, insomma, è sul viale del tramonto. A questo punto, c’è da sperare – per il popolo iraniano, il Medio Oriente e il mondo intero – che il tramonto finisca presto. E che arrivi subito una nuova alba, capace di portare a questa orribilmente martoriata area del nostro pianeta un minimo di pace e stabilità.