Chiedetelo a qualsiasi scrittore: spesso le intuizioni più felici arrivano subito dopo la fine di un’intervista, quando il taccuino è chiuso, il registratore è spento e spesso la conversazione va completamente fuori tema. È esattamente quello che mi è successo l’anno scorso. Avevo appena finito una straordinaria intervista a Londra con un’autorevole collezionista d’arte appartenente a una rinomata famiglia di collezionisti d’arte. Mentre preparavo le valigie, la mia intervistata mi ha chiesto dove sarei andata dopo.
Avevo prenotato per andare a vedere la Painted Hall dell’Old Royal Naval College di Greenwich, una magnifica sala per banchetti barocca dipinta dall’artista britannico Sir James Thornhill, che l’ha completata in diciannove anni. La sala era stata progettata nel 1694 su mandato di re Guglielmo III dall’architetto Sir Christopher Wren. Se non ne avete mai sentito parlare, forse l’avete vista sugli schermi, perché è spesso presente nei film e nelle fiction televisive in costume. È stata ampiamente restaurata e non l’avevo mai vista, e mentre le dicevo che era lì che sarei andata, il pensiero di entrare in quel maestoso palazzo mi ha riempito di una gioia che mi ha commosso fino alle lacrime.

È stato uno di quei momenti meravigliosamente inaspettati che ti colgono completamente alla sprovvista. Leggermente imbarazzata, le spiegai come mi sentivo: in molte gallerie d’arte e musei tradizionali, l’arte moderna è diventata ormai predominante, tanto che questi luoghi, un tempo fondamento del nostro patrimonio artistico, hanno in gran parte eliminato le opere pregiate per fare spazio a un’arte rispondente a programmi “politicamente corretti”. Il pensiero di vedere l’arte e l’architettura tradizionali senza dover prima passare attraverso altre cose è stata come una boccata d’aria fresca.
La mia intervistata ha capito e ha detto: «È come I vestiti nuovi dell’imperatore!».

DIRE LA VERITÀ O SALVARE LA FACCIA
Ricorderete la fiaba di Hans Christian Andersen: un imperatore talmente ossessionato dal possedere sempre nuovi abiti che non si curava dei propri doveri, e quando si presentarono due imbroglioni fingendo di poter tessere abiti meravigliosi, con una stoffa che diventava invisibile a chiunque fosse stupido o inadatto al proprio incarico, li ingaggiò.
Diversi cortigiani e funzionari, mandati a osservare i lavori, dicevano tutti di vedere tessuti finissimi con disegni raffinati, per vanità, per paura di sembrare stupidi o di perdere il lavoro. Anche l’imperatore quindi, per non essere da meno, convenne che il tessuto era splendido e ben presto i magnifici abiti nuovi dell’imperatore, con le loro capacità magiche, furono sulla bocca di tutti e tutta la città voleva vederli.

Fu organizzata una parata per mostrare al popolo i bei vestiti nuovi dell’imperatore, il quale si spogliò, poi i tessitori fecero finta di vestirlo e dissero anche che il mantello aveva uno strascico, che i funzionari accettarono volentieri di tenere.
Mentre il corteo sfilava, tutto il popolo applaudiva: nessuno aveva mai visto nulla di simile, nessuno voleva ammettere di non poter vedere gli abiti, perché avrebbe significato che erano idioti o inadatti al loro lavoro. Tutta la città risuonava di lodi.
Poi, all’improvviso, una vocina, la voce di un bambino, disse: «Ma l’imperatore non indossa vestiti!». Quelle parole riecheggiarono per le strade risvegliando la gente: il bambino aveva ragione, l’imperatore era nudo!
Ma l’imperatore, pur avendo sentito i propri sudditi dire la verità, decise di proseguire la sfilata a testa alta insieme ai funzionari che continuavano a sorreggere uno strascico inesistente.
Tornando alla mia intervistata, la sua osservazione mi ha fatto capire che solo perché esiste un ampio consenso nel giudicare qualcosa buono e giusto, non significa necessariamente che lo sia. Il bambino de’ I vestiti nuovi dell’imperatore era la voce dell’innocenza che affermava il contrario di quanto dicevano gli altri: il bambino voleva scoprire la verità.
L’idea che l’arte moderna sia come i vestiti nuovi dell’imperatore mi ha colpito molto.
SMASCHERARE L’IMPERATORE
Un tempo credevo che tutto fosse arte. Ora vedo le cose più chiaramente.
La mia idea di arte è nata da un sincero rispetto verso tutti gli esseri viventi, quindi questo concetto apparentemente innocente di “tutto è arte” per me aveva senso. Quello che però non avevo capito è che il “tutto è arte” coincideva con l’idea dell’artista concettuale francese Marcel Duchamp, spesso associato al movimento Dadaista, che ha contribuito alla dissacrazione dell’arte tradizionale occidentale.
Duchamp creò un movimento anti-arte realizzando opere che andavano contro le convenzioni artistiche tradizionali. Ad esempio, iniziò a esporre oggetti di uso quotidiano definendoli readymade, come ad esempio un orinatoio rovesciato che intitolò Fontana, una cui replica è esposta alla Tate Modern di Londra.
Dichiarò: «Un oggetto ordinario [può essere] elevato alla dignità di opera d’arte per semplice scelta dell’artista». In sostanza, Duchamp stava dicendo: tutto è arte, se lo dice un artista. Questa opinione sposta l’attenzione dall’artista come essere virtuoso – che rappresenta le creazioni di Dio – a un falso idolo che ritiene che la sua opinione sia più importante dell’opera stessa.
L’ideologia di Duchamp si allontana dalla definizione cinquecentesca di artista che, secondo il dizionario etimologico è «chi esercita una delle belle arti». Le belle arti tradizionali, come definite nel Rinascimento, sono la pittura, la scultura e l’architettura.
È interessante notare quanto affermato dal filosofo David Clowney in un’edizione del 2011 di The Journal of Aesthetics and Art Criticism, e cioè che il termine fine in «belle arti» non riflette l’aspetto e il livello di raffinatezza dell’arte, ma significa che l’artista ha creato la propria opera seguendo una disciplina artistica occidentale prettamente tradizionale.

Il filosofo britannico Roger Scruton (1944-2020) ha ampliato queste definizioni, affermando nel suo libro Beauty che «la vera [essenza dell’] arte è un appello alla nostra natura superiore, un tentativo di affermare quell’altro regno in cui prevale l’ordine morale e spirituale».
Quando dipinge scene di carattere morale o spirituale, un artista deve cogliere non solo l’aspetto esteriore del soggetto, ma anche la personalità nel suo complesso, e nel ritrarre questi personaggi di carattere elevato, infonde nella sua opera queste qualità. È possibile così che l’arte realizzata con la massima autenticità, che sappia rappresentare i migliori aspetti morali e spirituali, possa commuovere l’osservatore fino alle lacrime. È per questo che la vera arte si rivolge alla nostra anima, e quando l’anima ne viene toccata, è qualcosa che le parole non possono esprimere facilmente.

Ma quando l’artista propone soggetti svilenti (come un orinatoio) o effimeri come le emozioni e i desideri umani al di fuori di qualsiasi contesto spirituale o morale, allora quest'”arte” non può che avere sullo spettatore un effetto negativo. Un dipinto pervaso di tali caratteristiche non celebra le belle arti, ma esalta emozioni umane negative, è come un segnale di inquietudine che non merita di essere immortalato. Le opere che mostrano emozioni, desideri o egoismo sono come delle istantanee di un singolo momento nel tempo, non sanno indicarci una direzione da seguire per migliorare noi stessi. Nella vera arte, come nella vita reale, ogni azione ha una conseguenza.
La buona arte implica ed esprime la ragione – che è facoltà di ben giudicare, cioè discernere il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, e che controlla l’istinto, le passioni, e gli impulsi.
Ha quindi uno scopo e un ordine: promuovere il bene, guidando la nostra moralità e ispirandoci a essere migliori. La buona arte ha senso. Ma l’arte moderna, quella che si discosta dai valori dell’arte occidentale tradizionale, è insensata, incarna l’irrazionale, il sensazionale e l’emotività: è priva di ragione, nel senso più vero del termine.
Pertanto, l’arte espressa da Duchamp rientra nella categoria “Vestiti nuovi dell’imperatore”. Credo che anche la maggior parte dell’arte non tradizionale creata dalla corrente degli impressionisti in poi (dal 1860 circa) rientri in questa categoria.
La vera arte orienta sempre lo spettatore verso il bene, mentre l’arte che si manifesta con qualsiasi altro obiettivo è un vestito nuovo dell’imperatore.